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Racconti: ciclo steel&steam

Ultimo Aggiornamento: 24/10/2005 11:50
18/05/2004 16:49
 
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I racconti del ciclo steel and steam sono nati dall'idea di un'ambientazione steampunk per giochi di ruolo. Tutti questi racconti sono stati ispirati da tale ambientazione.
Steel&steam e' anche un progetto che sto curando in collaborazione con altre persone del Nucleo e sul Nucleo stesso. Esiste un forum adibito a tale progetto che si chiama, sorpresa delle sorprese, progetto steel&steam. Sta sui forum di Naked Dwarf (il mio sito) sotto wargames e modellismo. Se la cosa vi incuriosisce visitate il forum. Abbiamo bisogno di collaboratori.
Per evitare la massima dispersione e' stato deciso di raccogliere tutti i racconti che ho scritto (racconti brevi scollegati tra di loro) in un unico topic.

----
"Queste pistole non potevano mai incepparsi. Ne' sarebbero state mai scariche. Nessun loro colpo avrebbe mancato il bersaglio. Nessuna loro ferita sarebbe stata meno che mortale."

[Modificato da Gornova 19/05/2004 11.10]

18/05/2004 16:53
 
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Steel and steam
Steel and steam e' stato il primo racconto scritto, ed e' un po' il prologo di tutto il ciclo.

Una nube di vapore rovente investi' Boris facendolo tossire.
"Non stare vicino alle giunture" lo avverti' Vladimir il capo meccanico
"Spesso il vapore viene sfiatato anche da li'".
Lewis guardo' la bestia d'acciaio, irritato "che bisogno c'e' dico io? Non
ci sono gia' i comignoli?"
"Per proteggerle dagli attacchi della fanteria sui fianchi, stupido!" la
voce del Signore delle Macchine Alexander fece sobbalzare sia Vladimir che
Boris.
Il giovane assistente si volto'. Il suo maestro stava scrutando
l'orizzonte con il suo cannocchiale.
Vladimir si liscio' i baffoni biondi con la mano "Siamo sicuri che
arrivino? E' da una settimana che aspettiamo".
"Arriveranno" la voce di Alexander era decisa e sicura "e non sara'
piacevole quando succedera'. Hai revisionato il cannone del Kraken?"
"Funziona alla perfezione"
"Bene, tornera' sicuramente utile"
Vladimir rivolse uno sguardo affettuoso al Kraken. Povera macchina,
nell'ultimo scontro le avevano quasi staccato il braccio e devastato il
torace, ma ora era funzionante al cento per cento.
Il gigante metallico emise un violento sbuffo di vapore quasi a confermare
il buon lavoro svolto da Vladimir.
"E i nostri uomini?"
"Il morale e' alto" confermo' Boris "ma l'attesa li sta snervando".
"Non credo che ci sara' da attendere molto" Alexander passo' il
cannocchiale al suo assistente.
Il giovane si porto' lo strumento all'altezza dell'occhio destro e scruto'
l'orizzonte.
Quello che vide non gli fece piacere. Una mandria di bipodi metallici si
muoveva con passo ritmato e implacabile verso di loro. Su di essi
torreggiavano due bestie metalliche decisamente piu' grandi, armate di
artigli letali e falci crudeli.
Una goccia di sudore scese dalla fronte di Boris, e scivolo' fino al mento
per poi cadere sul terreno.
"Sangue freddo giovanotto" Alexander cerco' di tranquillizzarlo "la nostra
posizione e' fortificata, avranno dei grossi problemi ad
avvicinarsi".
Alexander aveva ragione, ma a Boris quelle macchine sembravano piu' veloci
e articolate delle loro, sembravano quasi vive, avrebbe giurato di
scorgere una scintilla di intelligenza malvagia negli occhi di uno dei
giganti di metallo. Si deterse la fronte con la manica della sua uniforme,
poi guardo' di nuovo con il cannocchiale.
Questa volta noto' anche una figura circondata da un bagliore
verdastro. Sembrava quasi si librasse a mezz'aria, sebbene le sue vesti
arrivassero fino a terra, il suo busto metallico non sobbalzava allo
stesso modo di un uomo che corresse o camminasse. Ma qualunque cosa fosse
non era umana. Pareva quasi che l'essere sapesse di essere osservato. Volto' il
suo teschio verso Boris, due fiamme rosse ardevano nei recessi delle sue
orbite vuote, ed emise un ruggito che scosse la terra e investi' gli
uomini che osservavano dall'altura.
Boris cadde a terra, i nervi a pezzi.
Alexander capi' la gravita' della situazione e decise di distrarlo. Non
avrebbe sopportato oltre la vista di quell'esercito soprannaturale.
"Va ad allertare gli uomini Boris, qua ci penso io"
Il giovane cammino' per un po' a quattro zampe, ancora scosso dalla
terribile visione, poi si alzo' e comincio' a correre a perdifiato per i
fianchi della collina.
"Speriamo che non si rompa l'osso del collo" sospiro' Alexander rivolto a
non era umana. Pareva quasi che l'essere sapesse di essere osservato. Volto' il
suo teschio verso Boris, due fiamme rosse ardevano nei recessi delle sue
orbite vuote, ed emise un ruggito che scosse la terra e investi' gli
uomini che osservavano dall'altura.
Boris cadde a terra, i nervi a pezzi.
Alexander capi' la gravita' della situazione e decise di distrarlo. Non
avrebbe sopportato oltre la vista di quell'esercito soprannaturale.
"Va ad allertare gli uomini Boris, qua ci penso io"
Il giovane cammino' per un po' a quattro zampe, ancora scosso dalla
terribile visione, poi si alzo' e comincio' a correre a perdifiato per i
fianchi della collina.
"Speriamo che non si rompa l'osso del collo" sospiro' Alexander rivolto a
Vladimir, che manteneva un'espressione quasi indifferente di fronte
all'orrore che avanzava.
"Il ragazzo e' ancora giovane" sentenzio' il capo meccanico scuotendo
lievemente il capo "migliorera'"
"Al lavoro ora"
Alexander instauro' un legame telepatico con il gigante meccanico alla sua
destra. Si immerse negli echi del metallo senziente, percependo ogni
singolo ingranaggio della bestia d'acciaio. Velocemente decise in che modo
dovevano muoversi le ruote dentate per attivare la macchina.
Era diventata un'operazione quasi incoscia per Alexander. Nello stesso
tempo stava preparando anche altre due bestie d'acciaio.
Gli ingranggi stridettero, i pistoni cominciarono a vibrare nei loro
cilindri e le montagne di metallo cominciarono a ruotare il busto e
muoversi rumorosamente per prendere posizione. Il cannone del Kraken
rimbombo' cupamente, sputando fuori dalla canna un grosso proiettile che
cadde al centro dello schieramento nemico. Una delle macchine piu' piccole
rimase schiacciata dal massiccio proiettile, ma le altre riuscirono a
schivare l'esplosione, riparandosi dietro quelle piu' grandi.
I nemici avevano a disposizione circa una dozzina di bestie
d'acciaio. Alexander si chiese come il solo Lich poteva controllarne tante
contemporaneamente in maniera tanto precisa. Lui riusciva a controllarne
all'incirca quattro, e ne aveva attualmente a disposizione sei. Spero' che
Boris si riprendesse abbastanza rapidamente in modo che potesse aiutarlo
in prima linea.
Porto' una mano alla cintura per estrarre la sua pesante ascia da
guerra. La battaglia era appena cominciata.

18/05/2004 16:56
 
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Il lich d'acciaio
Questo racconto spiega a grandi linee la storia dell'impero di Geshet, l'impero dei non morti, e in particolare descrive uno dei lich che fanno parte di tale impero, Amnoth il comandante della nera legione di Eoth. Penso che l'impero di Geshet sia una delle parti piu' affascinanti di steel & steam.

La creatura si mosse nella direzione di Lewis ergendosi al di sopra dei
rottami sparsi per il campo di battaglia.
Il meccanico striscio' sul suolo sporco di petrolio e sangue, trascinando
a malapena la sua gamba massacrata.
Cerco' di nascondersi sotto la carcassa di un Hydra devastato, chiuse gli
occhi e si copri' la testa con le mani.
L'essere noto' il suo movimento affannoso. Con lentezza quasi esaperante
si mosse verso l'uomo, emettendo un sibilo come il vapore che sfiata dalle
valvole. Si chino' verso il nascondiglio di Lewis e con la mano afferro'
una pesante lamiera scagliandola lontano.
L'oggetto della sua attenzione era rincatucciato nell'angolo piu' lontano,
chiuso a palla, con gli occhi chiusi e le mani sopra le orecchie. tremava
visibilmente, in parte per la paura, in parte per lo shock corporeo.
L'essere lo scosse lievemente usando il manico della sua arma.
Delle fiammelle rosse ardevano nelle sue orbite vuote, poi emise dei suoni
sibilanti, cercando di parlare. Sembrava quasi che gli riuscisse
difficile.
"Voltati uomo!" la voce della creatura era bassa e sibilante, con
riverberi metallici.
Lewis alzo' lievemente la testa e apri' gli occhi a fessura, come se
avesse timore di quello che poteva vedere.
Li richiuse subito ma l'essere gli afferro' la testa e la volse verso il
suo volto scheletrico, emettendo una nuvola di fumo verde dalla bocca.
"Chi sei?" sussurro' l'uomo con la voce strozzata dal terrore.
La creatura mosse il suo teschio all'indietro come per ricordare eventi
passati da tanto tempo.
"Mi chiamo Amnoth, sono il terzo Lich della stirpe di Geshet e comandante
della Legione Nera di Eoth, un tempo ero conosciuto come Ereth, gran
sacerdote del culto di Os, finche' Geshet non mi prese con se"
La creatura era spaventosa, ma sembrava disposta a parlare. Combattere era
inutile. Lewis aveva visto cosa era capace di fare. Aveva scagliato una
lamiera di oltre 50 chili come se fosse un sassolino di fiume.
"Perche' sei diventato..." l'uomo fatico' a cercare le parole
"cosi'?" concluse, non essendo riuscito a trovarle.
Il Lich flette' i suoi artigli di metallo e porto' la mano alla testa,
come se cercasse di ricordare.
"Il morbo, il morbo stava uccidendo tutti. Per preservare la discendenza
i sacerdoti avevano deciso che la nostra stirpe non doveva essere
contaminata dal sangue degli stranieri. Gli uomini sposavano le sorelle, i
cugini gli zii. Eravamo pochi, anche tra famiglie diverse c'era una
discendenza comune. Gli uomini si indebolivano, anche se la magia cresceva
in loro, diventavano sempre piu' fragili, piu' effimeri. Vivevano poco e
avevano bisogno di ricorrere sempre piu' spesso alle droghe. Geshet, il
supremo sacerdote capi' che era sbagliato perseverare per questa
strada. Cerco' di convincere il regnante, ma egli non si fece persuaso. E
noi diventavamo sempre piu' deboli. Alla fine Geshet decise di cercare una
soluzione radicale. Pose il suo occhio sulle macchine a vapore e capi' che
fondendo la nostra magia con le macchine avremmo potuto rendere forte il
nostro corpo senza trasgredire le antiche leggi. Egli si appresto' a
concentrare su di se il piu' grande potere che un uomo potesse mai
desiderare. Noi sacerdoti lo aiutammo, con la promessa che egli un giorno
ci avrebbe fatto diventare come lui. Ma quando il regnante vide cos'era
diventato Geshet, lo scaccio' e lo esilio' in una regione inospitale e
paludosa. Ma Geshet era forte, non aveva piu' bisogno di niente. Noi
sacerdoti fuggimmo dalla citta' e lo cercammo per molto tempo. Infine lo
trovammo. Egli aveva costruito molte macchine, macchine forti e potenti,
piu' forti di quelle di ogni altro regno. Grazie a quelle macchine aveva
edificato una torre che sfidava gli stessi dei. Egli ci accolse nella sua
dimora, e disse che ricordava l'antica promessa. Non si sarebbe scordato
di quelli che erano stati i suoi amici. E noi sacerdoti lo seguimmo,
perche' non lo avremmo mai lasciato solo nel suo esilio. Cosi' ebbe inizio
la discendenza di Geshet"
La creatura rivolse di nuovo il suo sguardo verso il meccanico puntando
l'estremita' della sua falce verso di lui.
"Abbiamo bisogno di anime. Anime per diventare forti, per alimentare le
nostre macchine. E di servitori per continuare a espanderci. Noi non
ripeteremo l'errore dei nostri antichi antenati, siamo disposti ad
assorbire le conoscenze e la forza degli stranieri. Sei bravo meccanico e
servirai il nostro impero"
Lewis era terrorizzato.
"Come potro' sopravvivere in un impero di macchine?"
L'essere emise dei sibili acuti, come una risata orribile e metallica.
"Lo capirai meglio quando ti avro' portato con me..."
Con un movimento fulmineo affondo' i suoi artigli nel cranio dell'uomo.

18/05/2004 17:01
 
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Sabbie di fuoco
Sabbie di fuoco e' stato scritto contemporaneamente al pezzo di ambientazione sul sultanato di Al-Quaed, lo stato in cui e' ambientata la vicenda. Questa volta la storia vede contrapposte due forze umane. Il potente principato di Krov e i determinati comandanti del sultanato di Al-Quaed, in particolare il comandane Shafer, uno dei migliori comandanti del sultanato.



Shafer El Hussein tiro' le briglie del cavallo. La bestia si impenno' e
si fermo sbuffando forte dalle narici dilatate per l'irruenza della
corsa. Shafer era uno dei pochi comandanti a usare ancora i cavalli, e
l'unico a non sapersi servire delle macchine senzienti.
Il vento del deserto agito' il suo mantello e le estremita' della kefia,
che lo riparava dal sole inclemente. Lentamente rimosse il lembo di seta
che gli ricopriva la bocca e il naso, per evitare di respirare la fina
sabbia del deserto, e si alzo' in piedi facendo leva sulle briglie
per avere un miglior punto di osservazione. Ripose gli occhiali da
sole nel taschino dell'uniforme e cavo' da una bisaccia legata alla
cintura un prezioso cannocchiale costruito con lenti di purezza e taglio
piu' unici che rari.
Scruto' l'orizzonte per un momento.
"Krov, ancora loro"
Le labbra di Shafer si mossero impercettibilmente.
"Sono arrivati da qualche giorno" si affretto' ad informarlo un ufficiale
"il comandante Moussar sara' qui tra poco con qualche macchiana corazzata"
"Non abbiamo bisogno delle macchine di Moussar" gli occhi di Shafer erano
diventati due fessure e sembravano avere assunto il colore del ghiaccio
"qui bastiamo noi"
"Ma..." l'ufficiale cerco' di replicare, ma la sua frase fu interrotta da
un gesto brusco del comandante.
"Mandami Mashir invece di discutere"
Poco tempo dopo giunse un uomo vestito alla maniera del deserto, con la
tipica kefia in testa e un tatuaggio ipnotico sul viso abbronzato. Shafer
gli porse il cannocchiale.
"Che ne pensi?"
"Cinque macchine pesanti e qualche fante, non sara' una passeggiata"
"Ma i loro uomini sono stremati. Il sole del deserto li ha indeboliti, e
scommetto che le loro riserve di acqua sono scarse. Se riusciamo a
colpirli non avranno il tempo di raggiungere l'oasi e rifornirsi"
Mashir scopri' una fila di denti d'oro.
"Che mi possano portare via l'altro occhio se non riusciamo a far saltare
in aria le loro riserve e due macchine questa notte"
"Sapevo di poter contare su di te" Shafer richiuse il cannocchiale con un
agile gesto "fa preparare gli scorpioni"

Nella notte, coperti con i loro manti mimetici, gli scorpioni del deserto
sembravano invisibili. Il loro respiro era controllato, sembrava quasi che
il loro cuore non battesse affatto mentre strisciavano sulla sabbia. I
soldati di Krov erano infreddoliti. La notte del deserto li aveva
sorpresi. Erano gia' due giorni che erano costretti a sopportare quel
freddo pungente, avevano abbandonato le coperte pesanti per viaggiare
leggeri, e tuttavia abituati ai rigori degli inverni settentrionali
riuscivano a rimanere immobili, malgrado la bassa temperatura. Parlavano
fra loro, a bassa voce e saltuariamente bevevano a piccoli sorsi dalle
fiaschette assicurate alle loro cinture. Si riscaldavano con la forte
grappa distillata a Krov. Forse annebbiati dai fumi dell'acol si accorsero
troppo tardi dell'avanzata dei nemici. Dei coltelli corti e larghi avevano
gia' raggiunto le loro gole mentre mani potenti serravano le loro bocche.
Gli Scorpioni piazzarono le cariche accendendo le miccie. La denotazione
scosse la terra e sollevo' la sabbia, creando una nube densa.
I soldati di Krov cercarono di impugnare le armi per rispondere al fuoco,
ma accecati dal turbine di polvere non riuscirono a inquadrare i nemici.
Shafer nascosto dietro una duna afferro' il fucile che portava dietro la
schiena e monto' sulla canna un mirino finemente cesellato. Il primo colpo
raggiunse un soldato alla testa, producendo un suono secco mentre il
vapore spingeva il proiettile fuori dalla canna. Altri sordi scoppi
seguirono, e altri soldati caddero riversi nella sabbia.
Un uomo fu raggiunto al torace, ma il proiettile fu misteriosamente
deviato, come da una forza invisibile. Le macchine cominciarono a
muoversi, gli occhi che brillavono del fuoco che ardeva nelle loro
caldaie. Un grosso proiettile da mortaio fischio' nell'aria e esplose poco
lontano da Shafer. Le forze di Krov si stavano velocemente
riorganizzando. Non era saggio restare.

Shafer grido' qualche parola. Gli scorpioni del deserto
cominciarono a ritirarsi ordinatamente e silenziosamente, e scomparvero
nella notte buia.


18/05/2004 17:05
 
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Fucina infernale
Questo racconto si distacca dal tema dei precedenti. Ambientato non nei campi da battaglia sconvolti dalla potenza delle bestie meccaniche ma nelle fucine della stirpe di Geshet. Questa volta la fanno da padrone i blasfemi meccanismi e gli scienziati necromanti che li hanno concepiti. Mepht uno dei lich d'acciaio e' alle prese con una nuova e malvagia creazione.

I tubi d'acciaio correvano per il soffitto dello stanzone, come le vene
scoperte di un corpo in decomposizione. Da alcuni di questi, spezzati in
alcuni punti, colava un liquido vischioso e puzzolente, la terra stessa
corrotta dal potere blasfemo della stirpe di Geshet era contaminata da
quel pus immondo.
La porta dell'officina si spalanco' lentamente. Mepht entro' torreggiando
sugli operai, intenti a lavorare sulle orribili creazioni, le zampe
d'acciaio che sbattevano sul pavimento provocando un suono sordo e
spettrale. Alcune creature da incubo, a meta' tra la carne e la macchina,
strisciarono via ticchettando con le loro zampette metalliche per evitare
di essere schiacciate dalla mole del Lich d'Acciaio. Mepht si reco' vicino
a un pannello di controllo, sul quale alloggiavano diverse leve e
indicatori. Gli aghi dei manometri fremevano quasi impazziti, danzando tra
i numeri e le tacche in maniera imprevedibile. Un uomo curvo sui
meccanismi cercava di rendere regolare il loro andamento maneggiando le
leve. Di tanto in tanto si fermava per prendere qualche appunto su un
taccuino sdrucito e ingiallito.
Mepht si avvicino' alla figura avvolta in una tunica nera e appoggio sulla
sua spalla un'estremita' orrendamente artigliata che avrebbe potuto
squartare con estrema facilita' sia la carne che il metallo.
L'uomo si volto' e sobbalzo' alla vista della figura torreggiante. Nelle
orbite vuote del teschio di Mepht, adornato dalle zanne di qualche
animale, brillavano due fiammelle di un verde acceso e vivace, segno del
suo profondo interesse.
Il Lich formulo' qualche parola nella sua lingua arcana e blasfema
"Come procediamo qui?"
Il necromante distolse temporaneamente l'attenzione dal pannello per
rispondere al suo superiore
"Momentaneamente sembra che tutto vada per il meglio" sussurro' l'uomo "ma
l'indicatore dell'energia e' troppo incostante" con un'unghia laccata di
nero batte' sul vetro di uno dei manometri, come per rafforzare la sua
affermazione.
Mepht allungo il suo collo scheletrico, costruito con piastre di metallo
corazzate dalla forma di vertebre, per meglio vedere i sussulti dell'ago
impazzito.
"Puo' essere un problema di alimentazione, o l'instabilita' del combustibile,
ma non e' mai successo con una fornace alchemica..."
"Sssssh" Mepht emise un sibilo acuto e una nuvola di fumo verde.
L'eccitazione si stava impadronendo di lui.
"Non e' la caldaia" lancio' uno sguardo alla creatura metallica incatenata
alla parete, vicino agli indicatori. "Sta fingendo"
"Finge... ?" l'espressione del necromante era piu' incredula che stupita.
Mepht si avvicino' alla macchina oggetto delle sue attenzioni squadrandola
con uno sguardo acuto. Sembrava completamente inerte. Nelle sue orbite non
ardeva il classico fuoco verde-giallastro tipico della combustione
dell'ambra verde di Eoth. Le estremita' superiori orrendamente artigliate
della spaventosa bestia giacevano inerti sui fianchi corazzati.
Mepht con un movimento fulmineo afferro' uno degli esseri meccanici che si
muovevano sul suolo dell'officina e lo scaglio' contro la macchina
incatenata.
Gli occhi del mostruoso abominio si illuminarono di una luce intensa e
malvagia, gli artigli prima immobili saettarono nell'aria per fare a pezzi
l'oggetto che gli era stato lanciato contro.
Il necromante si accuccio' dietro il quadro per ripararsi dai frammenti di
metallo orrendamente mutilati dall'abominazione, mentre altri rimbalzavano
inerti sulla spessa corazza di Mepht.
Il Lich emise un sibilo di soddisfazione vedendo l'ago dell'energia
impennarsi e vibrare indicando il massimo.
La bestia meccanica strattono' le catene magicamente temprate nel vano
tentativo di liberarsi, emettendo suoni orribili.
Mepht concentro' la sua attenzione sulla macchina, che subito smise di
agitarsi, le braccia di nuovo distese sui fianchi e il torace che si
muoveva armoniosamente sopra e sotto, come scosso da uno spettrale
resprio.
"E' viva... ?" l'incredulo necromante formulo' la sua domanda con un filo
di voce appena.
"Dipende da cosa intendi per vivo, si e' viva, non nel vero senso della
parola, ma e' capace di agire in modo del tutto autonomo. Il problema
principale e' che il suo unico scopo e' fare a pezzi tutto quello che si
muove" il Lich emise un sibilo acuto "ma non e' detto che sia proprio un
problema".
Mepht si avvicino' alla macchina corazzata sfiorandone il torace con un
artiglio e sussurrando qualcosa.
"Presto potrai abbandonarti ai piaceri del campo di battaglia"
Poi si allontano' sbattendo pesantemente le zampe sul pavimento.
Mentre la porta si riuchiudeva alle sue spalle, in tutta l'officina
risuono' l'orribile e metallica risata del Signore della distruzione.

27/05/2004 09:05
 
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Fremiti d'erba
Non ho avuto molto tempo per rivedere questo racconto, anche se mi sembra abbastanza scorrevole.
I protagonisti questa volta sono la razza dei giganti, uomini alti circa tre metri e dal fisico imponente. Questo clan in particolare, dopo la guerra contro il duca di ferro e le sue macchine, decise di lasciare Krov per rifugiarsi nel regno del kubikistan, e quando esso fu conquistato nelle contee ribelli, ultima sacca di resistenza contro l'imperialismo degli stati settentrionali. I loro avversari sono i tenaci Keldoniani.
Altri clan invece si sono riconciliati con Krov, e alcuni dei loro guerrieri servono nell'esercito di Krov.

La vasta distesa verde si estendeva sotto le cime ancora innevate. La brezza
scuoteva i fili color di smeraldo, facendoli flettere con dolcezza ritmata.
Rivoli d'acqua trasparente scorrevano dai fianchi dei monti, serpeggiando
verso la valle, lambendo rocce coperte di muschio e licheni. Di tanto in tanto
sotto un masso, o da una radice, spuntava un cespuglietto d'erika, i cui fiori
lilla e violacei spezzavano la monotonia del mare verde.
Angus, nascosto dietro un vecchio tronco, contemplava la vallata dall'alto.
A est i monti si interrompevano per lasciare spazio a uno stretto passo
montano. Per meglio sopportare il freddo pungente, residuo del rigido clima
invernale, si sistemo' il mantello a scacchi verdi contornati di blu.
L'estremita' gli cingeva il torso diagonalmente, per poi finire legato alla
vita. Quella veste particolare era il simbolo tipico della sua razza, e ogni
clan usava scegliere il proprio schema di colore per gli scacchi e le strisce.
Dalla piccola borsa che portava all'altezza della vita trasse una pipa e un
po' di tabacco. Visto che l'attesa sarebbe stata lunga tanto valeva ingannare
il tempo.
"Angus, ricordati che mi devi una capra" gli sussurro' Erald da un vicino
cespuglio "vedi di non farti ammazzare"
Angus annui' sbuffando un anello di fumo dalla bocca.
Poco lontano stava appostato il loro capo, Erik, con i lunghi capelli rossi
racconti in una treccia che cadeva sulla sua schiena. Cinto nella sua armatura
da battaglia sembrava piu' simile ad una macchina corazzata che a un essere
vivente. Da quando suo padre aveva compiuto sessant'anni lo sostituiva nel
comando del clan. Il vecchio era ormai stanco e si era pure guadagnato una
brutta ferita all'addome che gli dava fastidio.
Gli anziani del clan non erano contenti che Erik indossasse quell'armatura, ma
lui aveva insistito per farlo. L'aveva fatta appositamente construire da un
meccanico originario del regno del Kubikistan, rifugiatosi nelle contee
ribelli dopo l'invasione da parte di Krov. Il guerriero era riuscito a
procurare il materiale e i pezzi personalmente, smontando una macchina
corazzata che aveva abbattuto.
"Ehy laggiu', arrivano!"
Il giovane Orff tratteneva a stento l'eccitazione per la sua prima battaglia.
Angus si volse verso il passo per osservare i nemici.
I Keldoniani avanzavano a fatica per lo stretto passaggio, le giunture
delle macchine gemevano e cigolavano ad ogni sobbalzo.
Aspettarono che si avvicinassero abbastanza prima di sferrare l'attacco.
Dai fianchi delle montagne cadde una pioggia di quadrelle d'acciaio acuminate,
lunghe un piede, scagliate da gigantesche balestre.
Alcuni degli uomini di Keld caddero al suolo trafitti da quei dardi mortali,
mentre le macchine continuavano ad avanzare nonostante che qualcuno di quei
proiettili si fosse infilzato nelle parti di corazza piu' sottili. Ma
moltissimi rimbalvano innocui sui pesanti scudi e sulle placche corazzate delle
bestie metalliche.
Al momento di lanciare l'assalto la vallata fu riempita dal suono dellecornamuse. Quegli strumenti emettevano un suono magico e armonioso, ma allo
stesso tempo infondevano coraggio ai guerrieri e intimidivano i nemici.
I suonatori avanzarono soffiando nelle pelli di animale, incuranti della
pioggia di proiettili che cominciava a cadere su di loro.
I guerrieri, impugnate le loro pesanti asce, cominciarono a sciamare sui
nemici, mentre la musica copriva i rumori della battaglia.
Angus si lancio' giu' dal pendio correndo sul letto di un torrente in
secca.
Non esito' a falciare i primi nemici facendo compiere ad una delle sue asce un
letale arco mortale che lacero' vesti e carne. Poco lontano da lui Erik aveva
abbattuto altri uomini e si apriva la strada verso il centro dello
schieramento nemico, mentre alcuni proiettili rimbalzavano innocui sulle
spesse piastre della sua corazza.
Angus lo segui' a testa bassa nella sua folle corsa mentre altri compagni si
occupavano di quello che rimaneva della prima unita'.
Un proiettile gli sfioro' la guancia facendogli colare sul viso un rivolo di
sangue scarlatto. L'erba attorno a lui era gia' intrisa di liquido rosso.
Poco lontano da lui Marteinn cadde infilzato da una mezza dozzina di baionette
acuminate.
Regalo' un pensiero al compagno morto ma non si volto' a guardarlo. Nel caos
generale riusci' ad aggirare un'altra unita' che non presto' troppa attenzione
al suo passaggio, occupata a mantenere la formazione per resistere a una
carica.
Noto' che Erik era arrivato vicino a quello che doveva essere il comandate.
Affiancato da due macchine, si teneva al riparo per sparare qualche colpo
col suo pesante fucile da combattimento.
Una delle macchine si mosse per intercettare Erik. Cinto nella sua armatura il
capo sembrava alto quasi quanto la bestia di metallo. La macchina sferro' un
terribile colpo contro il guerriero, ma egli riusci' ad intercettare la botta.
Tuttavia l'impatto lo fece piegare sulle ginocchia, i muscoli tesi fino allo
stremo.
Angus si mosse per aiutare il compagno. La sua arma morse il metallo e fece
sprizzare scintille, una delle placche si piego' sotto il peso della massiccia
ascia e schizzo' via non appena fu colpita dalla sua gemella.
L'arma di Erik sibilo' cupamente prima di abbattersi contro il braccio del
terribile marchingengo. L'arto meccanico fu proiettato in aria prima di cadere
pochi metri piu' lontano, schizzando olio e vapore.
La macchina tuttavia reagi' fulmineamente ruotando la palla a catena che
teneva nell'altra mano. La sfera metallica colpi' Angus allo stomaco,
scagliandolo a terra con violenza, mentre un improvviso movimento del busto
seguito da una potentosa testata mandava anche Erik fra l'erba.
Angus si alzo' a fatica. Sentiva che qualche costola si era incrinata, e
qualcuna era sicuramente rotta.
Per la seconda volta cerco' di aver ragione del corazzato nemico, abbattendo
le sue armi sulla giuntura della gamba con forza belluina. Il metallo si
piego' sotto l'impatto, spazzandosi. La macchina si abbatte' su un fianco,
incapace di muoversi.
Il giovane capo riavutosi dalla botta trancio' la corazza con un colpo della
sua arma a vapore, penetrando tra i meccanismi e distruggendo ingranaggi e
ruote dentate. La caldaia emise un ultimo sbuffo di vapore prima di spegnersi.
Angus non riusci' a rallegrarsi della sua valorosa azione. Un proiettile lo
raggiunse al fianco, subito dopo il colpo della seconda bestia metallica.
L'asta della lunga lancia meccanica lo colpi' all'altezza della vita,
fratturandogli il bacino. Si accascio' al suolo e cadde affondando il viso in
un cespuglio profumato. Si dispiacque.
Probabilmente Erald non avrebbe riavuto la sua capra.


04/10/2004 23:40
 
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Infuriare
Infuriare e' un raccontino scritto per descrivere in modo approssimativo la magia in steel&steam. Sebbene tratti per l'ennesima volta di una campagna campale, lo scontro questa volta e' molto piu' diretto e cruento, non solo intuito, con frattaglie e schizzi di sangue che volano un po' ovunque.

"Questa e' la guerra.
Non c'e' nulla di etico, di eroico, di grandioso.
Tutto quello che e' richiesto a un soldato e' schiacciare il proprio
nemico. Affamandolo, spaventandolo, spaccando le sue ossa e lacerando la
sua carne. Non lasciate che la vostra mente sia mossa a pieta' o
compassione dei nostri avversari.
Massacrate i suoi figli, le sue mogli, il suo bestiame, gli animali da
compagnia. Incendiate le sue case, devastate i campi, avvelenate
l'acqua. Prostatelo nello spirito oltre che nel corpo, annientate in lui
la volonta' di resistenza.
E quando giunge la vostra ora, impiegate ogni scintilla di forza residua
per assestare l'ultimo colpo, per amputare un arto o spaccare le costole,
fate in modo che anche nell'ora della vostra morte vi temano. Non
voltatevi per fuggire. Non vi risparmieranno."
Sergey Karamanov, l'uomo piu' temuto di Krov si fermo' un attimo a
contemplare le schiere dei suoi soldati, cinti nelle loro armature
pesanti. Uno spettacolo grandioso quanto terrificante. La scienza moderna
aveva prodotto degli strumenti veramente efficaci. Non un centimetro di
carne era esposto, i guerrieri sembravano una massa di macchine di metallo
dentro le quali pulsava sangue nero, il loro respiro era una nuvola
rovente che ustionava i nemici. Immobili, in mezzo alla distesa
innevata, nessuno di loro muoveva un muscolo o proferiva una parola, quasi
congelati dalla loro ferrea disciplina, l'unico segno di vita erano gli
sbuffi di vapore emessi dalle loro formidabili corazze.
"Voi eravate criminali" Sergey ricomincio' a parlare "deliquenti,
assassini. Traditori del vostro paese. Ora siete i difensori di
Krov. Questa e' l'ancora di salvezza che vi e' stata gettata. Redimetevi e
morite per la vostra patria."
Il comandante si interrupe nuovamente. Quegli uomini che prima erano
simili alle bestie, intenti a soddisfare le loro basse pulsioni ad ogni
costo, ora avevano acquisito una marzialita' che solo pochi battaglioni
potevano vantare. Ormai essi non potevano piu' essere definiti
umani. Erano titani di ferro dediti alla battaglia, erano lo spirito della
guerra.
"Il nostro nemico come sapete non e' un nemico comune. Non pensa, non
prova paura, non teme la morte. E' implacabile, il suo animo non puo'
essere spezzato perche' ne e' privo. L'unico suo desiderio e' portare la
morte, incurante della propria incolumita'. E' 'avversario piu' difficile da
affrontare perche' non puo' essere fermato se non distruggendo il suo
corpo. Il nostro nemico e' temibile perche' e' simile a noi, determinato
eppure infido e astuto. Ma non dimenticate che voi combattete per la
vostra salvezza e la salvezza del vostro paese, mentre lui combatte
guidato solo dal cieco istinto. Voi possedete una forza d'animo superiore.
Non temetelo."
Terminato il suo discorso Sergey sollevo' la sua arma sopra la
testa. La moltitudine scintillante schierata sul campo di battaglia che
fino a quel momento era avvolta in un silenzio innaturale emise un grido
feroce e assordante imitando il gesto del proprio comandante, poi
eseguendo gli ordini dei sergenti i soldati si schierarono in formazione
attendendo con ferrea determinazione la venuta dei loro nemici.

Un lucente simulacro metallico si stagliava nella candida distesa
innevata. Nicolai de Bol pur se rinchiuso in una gabbia di acciaio ardeva
di una rabbia incommensurabile. Odiava quel paese che aveva schiacciato le
sue ambizioni e annichilito il suo potere. Lampi di energia arcana
scaturirono dai suoi artigli meccanici e le sue orbite prima oscure
brillarono di una malevola luce verdastra. Accanto a lui un'armata di
esseri da incubo marciava all'unisono, cadenzando i loro passi con una
meccanicita' ossessionante. volti devastati dalla morte si mescolavano a
placche di solido metallo dalle quali sorgevano lame affilate e armi da
fuoco altrettanto letali.
Da lontano il Lich d'acciaio riusci' a scorgere le armature dei suoi
nemici. I suoi soldati obbedirono al suo tacito ordine e si prepararono a
sostenere l'imminente impatto.

La battaglia infurio' cruenta. I soldati di Krov piantati a terra, solidi
come alberi secolari si riparavano con possenti scudi dalla marea di morti
meccanici che tentava di sommergerli. Abomini di carne putrefatta si
scagliavano contro il muro di metallo con forza straordinaria, scuotendo
gli uomini dentro le loro corazze. I magli blindati dei morti di Geshet
penetravano nelle armature strappando pezzi di carne insanguinata che
rotolavano nella neve, lasciando una lunga scia rossa sull'incontaminato
manto bianco. Dal canto loro, i soldati di Krov abbattevano le loro
pesanti asce sui corpi dei nemici, spezzando ossa e metallo con uguale
furia, mentre zampilli di olio nero misto a sangue marcio sprizzavano
dalle profonde ferite che gli venivano inflitte.
Le forza in campo si affrontavano con determinazione letale, pagando ogni
metro di suolo conquistato con mucchi di cadaveri.
Ma laddove le bestie meccaniche si univano alla mischia lo scontro
diventava subito impari. Gli uomini e i morti si piegavano come fuscelli
scossi dalla furia di muscoli di acciaio. Gli artigli delle macchine
dell'Impero, rilucenti di arcana potenza, si abbattevano sugli uomini
corazzati, falciandoli come grano maturo, con velocita', ferocia e
accanimento propri di animali selvatici.
Le macchine di Krov, piu' lente e corazzate, abbattevano sui nemici
gigantesche asce meccaniche e vomitavano sulla marea oscura una pioggia di
fuoco, facendo ruggire le loro bombarde. La fanteria leggera di Krov,
trincerata nel terreno o barricata sui terrapieni, caricava con un ritmo
ossessionante i mortai proiettando nell'aria grosse sfere esplosive che
esplodevano in una pioggia di fuoco quando si infrangevano sul suolo o sui
corpi dei nemici. Chi aveva in dotazione un fucile pesante si affannava a
ricaricarlo incessantemente con pesanti munizioni grosse un pugno, che
esplodevano all'impatto, scagliando sui bersagli una potente grandinata di
ferraglia e palle di piombo.

Nicolai de Bol prese parte al combattimento con accanimento furioso,
tormentando i suoi nemici con una tempesta di energia arcana. Il Potere
fluiva con irrisoria facilita' nel suo corpo costruito con il misterioso
metallo senziente, archi di stregoneria blasfema venivano emanati dalla sua
figura e si abbattevano sugli uomini di Krov, provocandogli dolori
lancinanti. I loro corpi toccati dal potere malevolo avvizzivano
come erba secca, o esplodevano dall'interno, riversando sui combattenti
vicini una pioggia di sangue, frattaglie e organi interni. Il suolo sotto
il possente Lich d'acciaio si spaccava e marciva, i pochi arbusti che
facevano timidamente capolino dal manto nevoso seccavano non appena
venivano a contatto con il potere del Necromante. Un'aura di morte e
oscura disperazione veniva emanata attorno alla persona di Nicolai,
prostrando le menti e il fisico dei soldati nemici, malgrado la loro ferrea
determinazione.

Sergey non possedeva la stessa prestanza del suo avversario. La magia che
scorreva all'interno del suo corpo lo consumava e lo spossava, era come un
flusso di fuoco e polvere da sparo, pronto a esplodere in ogni momento. Il potere
del comandante di Krov era molto piu' brutale e diretto. La sua figura,
che sembrava ancora piu' grande del normale, eruttava fiamme di pura
potenza che incenerivano i morti viventi, la grandine di proiettili che
gli veniva scagliata contro veniva semplicemente deviata dall'energia che
riusciva a proiettare intorno a se. La sua forza incrementata dalla magia
gli consentiva di abbattere i suoi avversari con colpi formidabili che
squassavano persino il suolo. Guidato dal puro istinto, il comandante
Karamanov schivava con estrema velocita' e precisione colpi letali, mentre
frantumava persino a mani nude il metallo che rivestiva i soldati
dell'impero di Geshet.

La terra stessa gemeva e si contorceva, flagellata dallo smisurato potere
della magia, scossa nel profondo dai rombi dei mortai e dai passi delle
macchine corazzate, inquinata da rivoli di olio bollente e icore
velenoso. Comincio' a nevicare. Presto i macabri resti della battaglia
sarebbero stati ricoperti di nuovo da una coltre di candido oblio.

[Modificato da K4oS 05/10/2004 23.49]

15/11/2004 13:45
 
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Vita accademica
Un argomento diverso dai precedenti per prendere in considerazione anche la vita di tutti i giorni, al di fuori dei campi di battaglia, degli scontri a fuoco, della violenza gratuita.
E' tempo di andare all'universita'.

Vita accademica

"Teoria, teoria" sbottò Abdul Quassat mentre tracciava sulla lavagna linee
e disegni complicati, affiancati da una quantità di numeri, lettere ed
equazioni "Senza teoria non si arriva da nessuna parte. Non siamo
meccanici che assemblano pezzi nella speranza che funzionino, guidati solo
dall'esperienza. Noi siamo studiosi. Dobbiamo progettare, calcolare,
dimostrare."
Gli studenti ascoltavano quasi annoiati le parole dello scienziato. L'aria
era calda e afoso, molti di loro erano madidi di sudore e cercavano di
sfuggire all'arsura sventolando alcuni blocchi di carta. Pochi cercavano
di seguire le parole del professore scribacchiando alcuni appunti sui loro
taccuini ingialliti.
L'attenzione degli ascoltatori scemava ogni minuto, alcuni ormai neanche
stavano a sentire, con la fronte poggiata al banco e gli occhi chiusi, le
braccia a penzoloni lungo i fianchi, la bocca semiaperta, il petto scosso
da un respiro affannato.
"Ci vediamo la prossima volta" esclamo' Abdul sbattendo un righello di
legno sul tavolo.
I ragazzi sobbalzarono.
"Sperando che siate un po' più svegli del solito"
Se ne andò diretto al suo studio lamentandosi della scarsa disciplina dei
suoi studenti.

"Branco di cervelli di gallina" borbottò lanciando su una scrivania
ricoperta di libri e appunti il righello "Non saprebbero distinguere una
pentola da una macchina a vapore...
Kamel! Dove diavolo ti sei cacciato?"
Da dietro una scansia emerse un omino simile a un bambino con un testone
calvo e sudato, ad eccezione di una corona di capelli che univa le due
orecchie. In mano aveva una chiave per bulloni mentre alla vita portava
una cintura nella quale vi erano infilati cacciaviti di vario tipo e altre
chiavi di diverse forme e dimensioni.
"KAMEEEEEEL!!! Ancora a trafficare con la mia roba! Se questa volta trovo
di nuovo una delle mie macchine ridotte a un portacenere giuro che ti
appendo a testa in giù per una giornata intera!!!"
"Capo, stavo occupandomi della mia bambola meccanica, e poi l'ultima volta
ho controllato i disegni e ho notato che le valvole di sfiatamento erano
insufficienti, per questo la caldaia é esplosa"
Abdul gelò il suo assistente con uno sguardo pieno di dispetto, ma ammise
tra sé e sé che il nanetto aveva ragione, il suo progetto presentava quel
difetto che gli era sfuggito durante la prima stesura.
Per quanto la natura potesse essere stata avara con Kamel nel donargli
prestanza fisica e bellezza era stata oltremodo generosa nel dotarlo di
un'intelligenza e un'elasticità mentale straordinaria, niente di strano
che avesse compreso non solo il progetto ma anche trovato il difetto tutto
da solo.
Abdul tossicchiò nervosamente per schernirsi "Devo ammettere che in
effetti le valvole dovevano essere in numero maggiore, ciò non toglie che
se fossi stato un po' più sveglio te ne saresti accorto prima che
esplodesse tutto!"
"Sempre a dare la colpa a me, mastro Abdul" piagnucolò il piccoletto con
voce lagnosa e a testa bassa.
"Adesso non fare il tragico per carità! Fammi dare un'occhiata alla tua bambola meccanica"
Gli occhi di Kamel scintillarono pieni di aspettativa mentre correva
eccitato a prendere la sua creazione.
Tornò da dietro la scansia con un ammasso di metallo antropomorfo e
sferragliante, pieno di giunture, ingranaggi e pistoni. Caricò la caldaia
con un po' di carbone e la accese con l'aiuto di combustibile
liquido. L'automa sputacchiò acqua bollente e vapore mentre lentamente
cominciava a camminare con fracasso. Da una bocca grottesca cominciò a
sbuffare piccole nuvole di vapore mentre si muoveva per la stanza con
passi indecisi. Le giunture si piegavano cigolando mentre braccia e gambe
si muovevano con meccanica sincronia. Quando però incontrò sul suo
percorso un libro abbandonato sul pavimento si abbatté al suolo
rumorosamente.
"Aaaaaaaaahhhhhh! Perché non lo ha scavalcato?" urlò Kamel disperato.
"Tranquillizzati, non sembra abbia subito danni" disse Abdul rimettendo in
piedi la macchina "é un problema di stabilità, il baricentro é troppo alto
e i materiali scadenti, le giunzioni tra gambe e bacino
imprecise. Dovresti provare a costruire un congegno con più gambe
snodabili, come un ragno. Probabilmente potrà persino scavalcare gli
ostacoli e si ribalterà molto più difficilmente. Comunque é un buon
lavoro, migliore di quanto possano fare gli allocchi rinchiusi nelle aule
dell'università.
Se solo gli allievi fossero meno stupidi e i professori meno boriosi il
Sultanato avrebbe potuto raggiungere in poco tempo il livello tecnologico
delle altre nazioni. Invece i docenti si ostinano a consultare i loro
libri ammuffiti e a propinare agli studenti nozioni vecchie e noiose, e
quelli dal canto loro si limitano a imparare a memoria tutto quello che
gli viene presentato, senza riflettere sulla vera essenza delle cose,
senza affiancare il ragionamento a quello che imparano, così come un
assistente di bottega, che esegue tutto quello che gli ordina il suo
principale senza capire cosa stia realmente facendo.
Avrai bisogno di ridisegnare il progetto della tua macchina, ci vorrà un
po' di tempo..."
I pensieri di Abdul si rivolsero ai suoi figli. L'orgoglio della madre,
non di certo del padre. Avevano deciso di intraprendere la carriera
militare, mentre lui sognava per loro un futuro da studiosi. Sperava che
un giorno potessero prendere il suo posto all'interno dell'università,
diventare i nuovi rettori, proporre un nuovo metodo di studio e
ricerca. Ma quegli stolti avevano preferito cercare una facile gloria sul
campo di battaglia piuttosto che una dura vita di studi. Erano diventati
degli ufficiali, certamente, ma non si poteva dire che brillassero per il
loro acume tattico. Il comandante Hussein valeva dieci volte loro, e
oltretutto aveva pure intuito l'importanza delle sue ricerche.
Kamel intanto, piegato sulle gambe, stava già armeggiando con la sua
creatura meccanica, smontando vari pezzi e sostituendoli con altri.
Abdul rifletté per qualche momento sull'ironia della vita. Nessuno avrebbe
dato credito a Kamel, persino le donne di facile amore lo rifiutavano,
eppure quell'ometto schernito da tutti sarebbe diventato il nuovo
rettore. Già immaginava la faccia stupita di quelle mummie incartapecorite
mentre si vedevano soffiato il posto tanto desiderato da un ometto che
ritenevano insignificante. Abdul aveva anche parlato col sovrano
raccomandandolo fortemente nel caso che qualcuna di quelle serpi di
biblioteca tramasse qualcosa alle sue spalle.
"Kamel, dopotutto prevedo un grande futuro per te..."
"Oh no, mastro Abdul, sono solo un assistente. Un giorno vorrei progettare
una grande macchina corazzata come quelle che costruite voi, ma credo che
resterà solo un sogno...
Ah ecco mastro Abdul! Guardate! Adesso il libro lo scavalca..."

----
Con muscoli di ferro e tendini d'acciaio, col respiro di fumo e fiamme, con i passi simili al rombo del tuono, e' cosi' che voglio vivere.
E quando verra' la mia ora, sprizzero' scintille e sanguinero' olio nero, come i fratelli d'acciaio, quando moriro', moriro' nel vapore.

[Modificato da K4oS 15/11/2004 13.47]

23/11/2004 13:07
 
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Apoteosi
In questo racconto appare per la prima volta il carismatico Geshet. Ogni altra parola e' superflua.

"Il tempo... il tempo non esiste. E' solo una convenzione che usano gli
uomini per misurare la distanza dell'attimo della loro nascita dal momento
della loro morte"
Le parole del Chiaroveggente risuonarono fredde e metalliche nella stanza,
spegnendosi nell'oscurita' dei corridoi, come se rimbalzassero sulle
pareti, frammentandosi in un riverbero di echi.
"Passato e presente si mescolano in modo indiscindibile col futuro. La
potenza diventa atto come conseguenza diretta delle azioni, dagli atti
segue di nuovo la potenza, che diventa atto, in modo regolare, rettilineo,
uniforme. Il tempo non ha importanza. Quello che e' stato puo' essere
dedotto, quello che sara' puo' essere previsto. E perde completamente di
significato, poiche' tutto e' scritto, deciso, nell'attimo stesso in cui
l'Unita' Primordiale e' stata creata"
"E tuttavia non puo' essere previsto con assoluta precisione" concluse
L'Arcinecromante emettendo un sibilo acuto e agghiacciante "Quello che hai
detto mi e' noto Tephmah, la tua conoscenza e' indiscutibile, eppure
ancora qualcosa sfugge alla comprensione. Il continuum si strappa, si
lacera, con la stessa facilita' della carne degli uomini. Cio' che viene
riportato dall'Oblio richiede un pesante tributo. L'Antiuniverso pretende
dal mondo reale la stessa quantita' di energia che gli e' stata
sottratta. Questo rende la previsione difficile, la linea retta si avvolge
in spire sempre piu' fitte, ipnotiche, irragionevoli. Tu stesso hai il
potere di piegare a tuo piacimento il continuum, di lacerare quel sottile
velo che divide il reale dal possibile."
"Questo e' vero, sommo Geshet, ma se anche i salti fossero
prevedibili? Tutto parte da un unico punto d'inizio e tutto deve
ricondursi al medesimo punto finale. Le strade alternative sono
un'illusione della mente, in quanto nell'universo reale ne viene seguita
una sola, e una sola giungera' alla fine di tutto. E' impossibile far
scorrere il tempo all'indietro al fine di modificare la potenza. L'unica
cosa che ci e' viene concessa e' scegliere quale atto generare dalla
potenza, ma la nostra scelta e' comunque limitata, da questo ne deriva
l'impossibilita' di prevedere in modo perfetto il futuro. Le strade sono
molte, ma comunque finite. Intuita la strada sulla quale deve muoversi la
potenza, prevederne le conseguenze diventa semplice e lineare quanto
constatare gli eventi presenti."
"Tutto questo supponendo che ogni cosa si muova dentro il tuo ingranaggio
perfetto, Chiaroveggente. Ma qualcosa potrebbe sfuggire, muoversi al di

la' dei percorsi segnati. Cosi' come un fiume che segue i suoi argini,
quando si gonfia per la pioggia, il suo corso diventa impetuoso, l'acqua
si infrange sui sassi e degli spruzzi fuoriescono dal letto, altre volte
invece l'acqua si rifiuta di proseguire per il suo corso, il fiume
straripa, rompe gli argini, cerca altre vie per giungere al mare. Il luogo
finale sara' il medesimo, ma le via e' diversa, e modifica in maniera
imprevedibile il paesaggio circostante. Allo stesso modo il tempo scorre
nei suoi argini, finche' qualcosa non provoca una fuoriuscita di
possibilita' dal cammino prestabilito."
"Cosa potrebbe avere un tale potere? Le anime degli uomini seguono il
corso del tempo come i pesci quello della corrente, perennemente
intrappolati in una galleria con una sola via d'uscita."
Se l'Arcinecromante avesse potuto sorridere l'avrebbe sicuramente fatto.
"Sono le macchine che escono dal percorso stabilito Tephmah. Esse non
vengono influenzate dal corso del tempo perche' non hanno anima, non hanno
potenza, sono atto puro, imprevedibile, istantaneo. So cosa stai pensando,
che comunque le macchine sono manovrate dagli uomini, ma e' il metallo
senziente che esce dagli schemi. Gli uomini possono plasmarlo a seconda
della loro volonta', ma non sempre in modo perfetto. Inoltre esso sembra
possedere una sorta di misteriosa consapevolezza come se alle volte agisse
di sua iniziativa, come alcune delle nostre macchine semi-senzienti. E'
vero che in esse vi e' intrappolata l'anima degli uomini morti, ma ho
ragione di pensare che non tutte le azioni di queste macchine siano
controllate totalmente dalle entita' imprigionate. Alle volte le macchine
si muovono di propria iniziativa e possiedono una debole volonta' per la
maggior parte del tempo dormiente, proprio per questo alcuni uomini
riescono a imporsi su di essa abbastanza facilmente. Ma avrai sicuramente
sentito parlare di qualche inesperto la cui mente si e' persa negli echi
del metallo. E' stata la volonta' della macchina a imporsi su di lui, a
costringerlo in una catalessi forzata. L'entita' della macchina e' forte,
ma non e' pienamente cosciente di quello che accade, semplicemente sogna,
e come in un sogno ubbidisce agli ordini di colui che la comanda. Ma
quando la coscienza si risveglia, seppur ben un breve tempo, e'
potentissima e riesce a vincere la resistenza della volonta' del suo
controllore il quale viene subito sopraffatto dall'istinto della macchina,
quello di riaddomentarsi, di scivolare nuovamente nel sogno."
"Le macchine sarebbero vive allora?"
"In un certo senso"
"Tuttavia rimane il problema principale. Non si puo' tornare indietro
Geshet. La conoscenza che hai acquisito all'interno delle Camere Eterne e'
senza dubbio straordinaria Arcinecromante, ma tuttavia nessuno di noi puo'
far scorrere il tempo al contrario. Non possiamo davvero riportare in vita
un uomo, possiamo solo imprigionare la sua anima privata della coscienza
in un simulacro. Farne un non morto insomma, non possiamo far resuscitare
nessuno. Neanche tu Geshet, che hai il potere supremo sulla vita e sulla
morte, puoi far resuscitare una essere defunto. Ucciderne molti e'
quantomai facile, farne ritornare in vita uno solo e'
impossibile. Comunque e' tempo che ritorni alle mie occupazioni, sommo
Geshet. Il nostro Impero lo richiede."
Il Chiaroveggente si allontano' infilando un corridoio che si snodava
nell'oscurita'. Non fu in grado di percepire l'ultimo pensiero di Geshet.
"Questo lo credi tu, Chiaroveggente..."

Geshet si avvicino' ad una finestra, dalla quale filtrava una debole
luce. Un piccolo uccello volo' via spaventato, per andarsi ad appollaiare
poco piu' in alto, su una grottesca scultura. Sul davanzale strisciava un
grosso ragno, con le gambe mutilate dal becco dell'uccello, che
sicuramente gli stava dando la caccia. Dal torace dell'insetto sgorgava
copioso un icore nerastro, che macchiava con minuscole gocce il
marmo candido. Rivolse lo sguardo dei suoi sei occhi all'Arcinecromante,
come se la mostruosita' meccanica potesse accogliere il suo desiderio di
vivere ancora. Poi mori' dopo aver mosso un altro passo verso l'Imperatore
dei non morti. Geshet lo prese delicatamente nella mano, come se fosse un
tesoro da custodire. Lampi di luce brillarono nelle sue orbite
vuote. Poi riapri' i suoi artigli meccanici e deposito' il corpo del ragno
sul davanzale. Le zampe della creatura erano di nuove integre e la ferita
sul torace era scomparsa. L'insetto si rialzo' sulle gambe e ricomincio' a
zampettare sul davanzale. L'uccello poco distante si disgrego' in
un'infinita' di frammenti per poi sparire del tutto, come divorato da una
bestia affamata.

"Il prezzo da pagare e' veramente troppo grande." sussurro' Geshet mentre
osservava il ragno che tornava nel suo rifugio.

----
Con muscoli di ferro e tendini d'acciaio, col respiro di fumo e fiamme, con i passi simili al rombo del tuono, e' cosi' che voglio vivere.
E quando verra' la mia ora, sprizzero' scintille e sanguinero' olio nero, come i fratelli d'acciaio, quando moriro', moriro' nel vapore.

[Modificato da K4oS 23/11/2004 20.05]

29/11/2004 13:57
 
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Inverno
Inverno e' diverso dagli altri racconti. I protagonisti sono lo scienziato Dmitry e il generale Viktoria, ma non si parla di meccanica, di battaglie o di complicate teorie spazio-temporali. Gli uomini rimangono sempre uomini, col le loro simpatie, antipatie e sentimenti.
Una piccola nota: il personaggio di Viktoria e' in realta' lontano da quello che dovrebbe essere. La donna che si sveste degli abiti di generale per diventare una ragazza che si confida con un vecchio amico e' un'eccezione, non la regola.

Dmitry stese le sue mani verso il fuoco, come per catturare quel piacevole
calore che mitigava il rigido freddo dell'inverno. Dai vetri delle
finestre, offuscati dalla condensa, si poteva intravedere il manto bianco
che ricopriva il giardino e il selciato, i rami dei pini si flettevano
verso il suolo, oppressi dal peso della neve. I fiocchi cadevano
lentamente, seguendo traiettore curve e irregolari, il loro peso in balia
del vento che soffiava da nord.
Lo scienziato riprese a leggere il libro che teneva aperto sulle gambe. Lo
sollevo' all'altezza degli occhi, voltando delicatamente le pagine per non
accartocciarle.
La sua concentrazione fu spezzata dal suono sordo proveniente dalla
porta. Qualcuno aveva bussato.
"Avanti e' aperto" disse Dmitry senza voltarsi.
Udi' distintamente la maniglia che girava con un cigolio
fastidioso. Prese una nota mentale: oliare la fermatura. Il secco rumore
di stivali militari che battono sul pavimento lo scosse dal suo
torpore. Si volto' per vedere chi era il suo ospite.
I suoi occhi incontrano due laghi di un azzurro glaciale, simili a quelli
dei lupi dell'estremo nord.
"Viktoria, e' un piacere rivederti"
La ragazza si tolse il colbacco e il pesante soprabito militare, rivelando una
cascata di capelli neri, raccolti in una lunga treccia.
"Mi hanno riferito che non sei ancora sposata. Non indugiare troppo, o
rischierai di rimanere sola, come me."
Il generale si abbandono' su una poltrona poco distante da quella di
Dmitry, accostandosi al camino.
"Sto ancora aspettando l'uomo adatto amico mio"
"Mi chiedo se arrivera' mai"
Sulla faccia di Viktoria si allungo' un sorriso sincero.
"Proprio tu osi farmi la predica, preferiresti mille volte i tuoi libri e
le tue strampalate ricerche alla compagnia di una bella donna"
"Krov richiede dei sacrifici Viktoria. C'e' chi sacrifica la sua vita, chi
il suo piacere. Io rientro nella seconda categoria. Ma costruire una di
quelle macchine straordinarie e' una soddisfazione grandissima. Per me e'
come mettere al mondo un bambino. La mia progenie e' fatta di freddo
metallo, ma dentro di essi arde il fuoco del carbone, simile a quello che
scorre dentro le nostre vene. Io mi sento simile a loro e loro sono i
figli del mio ingegno."
Viktoria rimase incantata alla descrizione dello scienziato, provando
tenerezza per quell'uomo tanto legato alle sue creazioni.
"Ma parlami di te, ragazza mia, come va la vita?"
"Non me lo ricordare" Viktoria reagi' con un moto di autentico fastidio
"mi hanno assegnata temporaneamente al fronte orientale, sono costretta a
collaborare con quell'animale di Sergey. Non ho mai visto un uomo tanto
brutale e ottuso. L'unico valore che riconosce e' la forza, percepisco
chiaramente che non mi ritiene adatta a dargli ordini e molto spesso fa di
testa sua. Non ha niente a che vedere con Alexander. Poi, quella masnada
di criminali che lui chiama soldati... Bruti degni di lui, ascoltano solo
i suoi ordini e sembra che siano completamente privi di buon senso."
Il Capo Artiere verso' un liquido trasparente contenuto in una bottiglia
scurita in due piccoli bicchieri. Ne porse uno alla ragazza e bevve il suo
tutto d'un fiato. La potente grappa di Krov riscaldo' le sue membra e
colori' le sue guance di un rosso vivace.
"Sergey e' un uomo semplice, non essere troppo dura con lui. Ha avuto una
vita difficile, la sua indole riflette le difficolta' che ha dovuto patire
da giovane. Ha imparato a caro prezzo a non fidarsi di nessuno e non
provare pieta'. Non ne hanno mai avuta per lui. E' un uomo ingenuo,
convinto sempre di agire nel modo migliore per il suo paese e, malgrado
tutto, ci riesce bene. E' per merito della sua ostinazione che il fronte
orientale riesce a reggere, nostante i violenti attacchi dei seguaci di
Geshet. Riconosco che sia troppo tradizionalista. Apprezza solo le
macchine pesantemente corazzate."
Viktoria fece scorrere lentamente il pollice sull'olro del bicchiere,
fissandone il fondo, persa in un ricordo d'infanzia.
"Forse hai ragione" ammise lei, parlando lentamente "Ma io continuo a non
sopportarlo. E' una bestia!" tracanno' la grappa in un solo sorso,
sbattendo il bicchiere sul tavolino ai suoi piedi, come per rafforzare la
sua affermazione.
"Vedrai, col tempo imparera' ad apprezzarti anche lui. Dagli una
possibilita'"
La ragazza si alzo' e si avvicino' alla finestra, disegnando un animale
sul vetro appannato, poi essendosi accorta che lo scienziato la stava
osservando cancello' i segni col dorso della mano, facendo finta di voler
guardare fuori.
"Ti e' sempre piaciuto disegnare sulle finestre d'inverno" disse l'uomo
sorridendo.
"Fa cosi' freddo la' fuori... E' piacevole avere un tetto sulla testa una
volta tanto. Pero' e' anche bello. E' tutto candido, l'aria profuma di
pino e qualche volta possiamo anche dimenticarci che dietro la collina i
nostri nemici ci stanno aspettando e si stanno preparando per attaccarci
di nuovo"
"E' il nostro destino. Per ora ci sta mettendo alla prova. Forse un giorno
i nostri discendenti non saranno piu' costretti a combattere."
"Mi sembra solo un sogno irrealizzabile. L'orda di non morti diventa ogni
giorno piu' numerosa."
"Non siamo i soli a scontrarci contro di loro. Nei miei viaggi ho
incontrato molte persone che si battono con determinazione. E ci sono
anche piccoli angoli di paradiso, che tu ci creda o meno, posti dove la
gente vive in pace."
"Quanti anni hai Dmitry?" Viktoria cambio' improvvisamente argomento e
spiazzo' lo studioso.
"Cinquantatre' ormai... perche'?"
"Niente... cosi'..."
"Ragazza mia non e' troppo tardi. Il generale Alexander ti piace molto
vero?"
Il viso del generale divento' rosso, ma non per la grappa. "Lui sposera'
la principessa Seksha. Diventera' lo zar di Krov"
"Non e' detto che lui lo voglia"
"Krov richiede dei sacrifici Dmitry" disse lei facendogli il verso.
"Sacrificare il proprio piacere oltre che la propria vita pero' e' troppo
costoso"
Lo scienziato si alzo' per guardare anche lui fuori dalla finestra.
"Tra un po' arrivera' la primavera e sciogliera' la neve. Spero che i miei
gigli fioriscano bene anche quest'anno."
"Ne sono certa"
"Vedrai, arrivera' anche per te la primavera, e sciogliera' il ghiaccio
del tuo cuore."

06/12/2004 18:44
 
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Sciamano
Il sonno dell'Artista
Mi cimento pure io coi racconti legati a Steel&steam.. con il mio primo racconto, ambientato mooolto lontano dalla guerra, o forse no? :D

1.

Se vi fermaste un attimo a guardarvi attorno, nel bel mezzo del caos del mercato, delle urla, dei prezzi lanciati come frecce contro gli avversari, potreste notare, in un angolo, un ragazzo che guarda il cielo.
In questa città, come in tutte quelle della Lega delle città Libere, quel ragazzo é sconosciuto, se non a pochissime persone: é Micael, il più grande artista di tutto il mondo, da Krov al Karjan.
Gli esperti parlano di questo ragazzo di ventitré anni, minuto, spettinato, con la barba sempre incolta, lo sguardo sognante, di come sia, dicevo, il più grande artista del mondo. Se siete abbastanza ricchi da viaggiare nelle città della Lega, o anche oltre, fino a Krov, troverete a far compagnia allo Zar stesso e ai suoi generali, mentre discutono delle tattiche delle battaglie, mentre mandano a morire migliaia di uomini contro un nemico senza pietà ne onore, Geshet.. ebbene, attorno a tutti quei generali, lo zar, le più alte cariche della più grande nazione del mondo, vi sono i suoi dipinti.
I dipinti di Micael, intendo, di mio fratello.
Io sono Helios, un nome che negli antichi miti del vecchio impero di Walesmatch indica "capacità".. a volte penso che i nostri genitori sapevano quale sarebbe stata la nostra vita: Micael perso nel suo mondo, alla ricerca, o meglio, inseguito dalle sue ispirazioni, ed io, Helios, il maggiore, a vegliare su di lui.
Siamo così diversi, anche nell'aspetto.. lui sempre trasandato, mentre io vesto, modestamente, con splendido gusto, con lunghi drappi di seta a proteggermi dal caldo asfissiante di questa città maleodorante, e dalla folla.
Perché sono vestito così, vi chiedete?
Micael é ricco, intendo dire, MOLTO ricco e abitando nella Lega, é un dovere quello di mostrare la propria ricchezza, ovvero il proprio potere, a meno che, ovviamente, non siate seguaci degli Illuminati, quel branco di folli che stanno chiusi un monasteri bui, antiche fortezze, sputando nello stesso piatto dal quale mangiano.. e rifiutando tutti i piaceri della vita terrena! Folli! Per fortuna la Lega é un paese civile, e simili, "pazzoidi" non sono visti di buon occhio.. tutta colpa della mentalità della Repubblica dell'Ovest, vi dico, gente strana, che predica la libertà, ed elegge i propri rappresentanti.
Come dite? Vi sembra giusto? Non comprendete un fatto, forse, o non ne siete a conoscenza.. nella "repubblica" votano TUTTI!! Tutti vi dico! E' inaudito.. come può uno zoticone come un contadino sapere cosa é meglio per il governo della sua città?? Solo chi ha i soldi.. i soldi vi dico.. é questo che conta nella Lega.
Ma sto divagando.
Ogni volta che guardo mio fratello Micael, divago.. penso alla nostra situazione e, ad altre cose, cose di cui non é bene parlare.
"Micael!", gli urlo, stizzito.
Lui, come sempre, non si volta dalla mi parte.. io cerco di capire quello che ha attirato la sua attenzione, per l'ennesima volta, mentre ordino a due dei Centomila (soldati fidatissimi, costati una fortuna.. ma a ragione) di scortarmi fino da lui.
Strane persone, questi due: guardie del corpo, servitori, guerrieri temibili.. ma taciturni, restii a parlare del loro passato, inflessibili su due punti. Fedeltà al padrone ed Onore ai Centomila. Sorrido. Vedo le persone che si scansano, al loro passaggio.. ora sanno che sono importante, e guardano le mie vesti: perfetto.
Mi nutro della loro invidia, al mio passaggio, ed alzo il mento, un pò per mostrare la mia pesante collana d'oro massiccio, le pietre preziose, il fine ricamo della veste, ed un pò per osservare Micael.
Sta guardando, dicevo, una statua.. una semplice, stupida statua, che raffigura chissà quale antico governante della città.
"Micael! Dannazione, non devi andare in giro da solo.. mi hai fatto prendere un colpo!", gli dico, preoccupato veramente.
Silenzio.
"Micael!"
Ancora silenzio.
Sento i ridolini del popolino attorno a me.
Mi piazzo davanti a lui, e subito si desta, e mi guarda diritto in volto:
"Helios.. fratello mio.. che c'è?"
Sprecare parole con lui? Inutile. Lo prendo per un braccio, disgustato dal fetore che emana, dopo aver passato così tanto tempo in mezzo a degli spiantati senza un soldo.. un peggiore mercato non poteva trovarlo, il mio dolce fratellino?
Lo trascino, letteralmente, alla nostra carrozza, per farci portare via da qui, ed una volta che siamo dentro, da soli, lo osservo meglio: indossa ancora quegli stupidi vestiti da lavoro, sporchi, colorati delle tinture che usa e logori.
Non sta guardando me, ma ancora una volta guarda la statua, finché non siamo lontani.. poi inizia ad osservare la folla attorno a noi, nelle strade, finché non siamo al sicuro nella nostra villa, sulla collina.
"Micael, mi devi ascoltare! E' pericoloso per te vagare per la città senza nessuno che ti protegga.. ti potrebbero fare del male.. mi stai a sentire?"
Si volta verso di me, all'improvviso, e mi guarda diritto negli occhi e dice:
"Per me? Dici così fratello.. ma ti sei visto ad uno specchio? Addobbato così é un pericolo per te andare in città, e lo sai bene, visto che loro due sono venuti con te.. Per me? Per me non c'è pericolo, io non faccio nulla di male. Osservo, parlo con la gente, e mi guardo attorno.. che vuoi che mi succeda?"
Non capirà mai, mi dico: "Tu non capisci.. la situazione in città é tesa: la leva obbligatoria per i pezzenti non é stata tolta, e chi non fa parte dell'esercito della Lega, ed é stato spedito contro Geshet ad est, ora fa il ladro nelle campagne, e anche in città. Ti potrebbero tagliare la gola, solamente per avere qualche moneta.."
"Da me? Ma io non ho un soldo, e poi i soldi non mi interessano per nulla.. al contrario di te!"
Sono poche le volte che esterna così i suoi sentimenti, il mio caro fratellino, ma lo conosco: perché dovrei alterarmi per un discorso che so già come andrà a finire? Infatti, continua dicendomi:
"A te interessano solo i soldi che guadagni grazie a me! E' da quando avevo tredici anni, da quando ho dipinto per lo Zar, che non abbiamo una casa, che vaghiamo sempre per tutto il continente. Se Geshet non ci rendesse schiavi nel suo esercito di morti, mi porteresti da lui, pur di guadagnare qualche soldo il più!"
"Sai, avevo intenzione di contattare proprio Geshet…", dico scherzosamente..
"Non sto scherzando, Helios.. io chi sono per te? Il grande artista Micael, il genio, colui che guadagna più di ogni altro in questa città, oppure sono tuo fratello?"
"Lo sai benissimo cosa sei.. sei mio fratello. Ed é per questo che mi preoccupo per te, come ho sempre fatto, IO"
Ecco, vedo ancora una volta che ho colpito nel segno: sta diventando troppo facile rimetterlo nel recinto nel quale deve stare.. ancora pochi istanti e si scuserà con me, il "genio"
"Scusa, Helios.. io non so cosa mi é preso, ma ultimamente non ne posso più. Non abbiamo una casa, vaghiamo di città in città.. quando finirà tutto questo?"
Come al solito, gli do la risposta migliore, anche se é quella falsa:
"Vedrai fratello, un giorno finirà.. dobbiamo solo fare qualche altro viaggio, e avremo tutto il denaro di cui abbiamo bisogno, per vivere come signori e non doverci preoccupare più di nulla.. allora si che saremo liberi!"
Sembra dubbioso, ma il mio sorriso.
Scendiamo dalla carrozza, anche questa é fatta.

2.

Non so perché mi é venuto in mente questo episodio, intendo del mercato, della discussione con Micael e di tutto il resto.. in fondo é oramai notte, e sono passati alcuni mesi, siamo in un altra città della Lega, per soddisfare una commissione dell'uomo più ricco della città... per un prezzo ragionevole, ovviamente.
Fa freddo.. anche se é notte. E' molto strano, che succeda, in piena estate, da queste parti: di solito c'è un caldo asfissiante, un umidità pazzesca.. eppure...
Mi alzo, assonnato dal mio letto, ed indosso la vestaglia di seta, di cui non riesco più a fare a meno, ed osservo l'ultimo mio acquisto: due splendide schiave dalla pelle color oro e dai capelli scurissimi, che dormono, dopo aver assolto al loro dovere. Sono splendide, sanno leggere e scrivere, fare i lavori di casa, e sopratutto, oltre ad essere delle perfette donne nel letto, mi sono costate un inezia.. coi soldi che guadagneremo con questo lavoro di Micael, mi potrò permettere cento di queste ragazze.. e forse lo potrei proprio fare..
Sorrido, soddisfatto, e scendo, in cucina, alla ricerca di qualcosa da bere: la casa é silenziosa, nella notte, e solo la luna illumina il cielo: avrò dormito, quanto.. due ore? Quattro? Quelle due ci sanno veramente fare, dannazione, dopo tornerò su, ne sveglierò una con un bacio, e l'altra la legherò al letto, mentre..
"Tunk"
Me ne accorgo subito, ovviamente.. non sarò un soldato, ma un rumore del genere lo posso sentire pure io. Cos'è questa strana atmosfera attorno a me? A pensarci, i due dei Centomila, dove sono finiti? Gli avevo ordinato di non allontanarsi dalla casa per nessun motivo..
"Tunk"
Proviene da sotto, dal sotterraneo della casa, dove Micael ha stabilito il suo studio: improvvisamente mi calmo, pensando che quel genio di mio fratello sarà giù a lavorare.. ma a quest'ora? Dannazione, avrebbe dovuto prendersi una di quelle due ragazze.. ne ho prese due apposta, anche per lui, per fargli gustare i piaceri che i soldi possono comprare, ed invece no! Sempre li a pensare al suo lavoro! E' questo che voglio da lui, ma dannazione é mio fratello.. e non deve lavorare come uno schiavo!
Mi decido a scendere le scale, prendendo con me una lampada ad olio: sono proprio curioso di vedere quello che sta combinando, il mio fratellino..
Le scale non sono molto ripide, ma é facile cadere, se non si presta attenzione, tutta colpa dei precedenti proprietari, che non hanno speso abbastanza per questa casa, mi dico..
Penso siano state le scale, che mi hanno salvato.. che mi hanno protetto: non sarei qui a raccontare tutto questo, se non avessi sollevato lo sguardo dalle scale fino all'ultimo istante.
Mio fratello era, ovviamente, al lavoro. Questa volta lavorava una scultura, con maestria ed abilità, abbattendo con colpi rapidi e decisi il marmo bianchissimo che proviene dal nord, e togliendo "il troppo", come direbbe lui, alla pietra, facendo emergere la sua figura.
Ringrazio le scale, certo, e la sua lentezza nel lavorare.. sempre alla ricerca della perfezione del minimo dettaglio, altrimenti, cosa ne sarebbe della mia mente?
Quella figura alta, spigliata, ne carne, ne metallo, ne vivo, ne morto completamente, un mostro senza nome, con un orribile, insondabile ed inafferrabile volto inumano, completamente curvo ed inespressivo.. quel mostro era lì.
E mio fratello era lì, attorno a quella statua, a modellarla, perso nella sua visione, perso.. oltre ogni umana comprensione, a dare forma alle paure più grandi.. che fosse uno dei mostri che tormentano l’umanità, o la semplice raffigurazione di quello che si cela dentro ognuno di noi, il nostro tormento, il peso di un mondo che ha visto così tanta sofferenza da non riuscire più a sopportarla?
Sono scivolato, all'indietro, penso, lasciando cadere la lampada che avevo nella mano destra: penso sia da lì che é iniziato l'incendio.. tutto il materiale di lavoro di Micael ha preso subito fuoco, e lui.. lui si é "svegliato" dal suo sonno dell'artista ed ha guardato la sua opera, e poi me.. e si é reso conto dell'enormità del suo atto, della totale malvagità disegnata nei lineamenti della statua, e di quel volto senza nome, ma a cui ogni uomo, donna o bambino del continente poteva dare un nome se lo voleva…

3.

Mi sono svegliato più tardi.. lontano, su un carro: potevo ancora vedere il fumo che si alzava dalla casa, e pensare a tutto quello che avevo perso, quel giorno, a dei grandi investimenti, andati in fumo, le due ragazze ed i Centomila, intendo...
E mio fratello era lì, alla guida di uno schifoso carro di campagna, con me buttato dietro come un sacco, in mezzo alla paglia sporca.
Ho ancora davanti a me lo sguardo di mio fratello, ed ho ancora una volta, il terribile, insondabile terrore, che la guerra sia più vicina, che i mostri non siano così lontano come speravo nel mio cuore, e che, ancora una volta ho visto quel volto, il volto di una statua senza nome, ma in cui riconosco qualcuno… e per alcuni istanti, nello sguardo di Micael, mio fratello, rivedo, il terribile sonno dell’artista, che lo tormenta sempre, ogni notte.
30/08/2005 11:05
 
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Avventurieri
Avventurieri descrive quello che è un tipico avventuriero in Steel & Steam. Nella maggior parte dei casi una via di mezzo tra un esploratore e un brigante, un individuo senza patria disprezzato dalla maggior parte dei suoi concittadini. Ma se la fortuna gli arride, sicuramente diverrà una persona importante e riverita, almeno in tutti quei posti dove il denaro conta più della morale.

“Non sei il benvenuto qui” Jackob non alzò neanche gli occhi dal meccanismo che stava riparando mentre parlava all’uomo.
Quello neanche sembrava ascoltare. Si limitò a gettare il suo soprabito di pelle su una scansia e accomodarsi sulla sedia davanti al suo interlocutore. Appoggiò gli stivali sulla scrivania dell’artigiano fissandolo da sotto il cappellaccio, portato di sbieco in modo provocante e svogliato.
“Non è bello parlare così ai vecchi amici Jackob. E finiscila con questa ossessione per gli orologi”.
“Si può sapere che diavolo vuoi Wells? Non ti è rimasto niente e hai ancora il coraggio di farti vedere in città con questo aspetto da brigante da quattro soldi”
Questa volta l’uomo si risentì veramente e apparve una smorfia di disgusto sul suo viso.
“Da te non me lo sarei mai aspettato, vecchio. Anche tu adesso misuri il valore di un’amicizia in base alle ricchezze di una persona. Non sei tanto diverso dai tuoi concittadini.”
“Non è questo il punto, Wells. Sei stato bandito, non capisci? Il solo fatto che sto parlando con te danneggia la mia reputazione e i miei affari. Dopo quello che è accaduto osi ripresentarti qui, come se niente fosse, facendo finta che non sia successo assolutamente niente, e ancora non riesco a capire come diavolo hai fatto ad entrare in città senza che ti scoprissero”.
“Ho fatto un patto col diavolo, giustappunto” disse l’uomo senza scomporsi “ma non è di questo che voglio parlare. Piuttosto dà un’occhiata qui”
Jackob prese con sospetto il foglio di carta sgualcita e ingiallita che Wells gli stava porgendo.
“Cosa sarebbe?”
“Non lo capisci da solo? A questo punto ti hanno rimbambito le tue rotelle e le tue lancette? Si tratta di una mappa. La mappa per la perduta città di Megartòs”
“E così sei diventato un cacciatore di tesori. E cosa si ci poteva aspettare da uno della tua risma? Comunque sono tutte sciocchezze. Le città perdute non esistono. Sono solo una leggenda di un mondo passato e dimenticato. Adesso faresti bene ad andartene via prima che ti scovino le guardie”.
“Maledizione a te, vecchio! Cocciuto come un dannato mulo selvatico! E che mi dici di questo allora?”
Wells lanciò sul tavolo un blocco di metallo lucente , dalla consistenza inusuale, quasi trasparente e tuttavia dall’aspetto estremamente solido.
“E questo dove l’hai rubato, farabutto?”
“Dove l’ho trovato, vuoi dire. In nessun posto a quanto pare, dato che le città perdute dei Majav secondo te non esistono…”
L’artigiano prese in mano il blocco tralucente. Subito il lingotto si piegò e deformò, numerosi tentacoli argentei schizzarono fuori contorcendosi e avvitandosi tra di loro.
Un’espressione meravigliata si disegnò sul volto di Jackob.
“Una purezza e una reattività mai vista prima… Impossibile da ottenere con un semplice procedimento di raffinazione industriale. Potresti comprarci mezza città con questo.”
“E immagina quante altre ricchezze potrebbero celarsi dentro il perimetro delle rovine… questo l’ho trovato nelle vicinanze del punto indicato sulla mappa.”
“Sono vecchio ormai per questo genere di cose Wells. Non credo riuscirei ad esserti d’aiuto. Vai tu ragazzo, insegui di nuovo il successo, per me non è più possibile.”
Wells si alzò e si appoggiò il soprabito sulle spalle.
“Mi dispiace veramente Jackob. Il tuo talento è sprecato qui dentro, ma forse hai ragione, ormai è troppo tardi per rimettersi in viaggio. Ma non importa, io devo andare ugualmente.”
“Aspetta ragazzo, voglio che tu abbia qualcosa. Ecco prendi.”
Jackob tirò fuori da un cassetto un oggetto di forma quadrata.
“La mia ultima creazione. E’ un oggetto capace di misurare l’altitudine. Gli ho incluso anche una bussola e un orologio. Se dovessi scendere nel sottosuolo in questo modo riusciresti ad orientarti anche senza l’aiuto delle stelle. Inoltre è schermato dai campi magnetici. Le calamite non faranno impazzire la bussola”
Wells prese l’oggetto che l’artigiano gli aveva regalato e se lo ficcò in tasca, assicurandolo alla cintura con la catenella alla quale era agganciato.
“Grazie amico mio, mi tornerà utile. Mi dispiace che tu non voglia venire, ma forse è meglio così”
La porta cigolò ancora una volta, sussurrando un addio. Jackob cercò a tastoni il cacciavite che aveva lasciato cadere. Si sistemò gli occhiali sul naso.
“Troppo vecchio” pensò.
Chinò il capo e tornò a dedicarsi al meccanismo guasto.


----
I veri uomini indossano armature gialle. Fiero sostenitore del capitano Lysander e dei terminator in AiP.
Fiero sostenitore del Culto del Rotellone (+20 pti) e del Bilurco Binato.

[Modificato da K4oS 31/08/2005 13.00]

31/08/2005 12:56
 
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L'assedio
Scrivendo l'assedio ho voluto tagliare via la presenza umana dalla scena. La storia la fanno gli oggetti, non gli uomini. Mi sembrava giusto spendere qualche parola a descrivere gli ambienti che fino ad ora sono sempre passati in secondo piano rispetto ai personaggi.
Il momento descritto nell'assedio è critico, visto che si tratta di una situazione di guerra, ma probabilmente è uno degli scenari più comuni dell'ambientazione.




Una donna di granito piange sulle barricate. Lacrime di pioggia rigano il suo volto marmoreo. Attorno, il freddo pungente che entra nelle ossa. Compagna di rottami di ferro, vecchi mobili, una carriola rotta, una stufa senza legna. Loro, le cose dimenticate, unico baluardo che traccia il confine tra la vita e la morte. Le strade sono lastricate di olio e sangue, l’acqua gela in pozzanghere fangose. Le pareti degli edifici sono annerite, sventrate, divelte. I mattoni e il pietrame sparso per strada è diventato il rifugio dei roditori. Il suolo trema tormentato dal rombo dei mortai.

Le porte cigolano sbattute dal vento, il loro lamento si spegne nell’aria. Mostrano stanze vuote e spoglie, muri crollati, soffitti sfondati. Nei camini i resti anneriti di legna bruciata già da troppo tempo. Il ticchettio delle gocce sui vetri frantumati è ripetitivo e ossessionante, i lampioni ai lati delle vie sono solo carcasse contorte e arrugginite, la fiammella non arde più sulla loro sommità trasparente.

Una dozzina d’occhi nel buio di una cantina. Sei bicchieri brindano allo Zar. Fuori fa freddo, ma dentro l’aria brucia come se cantasse il coro dell’esercito. Il cane di un fucile scatta rumorosamente, una risata sommessa nell’oscurità. Dentro un tavolo scarno, qualche sedia, un violino scordato, una sacca di polvere da sparo. C’e’ un odore acre, pungente. Nell’angolo il fuoco della fucina morde il metallo e lo trasforma in lucenti proiettili. Diversi fucili sono allineati sulla parete. Delle voci intonano una vecchia canzone, altri suoni si uniscono al coro. Il violino, una fisarmonica, una chitarra a cui manca una corda.
Un proiettile che batte sulla canna di una pistola.

Tutta la città trasuda determinazione e resiste come l’acciaio. Le statue svettano sui piedistalli, comandando eserciti invisibili. “Non passeranno” ringhia un rotolo di filo spinato disteso sulla strada. “Non passeranno” gli fa eco un rostro appuntito che fa capolino da una pila di macerie. “Non passeranno” urla la donna di granito, con le braccia distese che indicano il cielo.
Sotto la strada gelata le macchine ruggiscono sommessamente, testimonianza di un mondo sotterraneo che ancora vive e respira. I martelli intonano la loro canzone di forgia, il vapore sibila minaccioso nelle condutture, un berretto troppo piccolo per un adulto vola sospinto da una nuvola rovente.

Se è vero che le cose hanno un’anima, allora è il loro mormorio che rimbomba nel vento. Una minaccia che ammonisce l’invasore, dietro ogni angolo, sotto ogni mattone, oltre le soglie di case deserte. È il grido rabbioso di una città ferita e sanguinante, ma che vive ancora, come una scintilla che arde sotto i tizzoni anneriti di un fuoco ormai spento. È la città che rinascerà dalle sue ceneri, immortale fenice di fuoco e acciaio.

24/10/2005 11:50
 
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Avventurieri parte II
- Io ho fame! - esclamò Franz.
- Zitto non mi seccare!- lo apostrofò bruscamente Wells –credo che ci siamo quasi.
- L’avevi detto anche una settimana fa se non ricordo male, prima che entrassimo in questo deserto del cazzo! -
- E sta un po’ zitto per una buona volta! Sei stato tu a chiedermi di venire. Perché non te ne sei stato nella tua città del cavolo con la faccia affondata tra le cosce di qualche baldracca? -
- E’ quello che mi chiedo anche io… -
- Ecco appunto sei ancora in tempo a fare qualche migliaio di chilometri a piedi e tornare indietro, invece di rompere le scatole –
- Fanculo! –
Wells seduto all’ombra di una grossa roccia con il cappello ben calcato in testa teneva in mano un oggetto di forma quadrata, dal quale uscivano diversi altri quadranti rotondi. Per essere un orologio era abbastanza complesso, infatti era il lavoro dell’artigiano Jackob, una sorta di strumento tuttofare dotato di una bussola e numerosi altri accorgimenti per rilevare la posizione.
- Allora secondo la mappa dovremo essere a circa cinque chilometri dall’entrata principale. Se va bene come l’altra volta potremmo ottenere un bel bottino –
- Sei sicuro che quel rottame funzioni? –
- Guarda che questo è il lavoro del miglior artigiano di quel tuo sporco paese. E’ OVVIO che funziona… - disse quasi offeso Wells – E poi è il ricordo di un mio caro amico –
- Davvero? –
- Avevo la tua età quando io e Jackob andammo insieme in cerca di avventure, ma che io mi ricordi non ero così rompiscatole… Che io sia dannato! Guarda laggiù! –
Un grosso varano del deserto correva agilmente tra le dune, in direzione dei due.
- Svelto Franz prendi il fucile! Questo ce lo facciamo arrosto a cena –
- Non mi sembra invitante, ma se non c’è di meglio… - disse il ragazzo prendendo la mira.
Esplose tre colpi in rapida successione, mancandolo.
- Pezzo di idiota, spari come il tipico uomo del centro!-
Il varano spaventato aveva preso la direzione opposta, girandosi di tanto in tanto guardingo, una macchia di bronzo tra la sabbia dorata.
- Svelto, svelto prendi Mary Jeane. Riesco ancora a beccarlo –
Franz non osò discutere e portò a Wells un’arma di fattura meridionale, con uno sfarzoso cannocchiale montato sulla canna.
- Sarà ormai a quaranta metri. Non lo beccherai mai-
- Ora ti faccio vedere come mi hanno insegnato a sparare qui nel Sultanato, cerca di imparare qualcosa bamboccio –
Wells prese la mira accuratamente. I muscoli immobili, il respiro controllato. La canna seguiva lentamente la traiettoria dell’animale. Poi con un forte scoppio il colpo partì. Franz non capì bene cosa era successo, vide solamente il varano allontanarsi come spinto da una forza invisibile e poi accasciarsi.
- Visto? L’ho preso proprio al centro del corpo. Il proiettile deve averlo attraversato –
- Come fai a dire che lo hai beccato al centro? Secondo me è morto di spavento –
- La mia riserva di tabacco contro la tua giovanotto. L’ho beccato al torace, proprio al centro. E il proiettile lo ha attraversato –
- Andata –
- Va a recuperare il lucertolone, mettiamo in conto anche questo nella scommessa, tanto ho già vinto –
- Staremo a vedere buffone. Sento già il sapore del tuo tabacco-
Franz si allontanò fra le dune.
- Ah finalmente un po’ di pace –
Wells si calcò bene il cappello in testa per ripararsi dal sole che si era fatto inclemente e ricominciò a fare i suoi calcoli. “Bene” disse tra se “siamo veramente vicini. E pensare che l’avevo detto solo per far stare buono Franz”.
Si lisciò i baffi bianchi compiaciuto.
Da lontano scorse Franz che tornava.
- Allora? –
- Sei dannatamente fortunato vecchio, è solo maledetta fortuna… -
- Poi te lo insegno Franz – disse Wells sorridendo.
Franz reggeva il lucertolone, con il torace perforato dal proiettile proprio al centro.
- Hai fatto un patto col diavolo vecchio, non è possibile –
- Col diavolo dici? Mmmm non mi è nuova questa cosa… forse l’ho detto in qualche altra circostanza. Beh, si può essere, può essere… Ma non c’è bisogno di far patti col diavolo per sparare bene bamboccio –
- Allora sarà quel tuo maledetto fucile –
- Piano con le parole, e chiama la mia arma con il suo nome come si addice a una signora –
- Poi questa storia del nome… -
- Devi dare un nome al tuo fucile ragazzo. Rispetta la tua arma e lei rispetterà te. E soprattutto usa qualcosa degno di questo nome. Nell’ultima città che abbiamo attraversato c’erano fucili di ottima fattura. Potevi comprare uno di quelli –
- Nonno guarda che la mia arma è uno Steam Age modificato per camerare cartucce più grosse del normale. Non si trova dietro l’angolo un gioiello così –
- Già, già, ne è la prova il tuo magnifico centro di prima… -
- Io non ho fatto patti con le divinità degli inferi –
- Non ancora vuoi dire… Magari capiterà anche a te, chissà… - Wells si alzò in piedi, scrutando con un cannocchiale l’orizzonte deformato dal calore.
- Sbrighiamoci ora, siamo quasi arrivati. Vedi quella roccia cilindrica laggiù? – disse passando lo strumento a Franz
- Si la vedo, si direbbe una colonna –
- Diciamo così, quella roba misura la distanza delle antiche città a seconda delle tacche che ci sono incise –
- Cinque tacche – confermò Franz.
- Appunto circa cinque chilometri, come ti avevo detto –
- Come fai a dire che misuravano la distanza in chilometri? –
- E in che altro la dovevano misurare? –
- Decine di chilometri? –
- Oh taci –
- Si però mangiamo –
- Manca poco –
- Ma ho fame! –
- E sta un po’ zitto su… –
- Ma fa caldo!-
- Sopporta da uomo … -
- Dammi almeno una sigaretta –
- Niente da fare, queste te le ho vinte –
- Dannato vecchio… -

Due figure si allontanarono tra la sabbia bollente, discutendo tra loro.


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