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ELFI - Shotan Vonsen

Ultimo Aggiornamento: 27/02/2004 15:40
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27/02/2004 15:40
 
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Il mio nome è Shotan, sono nato circa 39 anni fa a Tur-Muniel la nostra capitale, la capitale degli Elfi: non so se l’avete mai vista, ma è probabilmente la cosa più bella che vi possa mai capitare di vedere in vita.
Già, la vita! Sapete, trovo molto ironico il fatto che a causa di questa guerra abbiamo rinunciato all’immortalità della nostra esistenza proprio per difenderla, lo trovo un po’ un controsenso… Poco importa ora, del resto, lasciate che vi racconti la mia storia…
Vengo da una casata nobile: i Vonsen, poco so delle loro origini poiché mio padre Mote Vonsen non me ne ha mai voluto parlare, Diira solo sa per quale motivo. So comunque che il loro nome è conosciuto nel nostro regno da centinaia (se non migliaia) d’ anni; sono cresciuto in un clima agiato ed ho ricevuto un’ottima istruzione da parte dei saggi elfici e soprattutto da parte del mio “tutore”: il suo nome era Socrates ed apparteneva alla razza umana. Fin da piccolo ho avuto un fortissimo legame con lui.
I miei genitori (Mote Vonsen e Antea) si sono lasciati poco dopo la mia nascita; ho vissuto per anni alternandomi tra le loro due case e Socrates è sempre stato con me, forse l’unico mio vero punto di riferimento dell’infanzia.
Mio padre ha sempre svolto incarichi militari nel regno e mi ha addestrato affinché io seguissi le sue orme. Sapete, ricordo ancora le sue parole quando mi consegnò la mia prima arma: una spada lunga bellissima fabbricata dai migliori fabbri di Elea.
“Figlio, con questa spada difenderai l’Impero, come hanno sempre fatto i Vonsen. La gloria della nostra casata risiede nella nostra incondizionata fedeltà al Re, una fede salda, come deve essere salda la mano che reggerà questa spada! Dimostrami con questa arma che anche tu puoi essere vanto della nostra famiglia e della nostra razza.”
In un primo momento ero rimasto estasiato dalle sue parole: io vanto dei Vonsen? Anzi non solo dei Vonsen ma di tutto il popolo elfico??? Ero al settimo cielo…
Solo più tardi mi resi conto dell’onere che gravava sulla mia testa: appartenevo alla famiglia Vonsen, ma non avevo la minima idea di come si maneggiasse un’arma e un Vonsen di certo DOVEVA essere un ottimo combattente; a questo mio padre pose rimedio addestrandomi personalmente per molti anni, ma i miei progressi per lui erano troppo lenti (nonostante fossero assolutamente normali, vista la mia giovane età) e così, dopo un paio di anni, rinunciò a fare di me un guerriero e mi esortò a diventare un buon sacerdote di Diira: vidi questa presa di posizione di mio padre come un rifiuto verso di me: ”Perché dovevo tutto ad un tratto diventare un sacerdote? La nostra famiglia credeva in Diira ma per quel che ne sapevo io nessuno di noi era mai stato un sacerdote o ne aveva sentito il bisogno, tanto meno io! I Vonsen non erano forse una famiglia di soldati?”
Ci fu una violenta litigata tra me e mio padre e per molto tempo il rapporto tra noi fu ancora più distaccato e freddo di quanto non lo fosse prima.
Durante quegli anni, mio zio, Derden Vonsen, soggiornò presso la mia casa per un paio di mesi; lui continuò ad allenarmi nell’uso della spada e mi estasiò con i racconti dei suoi viaggi in lungo e in largo per Elea: storie entusiasmanti, racconti che farebbero gola perfino ai migliori bardi e cantastorie del regno; purtroppo a questo bellissimo periodo seguì un evento per me drammatico: la morte di Socrates all’età di 63 anni a causa di un arresto cardiaco. La sua morte mi fece sentire più solo, e insieme alla solitudine crebbe anche in me una forte insicurezza.
Allo scoppio della Seconda Guerra, mio padre fu uno dei primi a partire (nel frattempo tra noi ci fu un leggero “disgelo”): provai a convincerlo a farmi partire con lui, ma si rifiutò sostenendo che non ero pronto ad affrontare una guerra di quelle dimensioni e che, alla mia età, erano altre le cose a cui dovevo pensare (fortunatamente l’idea di farmi diventare sacerdote gli era passata via per la testa, ma ad ogni modo non mi considerava un soldato, altrimenti non avrebbe esitato un attimo a farmi partire con lui per arricchire la famiglia Vonsen di ulteriore prestigio): il primo pensiero che mi venne in testa fu quello di essere forse nato nella famiglia sbagliata, una famiglia sciocca il cui unico pensiero era quello della guerra, dell’onore che si riceve uccidendo i propri nemici e di una famiglia la cui ricerca di gloria era diventata una scelta di vita.
Per mesi aspettai sue notizie, ma le uniche che giungevano erano quelle delle sconfitte subite dall’esercito da parte dei Violatori, il nero esercito invasore giunto da Garanthia, e ad opera del Caos, la legione infernale al servizio di Kain, i nostri antichi avversari e tuttora i nostri più odiati nemici; a queste sconfitte aveva anche partecipato l’esercito Ribelle, umani che avevano rotto il patto di alleanza con gli Elfi per vendicarsi..
A causa di questo desiderio di vendetta dell’esercito Ribelle, il rapporto con gli umani non fu più lo stesso: nella mia città sentivo crescere odio e diffidenza verso la loro razza.
“E se questo avviene qui, non oso immaginare cosa può succedere sul resto di Elea tra noi e gli uomini” pensai tra me e me.
Ho sempre vissuto con degli umani al mio fianco: d’altronde Socrates è stato il mio amico più fedele, una persona che mi ha sempre aiutato nei momenti difficili della mia vita; è stato il mio confidente, è stato il padre che avrei sempre voluto; tuttavia questi ribelli ci hanno tradito e ci hanno accusato di non averli protetti a dovere quando l’esercito del Caos è sbarcato, bruciando i loro villaggi e uccidendo le loro famiglie; sicuramente in questo il popolo elfico ha in parte sbagliato, ma la vendetta che loro cercano mi è impossibile da capire: in questo modo stanno solo provocando la morte del mio popolo!!!
Eppure…Non riesco ad odiarli, anzi! Vorrei tanto fare qualcosa per poter riforgiare quella vecchia alleanza: ho provato a confidare i miei pensieri ad amici, ma ho trovato solo disapprovazione nelle loro parole. Forse sono l’unico a pensare che non siano solo dei contadini sporchi e ignoranti, ma prego tanto Diira che non sia così.
Passarono ancora un paio di mesi e finalmente trovai il coraggio di partire insieme all’ennesimo gruppo di rinforzo che doveva raggiungere l’armata elfica. Con loro arrivai all’accampamento e il “comandante” Mote Vonsen non mi degnò neppure di una visita, né di un saluto e, come se non bastasse, quando nell’accampamento i nostri sguardi si incrociarono per puro caso, vidi nei suoi occhi solo indifferenza.
Venne il giorno della mia prima battaglia: i Violatori decisero di attaccare il nostro avamposto e lo fecero senza difficoltà alcuna; io mi trovavo in prima linea assieme a decine di altri novizi, in mano la spada di mio padre:
“Ora ne ucciderò a decine” pensai “Sarò il vanto di tutti i Vonsen e lo dimostrerò stendendo i miei nemici! Dimostrerò a mio padre che sono un grande guerriero!”
Dalla prima linea feci un passo in avanti per attaccare e, immediatamente, una picca mi colpì! Arrivarono altri due colpi e caddi gravemente ferito a terra...
Non ricordo nulla di quello che successe dopo, o meglio: quando mi svegliai, mi ritrovai solo in mezzo alla radura; i Violatori, come erano arrivati, erano scomparsi (forse dopotutto non era così importante per loro quel misero lembo di terra, o forse era uno spazio con poca importanza tattica questo non lo so) e accanto a me giacevano cadaveri dei miei compagni: si trattava perlopiù di giovani elfi, di quei novizi che facevano parte della prima linea elfica, anzi, scorsi addirittura tra loro un paio di facce conosciute: miei compagni di giochi d’infanzia…
Restai per un’ora in silenzio, a piangere e maledire me stesso, a maledire la mia famiglia e il cognome che portavo, a maledire la mia VITA... dopo mi sentii meglio e, raccolte le mie armi, decisi di raggiungere una piccola foresta che potevo scorgere in lontananza... lì in mezzo alla pianura mi sentivo solo e indifeso.
Una volta entrato nella foresta mi sdraiai ai piedi di un albero e sfinito decisi di riposare. Nella notte mi svegliarono grida e urla di battaglia! Erano vicine “Troppo vicine” pensai; voltai lo sguardo nella direzione dei suoni e mi alzai pronto a dirigermi nella direzione opposta (solo l’idea di dover affrontare un’altra battaglia mi faceva star male), ma non appena compiuti due passi, un’enorme figura mi balzò addosso: le sue possenti braccia cercarono di strozzarmi! Erano di un colore verdastro, ma non solo le braccia, tutto il suo corpo aveva lo stesso colore! Alzai la testa per guardarlo bene in faccia e non ebbi più dubbi: la figura che mi stava attaccando era un orco!
Mi stava strozzando sempre con più energia e io non avevo la forza per reagire... pensai che per me era finita e con voce fioca iniziai a recitare l’ultima preghiera per Diira; invece, l’enorme figura con mia grossa sorpresa emise un gemito di dolore e le sue mani lasciarono la presa... provai a scrollarmelo di dosso e cadde a terra pesante come un macigno: l’orco era stato trafitto alla schiena da una spada e il guerriero che l’aveva ucciso si ergeva davanti a me; indossava un’armatura completa in ferro brunita, in una mano impugnava la spada che aveva appena sfilato dall’orco, nell’altra impugnava un’altra spada. Non indossava un elmo perciò decisi di guardarlo in faccia: il suo viso aveva uno sguardo magnifico, anzi non solo la sua faccia, ma tutto il suo corpo aveva un non so cosa di carismatico, e la sola vista di quello sguardo fece battere il mio cuore all’impazzata.
Provai a formulare qualche parola di ringraziamento ma lui senza dire una parola iniziò a correre nella direzione dove altre grida di battaglia stavano infervorando. Spinto dalla voglia di ringraziarlo, di sapere almeno il suo nome lo seguii: in una piccola radura tra gli alberi lo vidi combattere contro altri orchi ma al suo fianco era presente un piccolo gruppo di Ribelli e mentre combattevano l’uomo gridò con una voce tonante:
“Per la nostra terra compagni, per Elea!
“LIBERTA’!” risposero i Ribelli che caricarono gli Orchi rimasti uccidendoli in poco tempo.
Le parole di quest’uomo, il grido dei Ribelli in risposta, fecero ribollire il mio sangue! Per un attimo non capii più nulla, disorientato da questo discorso e dalla foga del combattimento mi sentii svenire un’altra volta... stavolta però riuscii a riprendere il controllo di me stesso e notai che i Ribelli stavano andando via con l’uomo che mi aveva salvato la vita..
In un primo tempo decisi di rincorrerli, ma capii che evidentemente non volevano avere a che fare con me se avevano deciso di ignorarmi dopo aver sgominato quella banda di mostri; così desistetti dal mio intento e decisi di tornare sui miei passi, verso l’uscita del bosco; con mia grande sorpresa notai dei bagliori a un paio di chilometri di distanza, più precisamente luci di fiaccole dove si trovava il campo di battaglia. Iniziai a correre affannosamente verso di loro, in cuor mio speravo che fossero soccorritori, compagni elfi che venivano a cercare dei superstiti (certo c’era anche il rischio che in realtà fossero dei predoni, magari dei semplici ladri non appartenenti magari all’esercito ribelle o a quello violatore, ad ogni modo persone che potessero essermi ostili, ma fortunatamente non fu così).
Il piccolo gruppo di elfi mi accolse con immenso calore e io raccontai loro quello che era successo su quel campo e come ero riuscito a salvarmi (o meglio: mi salvarono) dalla morte; un loro curatore alleviò magicamente le mie ferite, mi diedero un cavallo e mi ordinarono di seguirli verso il luogo dove il nostro esercito si era ritirato. Prima però chiesi a loro di poter restare un minuto ancora su quel terreno, di fare un’ultima preghiera in onore di quei morti: la verità era che avevo bisogno di un attimo di tempo per pensare…
Mille pensieri echeggiavano nella mia mente mentre mi facevo strada tra i corpi, quando una cosa risaltò alla mia vista e turbò il mio animo: davanti ai miei occhi giaceva una spada, una spada normalissima senza fronzoli né ornamenti vari, ma la cosa che mi aveva particolarmente scosso era questa: la spada era ancora nella mano dell’elfo morto, ma il pugno che la teneva sembrava ben stretto e chiuso: “L’ha tenuta con fermezza perfino una volta giunto alla morte” pensai, e immediatamente le parole del discorso di mio padre mi tornarono in mente. Colpito come da una luce rivelatrice presi quella spada e lasciai accanto al cadavere quella che mio padre mi aveva donato.
“Padre… Solo ora ho capito le tue parole, quando parlavi di portare onore e vanto alla nostra famiglia non parlavi di uccisioni e stragi di nemici, segnando numerose tacche sulla lama di una spada, ma parlavi del rimanere fedeli al proprio popolo, proteggendolo anche a costo della propria vita, come ha fatto quest’ elfo sconosciuto che giace ai miei piedi o come hanno fatto quei Ribelli nella foresta, che non desideravano la mia morte poiché anche loro stavano combattendo con un obiettivo preciso: difendere la loro terra. Non ho bisogno di una spada bella e luccicante padre, poiché l’unico compito che ho è quello di servire il mio Re, il mio generale, la mia specie, la mia famiglia come meglio essi credono; perciò questa spada seppur con una lama meno raffinata, un’impugnatura più grezza, brilla di una luce molto più intensa di quella che ho avuto io fino a ora: questa spada ha servito il suo popolo padre, quella che mi hai donato te no..
Ora ho capito Padre, chiedo perdono se ho peccato di superbia, ma ora mi sento pronto ad affrontare questa guerra e l’affronterò con coraggio, con fede e con una mano salda. Il grido di battaglia dell’esercito sarà il mio grido, è così che voglio sottolineare il mio legame, con ciò che ho di più caro al mondo: il mio popolo!
AN EDHELRIM!!!!!!!!!!”


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"Non uccidete i vostri nemici ma sfregiateli e mutilateli cosi che essi siano un ricordo vivente per se stessi e per gli altri che ovunque passano i Violatori quasi tutto muore e ciò che non muore desidera la morte"
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