Nella professione infermieristica, come nel resto delle professioni sanitarie, l’evoluzione del concetto di responsabilità professionale ha subito una brusca impennata negli ultimi anni, anche se forse buona parte della comunità infermieristica italiana lo ha relativamente consapevolizzato. La legge 42/99 ha trasformato l’erogatore di prestazioni assistenziali in un progettista autonomo dell’assistenza, più sinteticamente in un professionista. È vero che già dal 1994 la professione infermieristica ha assunto giuridicamente la responsabilità dei risultati dell’assistenza, ma in realtà è stata l’abrogazione del mansionario ad aver portato l’infermiere al profilo di professionista. In effetti, l’abrogazione del mansionario e il riferimento integrato a profilo professionale e codice deontologico hanno creato per gli infermieri il presupposto per passare da esecutori a professionisti. Il DPR 225/74 incentrava l’organizzazione del lavoro sulle mansioni, quindi rimandava a un modello organizzativo di tipo tayloristico, dove la mansione rappresentava lo specifico professionale che contraddistingueva un ruolo dall’altro. Il cammino percorso dalla professione infermieristica in questi anni rispecchia molto bene il più ampio processo che la società stessa sta compiendo attorno al concetto di responsabilità:
quando l’organizzazione incentra il focus sull’individuo e sul team, al concetto di mansione si deve sostituire quello di responsabilità, così nel nuovo profilo professionale dell’infermiere la responsabilità dell’ assistenza generale infermieristica è individuata come qualificante.
Più in generale, la normativa citata evidenzia l’attacco al paternalismo insito nello scenario sanitario: è indiscutibile infatti che le mansioni richiamassero a una forma di responsabilità limitata, quella appunto che il buon padre esercita verso il minore, perché non pienamente capace e autonomo. D’altra parte, in uno scenario contraddistinto dal paternalismo non stupisce l’emergere di un concetto di azione professionale legato all’esecutività più che alla riflessività. Se questa è l’evoluzione evidenziatasi nel diritto, in modo del tutto simmetrico si è registrata una trasformazione anche in ambito deontologico. L’assistenza, così come la medicina, agisce oggi entro un contesto multidimensionale, nel quale la complessità obbliga a ripensare la conoscenza secondo un’organizzazione del sapere trasversale e interdisciplinare’. In parallelo richiede all’operatore di divenire un Manager delle cure, così da ricomporre per l’assistito quella frammentazione che i fruitori dei servizi sanitari lamentano.
L’Infermiere Manager delle cure assume rilievo nel nuovo contesto sanitario come mediatore tra le esigenze dell’istituzione e quelle del cittadino, che richiede un servizio a propria misura, un servizio che sappia prendersi cura di lui e lo rispetti nella sua globalità. Questa figura (o funzione) rappresenta colui che coordina, attraverso l’attivazione di una rete di interventi formali e informali, l’insieme delle cure erogate da professionisti e non, mirate a migliorare, mantenere o ristabilire il benessere dell’individuo, adesso al centro dell’atto di cura. In tal senso l’Infermiere Manager delle cure mobilita e raccorda quindi la varietà di interventi da attuare per la salute dell’individuo, integrandoli e indirizzandoli verso la soggettività della domanda.
Si tratta quindi di un professionista che, in possesso di competenze specifiche, è in grado di attuare modelli organizzativi e gestionali che ottimizzino l’impiego delle risorse e garantiscano così una migliore produttività delle strutture e una maggiore efficacia delle prestazioni erogate, viste non più come sommatoria bensì come rete. Questo a garanzia dell’impegno che viene assunto, nella nuova cultura di servizi sanitari con al centro la persona, verso il consumatore, che vuole essere informato su ciò che lo riguarda (standard del servizio, risultati, condizioni offerte) e richiede un’elevata flessibilità del servizio stesso, così da rispondere alla molteplicità e variabilità delle sue richieste, con interventi sia professionali sia di altra natura (familiari, vicinato, volontariato).
Questa evoluzione del concetto di responsabilità richiama quindi il superamento della conoscenza nozionistica, rimandando a un sapere applicato e integrato, critico e flessibile. In termini etici si potrebbe trovare un analogo nel passaggio da un’etica delle convinzioni a un’etica della responsabilità. La contrapposizione tra convinzione e responsabilità’ chiarisce il passaggio che la professione infermieristica sta compiendo da alcuni decenni a questa parte. Infatti, da un’etica incentrata sulla convinzione della giustezza di alcuni principi, assunti più che interiorizzati, il cammino intrapreso dalla professione ha portato a cercare nuove risposte, nella formazione sia di base sia permanente, rispetto alla crescita etico-deontologica dell’infermiere.
Riconoscendosi come agente morale, il professionista del prendersi cura riscontra nell’assistere una profonda dimensione etica da consapevolizzare. Assistere comporta infatti una stretta vicinanza tra infermiere e persona, spesso un ingresso nella sua privacy, in talune occasioni un attacco alla sua libertà personale. In ogni prestazione infermieristica, soprattutto in quelle di quotidiana effettuazione (aiuto nell’alimentazione,
educazione terapeutica, ascolto attivo) è insita una dimensione etica che conferisce all’attività infermieristica un rilevante spessore morale.
La responsabilizzazione è tuttavia un tratto emergente in tutta la società: a ogni operatore che agisca in ambiti di pubblico interesse è chiesta oggi una moralità sviluppata, una consapevolezza etica delle proprie azioni e delle possibili implicazioni derivanti. Questo individuo assomiglia molto a quello che Kohlberg descrive come soggetto eticamente maturo, ovvero una persona che continuamente fa dialogare la sua coscienza con le sollecitazioni di ordine morale provenienti dal contesto, pronto anche a rivedere criticamente schemi, regole, consuetudini.
Sintetizzando un dibattito certamente anche etico e deontologico, oltre che professionale, si può affermare che al professionista dell’assistenza oggi è richiesto di:
1. affrontare l’incertezza e il dinamismo assumendo decisioni, senza aspettarsi soluzioni dall’esterno e senza poter dire, tranne che in casi di possibile violazione della legge “questo non mi compete”;
2. rispettare e valorizzare le diversità culturali di cui sono portatori i diversi professionisti con competenze tecnico-specialistiche o manageriah;
3. contribuire a ottimizzare l’uso di risorse, in particolare quelle umane, rendendolo per quanto possibile equo ed efficiente. Ciò comporta la programmazione del proprio lavoro e di quello degli operatori di supporto, integrandosi nell’équipe multidisciplinare, così da permettere una valutazione delle scelte e delle decisioni assunte anche in termini di rapporto costi-benefici;
4. assumersi la responsabilità dei risultati più che la conformità delle azioni a norme e consuetudini. Si deve ridurre la dispersione di energie degli operatori, spesso coincidente con la frammentazione delle prestazioni ai cittadini, individuando percorsi di assistenza più che singole prestazioni da erogare;
5. migliorare la propria professionalità e contribuire a migliorare l’intero sistema, proponendo soluzioni innovative a partire dalla propria espenenza, mettendo continuamente in discussione le modalità consolidate, malgrado la sicurezza che favoriscono, e interpretando i problemi non come meri ostacoli, ma come opportunità di miglioramento.