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ALLA RICERCA DEL SACRO GRAAL

Ultimo Aggiornamento: 17/03/2004 09:01
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“Alla ricerca del Sacro Graal”

Romanzo fantasioso, avventuroso, misterioso e umoristico
scritto a più mani all'interno del “Club Libere Parole” (2002)
Revisione generale e regia di Walko

In apertura, entro ognuno dei 25 capitoli dell’opera vengono indicati come titolo: l’autore (o gli autori) del capitolo e la numerazione progressiva dello stesso.



Gio Girisper

1.

Il mare è in burrasca oggi a Genova, piove fitto e tira vento. Quattro ragazze molto belle, tutte bionde e assai poco vestite stanno tremando mentre aspettano il treno. Si sono passate la voce la sera prima e si sono date appuntamento qui. Il treno arriva quasi puntuale, scende la ragazza che aspettavano. Non l’avevano mai vista prima di adesso eppure appena la vedono avanzare sul marciapiede 7 capiscono che è lei: è mora, con una maglietta corta rossa, blue jeans. Le vanno incontro. Sono di fronte.
- Ragazze, siete voi? Ma che freddo che fa! A Roma si scoppiava dal caldo quando sono partita. Io sono Gio Girisper, ma chiamatemi Gio’.
- Io Lucia Barbara Zadora, ma chiamami pure Luba.
- Io sono Esmeraldas, ma chiamami pure Esme.
- Io sono Esmeraldinhas, sua sorella più piccola, puoi chiamarmi Raldy.
- Io sono Lola Tekila, chiamami pure Lola.

Decidono che è meglio raggiungere un luogo al coperto, è quasi sera. Vanno a chiudersi al “Free Bar”, dove spesso le quattro amiche si ritrovano, i prezzi sono onesti, non si mangia male e si ascolta buona musica. Gio’ si guarda intorno: davvero un bel locale, con un’intera parete a specchio sulla sinistra rispetto all’entrata. C’è anche un pianista, tutto vestito di nero, biondo con gli occhi azzurri, niente male davvero. Peccato abbia un’aria piuttosto malinconica e uno sguardo che sembra di ghiaccio.
- Ragazze, ma come mai la musica è irradiata da altoparlanti? C’è un pianista…
- No, quello è Jovall, il nuovo pianista. Lui non suona.
La interrompe Luba. Si tratterà di un pianista ornamentale, pensa Gio. Interviene Esme:
- Amiche, moviamocisi al sodo: d’altre?

Gio rimane un attimo perplessa, poi le spiegano che Esme a volte si esprime in maniera molto personale, per cui bisogna interpretare quel che dice. Ha chiesto notizie delle altre ragazze coinvolte nella vicenda. Risponde Gio, che ha organizzato la cosa.
- Non sono riuscita ad avvisare personalmente Prisca, Kate e Philia, c’era troppo poco tempo, ma ho lasciato un messaggio a ciascuna di loro. Fiore e Blondie dovrebbere già essere state avvisate.
- Da chi?
- Dal Barone.
Le quattro ragazze si guardano perplesse. Raldy rompe gli indugi:
- Di quale Barone parli?
- Del legittimo proprietario del manoscritto. E’ stato lui a mettermi al corrente di tutto e a darmi appuntamento qui a Genova per Domenica. Io ho pensato che non mi andava di muovermi da sola, e conoscendo voi quattro, già sul posto, ho pensato di coinvolgervi. Poi mi sono detta che era bene rendere partecipi tutte le amiche del Club di questa vicenda.
- E gli amici?
- Il Barone ha detto che li coinvolgerà, o ci penserà lui direttamente o lo faremo noi a suo tempo. Ognuno di noi avrà un suo compito, mentre il Barone si muoverà con alcuni amici suoi. Pare che ci sarà da guadagnarci parecchio, non ho capito come. Forse si tratta di trovare un tesoro, oppure è lo stesso manoscritto che ha un valore immenso.
- Quindi tu conosci il Barone, gli hai parlato…
- No.
- Noooooo???

Le quattro bionde genovesine hanno urlato l’interrogativo in coro, attirando l’attenzione di tutti per qualche momento. Smettono di parlare e danno fondo alle loro cinque birre chiare. Riprende Gio:
- No che non lo conosco e nemmeno gli ho parlato.
- Ma…
- L’ho semplicemente sognato e nemmeno in sogno l’ho visto: ho solo sentito la sua voce attraverso una parete della casa di campagna, a Genzano.
- Non crederai mica sul serio a queste cose?
- Ai sogni premonitori e ad altre simili stranezze? No, non ci credo. Ma a questo sì che ci credo: l’ho trovato esattamente dove il Barone ha detto che si trovava, cioè dietro la parete da cui mi parlava. Le ho dato un paio di martellate, si è aperto un buco ed ecco qui…

Così dicendo Gio estrae dal borsone un manoscritto di alcune pagine rilegate, evidentemente molto antico, e lo appoggia sul tavolino davanti alle amiche, rimaste a bocca aperta per lo stupore. In quel mentre un uomo con i capelli rossi seduto al tavolino vicino, che non visto ha seguito con attenzione la scena e i discorsi delle ragazze, esce di gran fretta dal locale, come se avesse premura di avvisare qualcuno, di chiamare qualcuno. Gio continua il discorso.
- Vi spiegherò tutto per bene, ma spostiamoci al tavolino di fronte, vicino alla finestra, così parlando si può guardare il cielo colorato dal tramonto.

[Modificato da Walko 17/03/2004 9.03]

[Modificato da Walko 17/03/2004 9.06]

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Capitoli 2 - 6
Walko

2.

Nell'angolo, davanti alla specchiera, il pianista non si è accorto di nulla (non è vero: lui vede tutto riflesso nello specchio e non importa se è un mondo all'incontrario).
E' rimasto fermo col pensiero, alle frasi delle ragazze. Ripensa a quel guardare il cielo e si dice che lui invece non lo guarda, perché ogni volta il cielo gli piove dentro agli occhi; tiene la testa chinata, lo sguardo sopra ai tasti neri e bianchi (e ogni tanto allo specchio), le mani sui ginocchi. Immobile.
Ma a cosa cazzo serve un pianista che non suona, che certamente non suonerà mai più? Forse a mantenere lì il vecchio cartello: "non sparate sul pianista": fanno parte dell'arredamento, tutti e due.
Si spalanca la porta, entra un uomo alto e grosso, ha grandi baffi scuri e gli occhi piccoli e spenti, striscia dentro (i vermi strisciano). Si alza in posizione eretta, si guarda intorno, vede gli avventori, vede le cinque ragazze, vede il pianista. Una smorfia gli deturpa il viso, una smorfia di disprezzo, di disgusto. Non parla (i vermi non parlano), ma dalla bocca gli esce una nuvoletta e nel fumetto è scritto confusamente di ricchezze da conquistare, di amicizie e di amori da distruggere, di nuovo odio da instaurare. Cosa unisce gli animi? Forse la musica. E allora che si interrompa la musica, che le regole si infrangano, che il sangue scorra, infine. Si infila una mano sotto la giacca, s'intravvede una fondina di pistola.
Il pianista non si volta nemmeno, lentamente alza la mano destra, è armata, ha una pistola: guarda allo specchio, appoggia la mano armata sulla spalla, rovescia un colpo, un colpo solo e torna a fissare i tasti neri e bianchi, il bicchiere è appoggiato sul pianoforte, dentro un ricordo di vaudeville, dolceamaro.
L'omone barcolla, cade lungo disteso in mezzo al bar. Due camerieri in mezzemaniche lo prendono ognuno per un piede e lo trascinano fuori, disegnando una piccola striscia rossa sul pavimento. Le ragazze lo vedono passare. Il morto ha un'espressione un po' stupita in faccia, e un forellino proprio in mezzo agli occhi.
Il pianista nell'angolo tiene la testa chinata, lo sguardo sopra ai tasti neri e bianchi (e ogni tanto allo specchio), le mani sui ginocchi. Immobile.
Ma a cosa cazzo serve un pianista che non suona, che certamente non suonerà mai più?
Bhè, a qualche cosa serve.



Gio Girisper

3.

La sera successiva le ragazze si incontrano a casa delle sorelle Esmeralde, dove finalmente Gio potrà spiegare nei dettagli i termini della misteriosa vicenda, senza altri contrattempi e sparatorie. E fortuna che non si sono trovate al Free Bar, ché sarebbero rimaste coinvolte in un altro guazzabuglio!
Ignare di tutto, le ragazze si accordano ascoltando Gio che spiega fin dove può spiegare: dovranno incontrare il Barone e una persona che prenderà in consegna il manoscritto, ma che al momento non si sa chi è; da quel momento anche loro faranno parte attiva della vicenda, che al momento non si sa cosa sia, ma è certo che se tutto andrà a buon fine anche loro ne avranno un bel guadagno. Esme, la più scettica del gruppo, avanza qualche perplessità:
- Non sarà tutto un trucco? Chi ci assicura che il manoscritto appartenga al Barone? E se questi fosse una specie di paragnosta che è venuto a sapere dell’esistenza del prezioso documento e se ne vuole appropriare? Magari Gio è stata ipnotizzata a distanza, da qui il sogno e tutto il resto.
- Ma se fosse così perché coinvolgere altre persone, perché inviarmi qui a Genova?
- Anche questo è vero. Mistero! Ci vorrebbe Sagitt, lui è un esperto in misteri. L’unica cosa da farsi è aspettare che il misterioso Barone si faccia vivo, preferibilmente faccia a faccia e non parlando in sogno protetto alla vista da una parete.

Poche ore prima, ad insaputa delle ragazze, al Free Bar era successo un altro fatto eclatante. Prima dell’ora di cena era entrato un uomo, mai visto prima da quelle parti: è alto, magro, giovane ma già con i capelli tutti grigi, la barba di una settimana, lo sguardo un po’ trasognato e quasi triste. Ha chiesto un aperitivo al banco. Nel frattempo Jovall il pianista ha cominciato a suonare il pianoforte, forse per provare qualche pezzo per la serata. E’ come se per l’uomo alto e magro con i capelli grigi questo fosse un segnale. Trangugia d’un fiato l’aperitivo poi si dirige lentamente verso l’uscita, si ferma sulla porta e si volta di scatto, e allora tutti si accorgono che tra le mani gli è comparsa una pistola, una vecchia Colt a tamburo. Spara tre colpi in rapida sequenza alla schiena del pianista, che smette di suonare e si piega sul fianco destro. Tra le grida disperate e isteriche degli avventori lo sconosciuto esce dal bar con aria tranquilla, imperturbabile. Nessuno ha osato inseguirlo. Il barista ha telefonato alla polizia.




Walko

4.

La polizia ha trovato l'assassino, l'uomo che ha ucciso il pianista: si chiama Zeno, è un emigrante: puliva i vetri alle Torri Gemelle di New York, ora è disoccupato. L'hanno preso mentre passeggiava in un'aiuola del centro, stava raccogliendo un fiore. Gli hanno puntato mille fucili, l'hanno incatenato, l'hanno portato alla Centrale, lui e i suoi tre amici, la sua banda: un ragazzo con le ali, che non ha smesso di ridere nemmeno per un minuto durante tutto l'interrogatorio; un uomo in mantello, con in testa un alto cilindro, con un bastone dal pomo d'oro massiccio e una lama accuminata in punta, che si è qualificato come il Barone Occlavius e ha detto di essere alla ricerca di chi l'ha assassinato più di cento anni fa; ed infine... accidenti: il pianista!
Il Commissario è disorientato: ma non era lui la vittima dell'efferato delitto? E allora che ci fa qui, insieme al suo assassino, e ai suoi complici, l'angelo e il fantasma del Barone assassinato? No, gli spiega il pianista, però guardi, al momento non sono più l’unico pianista; vede, il fatto è tutto da riferirsi allo specchio, quello è tutto un altro mondo, capisce? Lui, Zeno, non sapeva che solo il proprietario dell’immagine può uccidere la propria immagine.
Il Commissario suda, l'angelo ride; il Barone con la punta del bastone estrae il foglio del verbale dalla macchina da scrivere e con mossa elegante lo deposita nel cestino della carta straccia; l'agente Percivalle, il verbalizzatore, dorme profondamente con la testa reclinata all'indietro e sogna di cavalcare nella brughiera sopra ad un cavallo bianco, alla ricerca del Graal; l' “uomo dei vetri” mette un fiorellino all'occhiello della giacca del Commissario che suda sempre di più e allunga il braccio, accende il ventilatore, estrae una sigaretta da un vecchio pacchetto di Marechal di contrabbando e chiede all'angelo se ha per caso da accendere, ma l'angelo gli dice lei non fuma, ricorda Commissario?
- E' vero, per la miseria, io non fumo! Il pianista non è morto, l'uomo dei vetri ha sparato nello specchio, l'omone coi baffi è stato ucciso dal pianista per legittima difesa, il fatto non costituisce reato: il caso è chiuso e archiviato. Ancora due domande: voi conoscete una ragazza venuta da Roma che si fa chiamare Gio?

Certo, gli dice il pianista, e la seconda domanda?
Il Commissario non se la ricorda, suda troppo. Dentro fa troppo caldo, fuori c'è troppa notte, troppo mare, troppo vento, troppa Genova, troppi misteri, troppe consuetudini: meglio far finta di niente.
I quattro personaggi se ne vanno nella notte. Il Commissario salta su un cavallo e si lancia nella brughiera, all'inseguimento dell'agente verbalizzatore.



Gio Girisper

5.

Le ragazze passano la notte a cercare di comprendere il testo del manoscritto, ma nemmeno Esme, specialista nella scomposizione e ricomposizione della sintassi non riesce a capirci un signor tubo di niente. Si mettono in contatto con le cinque ragazze mancanti all’appello. Solo Prisca aveva già avuto qualche segnale misterioso, che stentava ad interpretare. Si accordano per trovarsi tutte a Genova: Kate e Prisca arriveranno già domani; Philia, Fiore e Blondie si uniranno a loro poco dopo. Al momento ciò che attira l’attenzione delle ragazze è la questione del pianista Jovall. Hanno letto insieme il giornale da cui si capisce che il pianista è stato ucciso nel bar da uno sconosciuto di nome Zeno, che è stato arrestato ma subito rilasciato grazie alla decisiva testimonianza… dell’assassinato. Avrebbero altro a cui pensare: la questione del manoscritto, l’attesa apparizione del Barone. Decidono che aspetteranno che sia lui a farsi avanti, anche nel caso fossero loro a rintracciarlo per prime. Ma dopo, nei loro discorsi, torna in primo piano il mistero del pianista del Free Bar, assassinato e vivo nel medesimo tempo. Non sanno dirsi perché, ma sentono che in qualche misteriosa misura questa vicenda interessa anche loro, forse è intrecciata con la stessa vicenda del manoscritto. Fra questi dubbi e queste domande irrisolte trascorre il giorno intero, fino a sera.



Walko

6.

La chiave del mistero può trovarsi soltanto nel locale, dove il pianista si esibisce in silenzio tutte le sere. All'improvviso Luba ha un'illuminazione:
- Ragazze! Avete letto i giornali? Quando hanno sparato al pianista cosa stava facendo?
- Cosa faceva? Bhè, stava suonando. Normale per un pianista…
- Ecco il punto: io già lo conoscevo, non riesco ancora a mettere insieme i pezzi nella memoria, ma sono sicura che abbiamo avuto una certa confidenza un po’ di tempo fa: io lo so, lui non suona, non suona più, non lo farà mai più!

E adesso, si chiedono le ragazze, cos'è questo altro mistero? Bisogna venirne a capo. Inutile indugiare, si va diritte al locale.
Il pianista sta suonando pezzi su richiesta, però che strano: ogni volta che gli richiedono un brano lui dice "ok" e poi ne suona un altro. Al tavolino vicino a quello delle ragazze sono seduti un uomo alto e magro, non vecchio sebbene con i capelli tutti grigi, e un ragazzo con le ali. L'uomo alto sorseggia lentamente una sambuca.
- Non capirò mai la musica, peccato. Però questa mi sembra una ben strana musica. Cosa ne dici, Angelo?
- Certo che è strana, Zeno: questo pianista suona tutti i pezzi al contrario. Adesso sta suonando "Smokin' get in your eyes", ma partendo dal finale, con tutte le note al rovescio.

Alle ragazze del Club non è sfuggito lo scambio di battute dei due singolari sconosciuti; il mistero si infittisce, ma per il momento non è possibile agire, c'è troppa gente nel locale stasera.
La porta si apre, da sola, come se qualcuno avesse usato un telecomando a distanza; dopo qualche secondo entra un uomo in abiti desueti, ma eleganti: cappello a larghe falde, sciarpa, mantello, tutto rigorosamente nero, un bastone dal pomo d'oro massiccio. Si dirige subito verso il tavolino dell'uomo alto e dell'angelo.
- Scusate il ritardo amici.
- Benvenuto Barone Occlavius.
Le cinque ragazze si scambiano un'occhiata d'intesa e prestano attenzione a quel che dice il Barone.
- Ho fatto un giro per Genova. Mancavo da questa città da ben più di centocinquant'anni, allora faceva parte di un altro Stato, ci si poteva venire solo con il passaporto, ma io avevo un lasciapassare diplomatico e potevo muovermi liberamente. Non avrei mai pensato di tornare qui, per rientrare in possesso del prezioso manoscritto.
Altra occhiata d'intesa e colpi di gomito delle ragazze. Il Barone continua.
– Ma prima c’è da risolvere l’altra questione. A proposito, Jovall quando arriva? E già quasi mezzanotte.

Jovall? Ma non è il pianista? E’ lì, sta suonando. Le ragazze hanno un attimo di disorientamento, ma si riprendono subito: è il caso di stare bene attente a quel che sta per succedere. Ordinano cinque bibite alla menta.
In quell'istante la porta del locale si apre, ed entra Jovall. Il pianista, quello seduto al pianoforte, si blocca di colpo, e si gira verso di lui, si alza mentre il nuovo arrivato gli va incontro; a un certo punto si trovano faccia a faccia, si guardano negli occhi, in silenzio. Sono identici, come due gocce d'acqua.
Esmeraldas ha un sussulto.
- Ragazze, guardate! Guardate lo specchio!

Le ragazze puntano il loro sguardo sulla grande parete a specchio che riflette il locale, il banco, gli avventori, i tavolini...ma i due pianisti, i due Jovall...nello specchio non ci sono!
Il locale intero si ferma, tutti tacciono, l'atmosfera è diventata improvvisamente tesa e sospesa, il barman dietro al banco si è fermato mentre asciugava un bicchiere e resta immobile, il bicchiere in una mano, un tovagliolo nell'altra, la sigaretta in bocca con una lunga striscia di cenere pendente.
Il pianista che suonava rompe per primo il silenzio.
- Chi sei?
- Sai benissimo chi sono: io sono Jovall. Tu sei la mia immagine fuggita dallo specchio, e lì devi tornare.
- Sei pazzo! Tu sei solo un'immagine, io sono il vero Jovall!
- Il vero Jovall non suona, non suonerà mai più.
- Non è vero! Jovall è un pianista, ed i pianisti suonano. Tu non lo fai perché sei solo un'immagine uscita dallo specchio e negli specchi non esiste musica, ma solo immagini mute.

A questo punto l'angelo si alza e si avvicina ai due pianisti speculari, nelle sue mani è apparso un mazzo di carte.
- C'è un solo modo per venire a capo di questa vicenda: queste carte sono molto speciali, non per niente si tratta di carte angeliche. E' un mazzo da quaranta, ci sono quattro semi, non ci sono figure né jolly, ma solo punti da uno a dieci. I semi sono divisi in scala di valori: il primo seme è quello delle stelle, il secondo delle onde, il terzo degli scudi e il quarto delle ombre, per cui la carta più alta del mazzo è il dieci di stelle e la più bassa è l'uno d'ombre. Sedete a un tavolino: alzerete una carta: quello dei due che avrà la carta più alta sarà senza alcun dubbio il vero Jovall. L'altro dovrà morire in questa dimensione, e tornerà nello specchio.

I due pianisti, senza parlare, sempre fissandosi negli occhi, siedono a un tavolino. Il bar è sprofondato nel più totale silenzio. L'angelo mischia le carte, le appoggia sul tavolino dei suoi due amici: il Barone taglia il mazzo. A questo punto l'angelo le mischia un'ultima volta, ci soffia sopra e le allarga sul tavolino dei due pianisti, che ne prendono una a testa. Entrambi i pianisti guardano la propria carta e sorridono, fissandosi in gesto di sfida.
Il pianista che suona gira la sua carta. E’ il Dieci di stelle!
Un "ooooh" riempie il locale: le ragazze si stringono vicine, ognuna tenendo stretto il braccio di un'altra; il Barone sorseggia un wiskhy & soda, con un sorriso leggero, l'uomo dei vetri si guarda le unghie e ci soffia, l'angelo osserva in silenzio, il barman ha posato il bicchiere e telefona alla polizia, parlando sottovoce dietro la macchina del caffè.
Il pianista che non suona gira la sua carta. E’ un Undici di stelle!
A questo punto il pianista che suona si alza di scatto dalla sedia facendola cadere alle sue spalle e urlando forte "è un inganno, l’Undici non esiste! Hai barato!" Poi indietreggia e porta la mano alla tasca sinistra del giubbotto da dove spunta il calcio di una rivoltella, ma non arriva nemmeno a toccarla. E' risuonato uno sparo nel silenzio.
Il pianista che suona ora ha uno sguardo sorpreso, un sottile rigagnolo di sangue scende sui due lati del naso fino agli angoli della bocca, da un piccolo foro apparso all’improvviso proprio in mezzo ai suoi occhi. Cade in ginocchio e subito dopo si accascia a terra su un fianco, restando lì, come rannicchiato sul pavimento del locale, mentre il Barone va a sedersi al pianoforte e comincia a suonare un rag-time di Milhaud.
Il pianista che non suona, ancora seduto al tavolino, rinfodera la pistola, dopo avere soffiato nella canna; le cinque ragazze sorridono e bevono le loro bibite alla menta, l'uomo dei vetri gira un dito intorno all'orlo di un bicchiere facendolo fischiare leggermente, l'angelo ha raccolto le carte, si è seduto di fronte al pianista ed incomincia a fare un solitario, il barman si era gettato in terra e adesso la sua testa riemerge dietro al banco. La parete a specchio riflette tutta la scena, compreso Jovall seduto al tavolino; sul pavimento non c'è più nessuno: il pianista che suonava si è dissolto nel nulla.
Proprio in quel momento si spalanca la porta del locale ed entra un agente di polizia, con la pistola spianata: è una vecchia conoscenza, il verbalizzatore del Commissariato.
- Fermi tutti! Sono l’agente Percivalle del Distretto di Polizia! Cosa succede qui?

Tutti si voltano a guardarlo stupiti, tranne il barman, tornato in immersione dietro al banco.
Il poliziotto si guarda tutto all’intorno, in silenzio. Poi mette via la pistola e si avvicina al banco.
- Un caffè, veloce! Ho lasciato fuori il cavallo parcheggiato in doppia fila.

05/03/2004 00:13
 
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Un racconto noir, con un pizzico di humour che non guasta.
Un saluto a Gio, a Luba, alle Esmeralde,a Sagitt, e a tutti coloro che mi hanno accolta con tanta gentilezza in LIBERE PAROLE.
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05/03/2004 07:38
 
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Capitoli 7 - 8
Gio Girisper

7.

Da questo punto, fissati i termini cronachistici della vicenda, si può raccontare al passato remoto, come si fa nei romanzi di tutto rispetto. Capiterà di tornare all’uso dell’indicativo presente nei punti in cui la narrazione lo richiederà, per garantire un maggiore effetto di suspence.
Le ragazze lasciarono il bar con le idee un po’ confuse, ma ormai era chiaro che il pianista che suonava non era altro che l’immagine uscita dallo specchio, che ora vi era rientrata. Come mai era successo questo? Questo non lo potevano capire. Forse qualche forza misteriosa aveva tentato di sostituire il pianista con una copia, forse l’origine di questa “forza” era la stessa che aveva mandato l’uomo coi baffi ad eliminare il pianista, che lo aveva preceduto. Ma qual era il ruolo del pianista e cosa aveva a che fare con loro? Nemmeno Luba, che pure era sicura di averlo già conosciuto, non sapeva rispondere a questa domanda, anche perché non riusciva a ricordare dove e quando aveva effettivamente avuto a che fare con lui.
Intorno a mezzogiorno andarono alla stazione ad accogliere Kate e Prisca, che arrivarono insieme. Erano anche loro belle e bionde. Gio ebbe un momento di crisi:
- Ehi, ma tutte bionde siete? Sono io l’unica mora?

Non riuscirono a convincerla a tingersi i capelli: lo aveva fatto anni prima, ma bionda non si era piaciuta ed era subito tornata al suo colore naturale.
Per prima cosa misero al corrente Prisca e Kate delle ultime novità, poi decisero all’unanimità di affidare il manoscritto a Kate, la veterana del gruppo, che lo depose nella sua capiente borsetta. A questo punto Gio propose di prendersi una giornata di riposo e andarsi a divertire, magari trovando sette bei ragazzi per passarci piacevolmente insieme la serata e magari anche la notte. Si opposero fermamente Prisca, Esme e Raldy che erano già fidanzate e Lola che era troppo timida per buttarsi a fare certe cose; le stesse Luba e Kate avanzavano qualche dubbio: va bene passarci la serata, ma la notte…
- E va bene – tagliò corto Gio – allora potremmo trovare sette bei ragazzi per passarci la serata a cena e poi magari in qualche locale. Poi voi ve ne andate a dormire e io me li porto a casa tutti e sette per passarci la notte.

Esme a quel punto le versò nell’ampia scollatura sul retro della maglietta una bottiglietta di mezzo litro d’acqua minerale gelata, la quale fece l’effetto di sbollire un po’ Gio che già stava visibilmente partendo per la tangente. La saggia Luba prese in pugno la situazione:
- Ragazze, non possiamo permetterci il lusso di perdere il poco tempo che abbiamo a disposizione in divertimenti. Bisogna fare qualche sacrificio. Ricordiamoci che abbiamo preso tutte un periodo di ferie o di aspettativa per poter seguire per bene questa vicenda, che mi pare non sia ancora del tutto chiara. Visto che nella questione è stato coinvolto il Club, sebbene in questa prima fase ci occuperemo di tutto noi ragazze, io direi di preallarmare anche i nostri amici: Conroy Lenn, Zublinky, Sagitt, Faber, Boris e Cincinnatus. Se come mi è parso di capire, da quanto Gio ha raccontato del suo sogno, ci sarà da guadagnare qualcosa da questa storia, è giusto che si divida amichevolmente fra tutti i soci fondatori del Club di Libere Parole, in parti uguali, ma è anche giusto che ciascuno dia il proprio contributo. Giusto?

Le sei amiche annuirono convinte. Se poi qualche amico si fosse aggregato, come Roby, Bard, Climby, Ninni e altri ancora, tanto meglio. Cominciarono a fantasticare intorno all’idea di fare un colpo grosso tutti insieme, mettendo le mani su qualche tesoro di incommensurabile valore, così da poter d’ora in poi vivere di rendita dedicandosi interamente alla scrittura, alla lettura, alla musica, ai viaggi, al divertimento e al loro circolo culturale: il Club di Libere Parole. E comunque erano d’accordo nel trovare avvincente essere tutte insieme coinvolte in questa avventura dai contorni misteriosi.
Passarono il pomeriggio girando per Genova, scesero fino al mare e poi tornarono in città, passeggiando per i vicoli interni, i famosi e caratteristici “caruggi”, continuando a fantasticare e a discutere della vicenda, senza quasi accorgersi che nel frattempo erano calate le ombre della sera. Era ormai tarda notte quando, infilandosi a caso in un'altra viuzza di quel labirinto che è il centro antico di Genova, a Lola venne in mente una cosa.
- Ragazze, ma non avete notato anche voi una certa rassomiglianza fra il pianista e il Barone? Pur così diversi nel vestire e nel portamento, pur essendo l’uno gioviale e con un’aria serena e ironica, quanto l’altro piuttosto accigliato e con un’aria severa e glaciale, si direbbe abbiano lo stesso viso!
- E’ vero!
Commentarono le altre quattro ragazze che li avevano visti. Tra l’altro, pur apparendo ad una prima impressione l’uno avanti con gli anni, il Barone, e l’altro ancora giovane, il pianista, a ben pensarci nel guardarli in volto potevano in realtà essere persino coetanei. Prisca, non potendo aggiungere altro non avendoli ancora visti di persona, avanzò il dubbio che potessero essere fratelli, forse addirittura gemelli. Kate, che a sua volta ancora non li conosceva, fece il suo commento in forma più scettica:
- Con tutte queste storie che mi avete raccontato di specchi e di doppioni, di gente che ora c’è ed ora sparisce nel nulla, non sarà poi che il Barone e il pianista Jovall siano la stessa persona?
- Impossibile: li abbiamo visti insieme, erano presenti nel bar contemporaneamente.
- Allora, chissà – replicò Kate – forse questo pianista silenzioso e alquanto antipatico la sa lunga davvero su tutta la questione del manoscritto e magari questo sedicente Barone che prima compare in sogno, poi quando vi incontra non si fa riconoscere e non vi rivolge nemmeno una parola e uno sguardo, non è altro che la sua controfigura!



Walko

8.

- La controfigura di chi?
Guardarono in alto, seguendo il suono della voce. In piedi su un camino, illuminato nel buio pesto da una luce di fuoco alle sue spalle che proveniva da dove non si sa, c'era proprio lui: il Barone, con il mantello nero violentemente scosso dal vento. E' interessante notare che stranamente a Genova quella sera non c'era un filo d'aria.
- La controfigura di chi?
- Scusi la nostra amica Kate, signor Barone - fu Luba ad intervenire - è andata un po' in confusione con la storia di un certo manoscritto: ha pensato che se lei ne è l'autore forse si tratta di un'ennesima controfigura del pianista, che poi nei fatti non è più pianista, bensì scrittore.
- Da perderci la ragione in tutta questa storia, poffare...
Detto questo d'un balzo saltò giù dal tetto, atterrando con la leggerezza di un felino davanti alle ragazze del Club.
- Permettete che mi presenti: sono il Barone Occlavius Di Curtius-Pignus-Telium. Non sono l'autore del manoscritto, bensì il suo legittimo proprietario. Lo acquistai il giorno stesso del mio omicidio, non feci in tempo a leggerlo e andò perduto; rintracciato casualmente a Bologna, acquistato ad un'asta da un amico fidato e messo al sicuro all’interno di un pianoforte, stavo ormai finalmente per rientrarne in possesso, quando venne misteriosamente trafugato.
- Da chi?
– Non si sa. Di sicuro si sa che alcuni anni fa, durante i lavori di ristrutturazione, finì murato nella casa di Genzano, dietro la parete dove Gio lo ha recuperato, dietro mia indicazione.
- Ma lei – interloquì Raldy – come ha saputo che si trovava lì?
- L’ho saputo una decina di giorni or sono dal bisnonno di Gio, che fu Ambasciatore ad Atene e lì conobbe un Legato Pontificio della Nunziatura Apostolica ormai in tardissima età, che era stato mio collaboratore quand’era ancora molto giovane. Tramite questa comune conoscenza ho parlato con lui, che mi ha svelato il segreto.

Gio intervenne, cercando di mantenere la calma e magari riportare il discorso su basi logiche.
- Mi scusi, Signor Barone, ma il mio bisnonno, che era in effetti un diplomatico, non l’ho conosciuto, perché è morto ben prima che io nascessi. Come ha fatto a parlargli dieci giorni fa?
- Ci siamo incontrati a Trieste, dove visse i suoi ultimi anni. Lui mi ha detto dov’era il manoscritto e mi ha indicato di unire le forze con Jovall e i suoi amici, qui a Genova, visto che erano già impegnati nella ricerca di quel che cerco io per loro conto. Dunque mi sono trasferito qui, ospite di mio fratello Octavius che vive… o meglio, che ha dimora presso un antico palazzo del centro. Ed ora ci siete anche voi del Club di Libere Parole.

Le sette ragazze deglutirono all'unisono. La prima a riprendersi fu Esmeraldas.
- Barone Oclusio-Dicurzi-Pignatta-Terrina....
- Occlavius Di Curtius-Pignus-Telium !!!
- Troppo difficile...signor Barone… potrebbe togliermi una curiosità? Come ha fatto a salire lassù, e a poi a saltare giù come fosse da una sedia?

La interruppe Prisca.
- Lasci stare signor Barone, le mie amiche non hanno dimestichezza coi fantasmi.

Le sei amiche impallidirono e si strinsero tra loro, facendo un passo indietro.
- Io ci sono abituata ad avere a che fare coi suoi colleghi. Veniamo al dunque: quanto è disposto a pagare per tornare in possesso del manoscritto?

Il Barone lanciò nella notte una delle sue prolungate risate baritonali, con tanto d’eco.
- Pagare? Ma il manoscritto è mio! L’ho già pagato una volta. E poi non ho soldi, di là non ce n'è bisogno.

Le ragazze si scambiarono tra loro uno sguardo che traduceva la frase: "in effetti...". Kate fu la prima a reagire.
– Le ragazze mi hanno parlato di sogni, di specchi, doppioni e sparatorie, adesso si parla pure di fantasmi! Io se non tocco con mano non ci credo: lei magari è solo una specie di Copperfield, quello che fa scomparire le statue, un esperto di effetti speciali. Insomma, mettiamola giù piatta: senta un po', signor mascherone, chi ci dice che con la scusa della dipartita e della fantasmeria lei non ci stia in realtà tirando un cosiddetto pacco?

Il Barone sorrise, alzò la mano destra con un gesto da direttore d'orchestra e Kate prese il volo, ritrovandosi seduta sullo stesso camino dov'era apparso il Barone poco prima.
- Fatemi scendereeeeeeeeeee! Qualcuno mi tiri giù di quiiiiiiiiii!

Luba intervenne a quel punto, a intercedere per l'amica, mentre Esme, Raldy e Lola assistevano alla scena sbigottite, Gio col naso in aria rideva e Prisca sbuffava.
- La faccia scendere, le crediamo. E poi il manoscritto ce l'ha proprio lei in borsetta. La tiri giù dai tetti senza incidenti e potrà risprendersi il suo manoscritto.
- Ma no, che stia ancora un po' lassù, così impara a chiamarmi controfigura e a mettere in dubbio il mio status.

Prisca intervenne a sua volta:
- Su, non si metta a fare i dispetti adesso! Un nobile fantasma come lei! Comportarsi come un bambino capriccioso!

Per ultima intervenne Gio:
- Mi fa volare anche a me sul tetto?
Luba le diede una gomitata.
Il Barone alzò di nuovo la mano e Kate atterrò dolcemente vicino a loro. Le erano venuti i capelli tutti bianchi.
- Basta perdere tempo, - riprese il Barone - datemi il manoscritto. L'avete letto?
- Ma che letto? E' scritto in cinese... poi è ancora da definire se è il caso di darle il manoscritto così, gratis! A noi cosa viene in tasca da tutta questa vicenda?
- Non è scritto in cinese, ma è una specie di gaelico antico, un idioma celtico ancora non interpretato. Sentite ragazze: so che vi piacerebbe fare un colpo grosso. Ebbene, attraverso questo manoscritto se ne può mettere a segno uno davvero enorme. Perché farci concorrenza? Voi, l'ex pianista Jovall, Zeno, l'angelo Angelo e il sottoscritto potremmo unire le forze. Tanto più che anche la polizia cerca di impossessarsi della stessa cosa, se ne sta occupando l’agente Percivalle in prima persona. E comunque bisogna precisare che il manoscritto di per sé non vale granché. Quel che conta è il suo contenuto, che se interpretato correttamente può farci arrivare al tesoro di cui dovremmo impossessarci.

Le ragazze si strinsero in cerchio, parlando sottovoce fra loro per qualche minuto, poi in coro si rivolsero al Barone.
- Siamo d'accordo.
- Benissimo! Allora mettiamoci subito al lavoro.
- Ma si potrebbe prima sapere di cosa dobbiamo impossessarci?
- Del Sacro Graal, ovviamente! Prima che lo ritrovi Percivalle, che lo riconsegnerebbe gratuitamente al proprietario.
– Cioè a chi?
- Cioè al Papa. E' una lunga storia: io ero riuscito ad introdurmi nelle stanze Vaticane, come segretario segretissimo di Sua Eccellenza Pellegrino Rossi, Ministro del Sommo Pontefice Pio IX. Mi riuscì di penetrare nelle più segrete stanze e qui mi impossessai del Calice, per il cui riscatto la Santa Sede sarebbe stata disposta a sborsare una cifra astronomica. Ma qui mi accorsi che in realtà si trattava di un'imitazione, lasciata lì da qualcuno che mi aveva preceduto, chissà da quanto tempo. Il fatto è che nessuno aveva mai avanzato alcuna richiesta di riscatto, per cui conclusi che l'Oggetto era finito nelle mani di un collezionista o di qualcuno che non aveva compreso l'importanza e il valore del medesimo. Per vie traverse entrai in possesso del prezioso manoscritto, vergato moltissimi secoli prima da un veggente celta, che contiene la storia dell'Oggetto in ogni suo passaggio sino al definitivo ritorno nelle mani del Papa, che per averlo ovviamente dovrà versarci un lauto compenso, perché saremo noi a trovarlo: sono sicuro che questo è il finale del manoscritto! Lì dunque è scritto dove si trova ora il Graal: si tratterà di tradurre il testo e di andare a recuperare il prezioso oggetto: per voi ci sarà di che arricchire fino all'inimmaginabile, per me la soddisfazione d'aver portato a termine il colpo, con l’aiuto dei miei amici Jovall e compagni, che per parte loro avranno ottenuto lo scopo della loro missione, che è semplicemente quello di ritrovare il Calice e farlo tornare al suo posto, non importa come. Dunque, come potete vedere, il guadagno dal punto di vista puramente monetario è interamente a vostro appannaggio.
- Ma lei è stato assassinato a causa del Graal o del manoscritto?
- No, per cause del tutto estranee. Dovete sapere che naturalmente, considerato l'onore mio e del mio antico Casato, in quei giorni io agivo in piena consonanza con il Segretario di Stato Pellegrino Rossi e proprio a causa di questa lealtà anch’io fui assassinato, come lui poche ore innanzi, con un colpo di coltello alla gola per mano di Ciceruacchio, la sera del 15 Novembre dell’anno 1848. Così ai tempi sfumò l'impresa, ma sono tornato per questo, per portarla infine a compimento. E' tutto chiaro adesso?

Le sette ragazze erano un po' sbalordite, pensavano che quando avrebbero raccontato tutto a Blondie, Philia e Fiore, queste le avrebbero prese per pazze. Ma al di là di tutte le stranezze della vicenda e della proposta, non tardarono a fiutare l'affare e a dirsi pronte ad agire già da subito. Il Barone sorrise, battè le mani due volte e i capelli di Kate tornarono biondi come prima, dopo di che con grande effetto scenografico spiccò un salto di rara leggerezza, si femò un attimo su un tetto il tempo per dire "a presto ragazze!" e poi saltò giù dall'altra parte del caseggiato, scomparendo alla loro vista e finendo diritto dentro a un cassonetto dell'immondizia aperto, con suo grande sbigottimento e disappunto.
Le sette ragazze del Club di Libere Parole si guardarono in viso e all'unisono esclamarono:
- Ma che figo che è 'sto Barone!

Il Barone se ne era andato così all’improvviso, senza nemmeno farsi restituire il manoscritto. Questo era un chiaro segno di fiducia, ma forse anche un silenzioso invito a darsi da fare anche loro, seguendo qualche utile pista che avrebbe potuto condurre alla traduzione del manoscritto. Si trattava di rintracciare qualcuno che conoscesse il gaelico antico. Prisca fissò a lungo la luna e all’improvviso fu scossa da un'illuminazione:
- Ragazze! Sapete bene che io da molto tempo frequento un certo Circolo della Poesia! Ebbene: conosco colui che presiede gli incontri dei Poeti, un mago che da qualche tempo non appare che molto raramente, da che si è ritirato a fare l'eremita nella sua grotta sul Monte Pennice: si tratta del mago Gaelicus Pennicus...
- Sì, ne abbiamo sentito parlare!
Risposero in coro le altre ragazze.
- Chissà...forse potrà esserci d'aiuto.

Partirono subito, senza indugi, alla volta del monte Pennice, alla ricerca dello stregone Gaelico. Lungo la strada sarebbero passate da Alessandria a prendere Fiore; Blondie proveniente da Pavia si sarebbe unita a loro lungo il percorso, mentre Philia che era già in viaggio da Napoli, avvisata con un sms avrebbe prolungato il tragitto sino al Pennice e lì si sarebbe riunita con le altre.
Il Barone, ancora visibilmente contrariato per il piccolo incidente occorsogli, appollaiato su di un palo della luce, con una buccia di banana che gli pendeva dal cappello e alcuni resti di pelle di salame sulle spalle del mantello, le osservava perplesso: le ragazze stavano perdendo tempo, in quanto Gaelicus Pennicus parlava solo l'Occitano, come ben sapeva il Barone da quanto gli aveva riferito Angelo, che aveva preso contatto con il suo collega Angelus Sortis, un tempo stretto collaboratore del mago. Decise comunque di lasciarle fare e di dedicarsi a rintracciare gli altri complici, per parlare loro di un'altra sua idea: viveva nella Marsica un alchimista che secondo alcune voci era senz'altro al corrente di qualche notizia relativa ai trafugatori del Calice, non si sa bene quale, ma era senz'altro il caso di scoprirlo. Chissà che, fra Gaelicus Pennicus con le sue ampie conoscenze e l'alchimista Jammarcus Cepostas con le sue vaste esperienze, non si potesse fare un passo avanti nell'intricata vicenda.

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Capitoli 9 - 10
LuBa Zadora

9.

Nel frattempo le ragazze si erano unite a Fiore e a Blondielaura, detta Blondie, per strada e giunte alle falde del Monte Pennice trovarono anche Simphilia, detta Philia, ad attenderle. Si ritrovarono così a ranghi compatti, tutte e dieci, ed insieme si recarono nella grotta del mago eremita, Gaelicus Pennicus, che le ricevette senza profferire parole e le fece accomodare, accovacciate in terra su una stuoia, nella saletta di ricevimento che non aveva altro mobilio all’infuori di un tavolo con sopra una strana sfera magica, che pensandoci non si poteva nemmeno definire “sfera”, visto che era quadrata. Il mago le scrutò a lungo, una per una, poi finalmente parlò:
- Prisca e Kate Orlandow, mi ricordo di voi. Anche voi due, Fiore e Philia, ricordo di avervi incontrato nel circolo dei Poeti. Ma le altre? Chi siete?

Rispose Luba per tutte:
- Maestro Gaelicus, anche noi ci siamo incontrati qualche volta. Io sono Zadora.
- Ah, sì. Ora ricordo. E ricordo molto vagamente anche Blondielaura. Siete le ragazze del Club di Libere Parole. Ma Gio, Esmeraldas, Esmeraldinhas, Lola Tekila… chi sono? Qual è il vostro vero nickname con il quale vi conosco?
- No, non ci conosciamo – rispose Esmeraldas – non ci siamo proprio mai visti, questo è il nostro unico nome…
- Impossibile! Avanti, ditemi la verità: chi di voi è Tuia? E Gardenia? E Amarganta? E Danzandosottolaluna, Universorosa, Paranoimia, Skydos, Alhia?
- Ma che sta a di’?

Fu Gio a porre la domanda guardando dritta Prisca, che dell’ambiente del Circolo dei poeti era un po’ la veterana e lì conosceva quasi tutti, e che rispose:
- No Gaelicus, queste ragazze non frequentano il Digi-circolo; quelle che hai nominato sono Poetesse della Luce…
- Ah, ed esse non son tali? Allora sono Poetesse per Caso? Qual è dunque il vostro vero nome? Fiordineve, Beldanubioblu, Fiorearcobaleno e Deborahmora forse?
- No, Gaelicus, non ci siamo! Loro sono del Club di Libere Parole, come noi: non abbiamo a che vedere né con le Poetesse della Luce, né per Caso, né altre ancora. E ti ripeto che loro quattro non hanno mai messo piede al Digi-circolo dei Poeti.
- Allora frequentano altri circoli! Quali? Quello dei sogni, degli angeli e delle fate forse? O degli strizzacervelli, dei riflessivi, dei dolci, dei piccanti, dei chatanti?
- Ma no!
- Ho capito. Sono di quelle che si fermano al punto di partenza…
- Gaelicus, esiste un mondo anche al di fuori di lì!
- Mi giunge nuova.

E detto questo cadde come in catalessi, mentre due cameriere in tenuta da mondina offrirono alle dieci ragazze un delizioso thè di riso. Il mago eremita parve rianimarsi dopo qualche minuto, quando improvvisamente esclamò:
- Non sarete mica le anime dei bannati che vengono a tormentarmi?
- Le anime dei dannati? – disse Fiore – addirittura?
- Non dei dannati! Dei bannati: Cobite, Ziloss, Effendi, Mehari!

Prisca scoppiò a ridere, mentre quasi tutte le altre amiche assistevano alla scena con aria interrogativa. Prisca rispose loro girando l’indice a significare: “dopo ve lo spiego”, poi si rivolse al mago:
- Gaelicus, tranquillo, non è niente di tutto questo. Un giorno con più tempo a disposizione, magari al Digi-circolo, cercherò di spiegarti. Oggi siamo qui solo per chiederti se conosci la lingua Gaelica, perché ci servirebbe una traduzione.

Il mago le guardò con sulla faccia la tipica espressione di uno struzzo a cui un passante ha chiesto che ora è. Poi si scrollò e rispose:
- C’è un equivoco di fondo: io mi chiamo Gaelicus, ma del Gaelico so tanto quanto voi ne sapete della coltivazione del riso. Cosa sapete voi della coltivazione del riso?
- Niente. – risposero in coro le ragazze.
- Appunto. Se volete posso darvi lezioni, del tutto gratuitamente.
- Grazie, maestro Gaelicus Pennicus, ma abbiamo molto da fare. Magari un’altra volta, molto volentieri.

Tagliò corto Luba Zadora. Detto questo, si congedarono velocemente e intrapresero la strada del ritorno mestamente, dato che non avevano risolto un bel niente e si ritrovavano al punto di partenza. Strada facendo a Kate venne un’idea e la propose:
- Ho sentito parlare di due studiosi che vivono ad Alessandria. Tornando a Genova potremmo farvi tappa. Pare che si tratti di due tuttologi assoluti, magari conosceranno pure l’antico Gaelico e potranno esserci di aiuto, anche se non godono fama d’essere brave persone, anzi tutt’altro. Si chiamano Walko e Rei, detto anche Rei Rider, e si dice siano due mostri: vecchissimi, orrendi, gobbi davanti e di dietro, bavosi, con lunghi artigli al posto delle unghie, denti da vampiro, occhi strabuzzati!
- Ma che schifo! – disse Gio – Non era meglio cercare dieci bei ragazzi che…
- Si può provare – la interruppe Philia – non ci faremo certo spaventare dall’aspetto.
- Non mi sono nuovi questi due nomi: Walko e Rei Rider – disse Luba – mi pare che addirittura abbiano a che fare con l’antica fondazione del nostro Club, quando quasi nessuna di noi ne faceva ancora parte.

Prisca e Kate, che ne facevano parte sin dalle origini, confermarono: si diceva che Walko fosse il fondatore di Libere Parole, e dove c’era Walko c’era di sicuro anche Rei, visto che i due, tra l’altro cugini fra loro, collaboravano in ogni attività, da sempre. Decisero che valeva la pena tentare e si diressero decisamente verso il loro oscuro castello diroccato, dalle parti di Alessandria.
Mentre le ragazze viaggiavano allegramente sul pulmino preso in prestito da Esmeraldinhas dall’agenzia di viaggi dove aveva lavorato qualche tempo prima, a Genova le oscure forze del male si erano rimesse in azione: l’uomo dai capelli rossi che spesso le aveva pedinate, attese in un vicolo buio che passasse Angelo e gli scaricò addosso i due caricatori delle sue due pistole, poi si diede alla fuga, ma non aveva ancora terminato il suo compito. Un’ora dopo andò all’antico palazzo disabitato del centro dove soggiornava il Barone Occlavius, ospite del suo nobile fratello Octavius. La notte precedente aveva sistemato un barile di acido altamente corrosivo sotto una finestra del soggiorno, che dava sul cortile. Si fece ricevere da Octavius, presentandosi come un agente immobiliare che voleva acquistare il palazzo. Octavius cercò di spiegargli che lui era solo l’inquilino non pagante dello stabile e che ignorava chi ne fosse il proprietario; inoltre lo sconsigliò riguardo l’acquisto, spiegandogli che nessuno voleva andare ad abitare in quel palazzo, poiché era notoriamente infestato da fantasmi, peraltro pacifici e persino simpatici, ma si sa che la gente ha paura di queste cose. Al rosso pareva non interessasse altro che vedere il soggiorno che dava sul cortile, al piano rialzato. Octavius lo accontentò con la sua solita affabilità e proprio quando fu vicino alla finestra l’uomo lo sorprese e lo spinse giù, facendolo cadere nel barile di acido. Dopo pochi secondi di quel che era il fantasma del Barone Octavius rimase appena un po’ di schiuma galleggiante. L’orribile uomo dai capelli rossi chiuse il barile e si recò in un altro palazzo vecchio e oscuro, salì fino al quarto piano attraverso scale e corridoi bui e finalmente suonò tre volte il campanello di una porta di legno massiccio recante una targa di ottone con su incisa la scritta: “Congregazione degli Aritmetici”. La porta si aprì lentamente con un fastidioso cigolìo e si richiuse dietro alle sue spalle, l’uomo attraversò un lungo corridoio scuro drappeggiato di nero e viola, che lo condusse ad un ampio salone, con molte sedie e in fondo una enorme cattedra assisa su un rialzo con quattro scalini. Dietro la cattedra c’era un uomo seduto su di una poltrona fatta a trono, immerso nel buio in modo che i lineamenti del suo viso non fossero riconoscibili. L’uomo dai capelli rossi si inchinò davanti all’uomo in ombra e restando a capo chino disse:
- Venerabile Supremo Priore, ho portato a termine con successo pieno il compito che mi avete fatto l’onore di assegnarmi. Ho eliminato due componenti di quella banda di cialtroni: il ragazzo di nome Angelo e il Barone Occlavius.


Walko

10.

- Accidenti! Accidenti! Accidenti!
Jovall è fuori di sé. Zeno tenta di placarlo.
- In fondo non è successo nulla, capo…
- E non chiamarmi capo!
Quando è così incazzato Jovall è veramente intrattabile. Il Barone sta defilato, ufficialmente Jovall è un suo discendente, ma non è proprio il momento di ricordarglielo, per cui si limita a buttar lì una domanda:
- Ma si può sapere cos’è questa maledetta Congregazione degli Aritmetici?
- E’ una lunga storia, fattelo spiegare da Sagitt che conosce la vicenda per filo e per segno: in parole povere è una congregazione nata anticamente come movimento filosofico che si rifaceva a Pitagora, ma che con il tempo è diventata nei fatti una setta materialistica segreta che ha fatto dell’economia in senso lato una religione; affermano che l’unico potere mondiale va controllato dalla grande finanza capitalistica e dei banchieri, e combattono qualunque altra idea diversa, specialmente se di genere umanistico. Anche loro cercano il Graal, per distruggerlo, perché vi vedono il simbolo di tutto ciò che resiste al potere assoluto dell’economicismo puro. Comunque questa storia mi dà fastidio, questa scocciatura non ci voleva proprio, troppa gente sta cercando il Graal!
- Ma chi è l’uomo dai capelli rossi? E perché ce l’ha con noi?
- Era solo un esecutore, un piccolo Aritmetico da quattro soldi, come quell’altro del bar, il baffone. Aveva avuto l’incarico di ucciderci tutti, figuratevi, per toglierci di mezzo dalla ricerca del Calice. Stamattina è venuto qui, armato fino ai denti. Ha avuto quel che si meritava.
- Un colpo in fronte?
- Esatto.
– Ben fatto, cap… ehm, volevo dire… Jovall…
- Se qualcuno di voi mi chiama ancora capo…..ci siamo capiti!

Jovall ha in mano la sua inseparabile S. & W.; Zeno annuisce silenziosamente; Angelo alza le spalle, lui non si sbaglierà di certo. Il Barone ha ancora qualcosa da dire:
- Ad Angelo non è successo nulla, a lui i proiettili lo passano da parte a parte come ogni altra cosa senza lasciargli un segno né fargli solletico. Ma mio fratello Octavius, scambiato per me da quel cretino, è stato spinto in un barile di acido e si è sciolto completamente! Dov’è finito adesso?
- Tranquillo Occlavius, si è già ricomposto. Però è meglio che non si faccia vedere in giro per un pezzo, e anche tu stai nascosto: i congregati del cavolo ti credono defunto, cioè non sanno che lo eri già anche prima, loro non credono a queste cose… sniff sniff… ma che razza di profumo ti sei messo Occlavius?
- Eh? Ah…ehm…no…non è un profumo…uff…
- E meno male! Dalla puzza si direbbe che tu sia appena uscito da un bidone della spazzatura!
- Lasciamo stare…un piccolo spiacevole contrattempo, anzi….posso andare a cambiarmi, Woland?
- E non chiamarmi Woland!!! Per la miseria!!!
- Scu…scusa Jovall…l’abitudine…
- Basta perdere tempo, datti una lavata e travestiti, ché il Barone deve sparire per qualche tempo. Anche tu, Angelo, devi cambiare identità. Lasciamo che quegli idioti pensino di avervi eliminati davvero. Avvisate le ragazze del Club del pericolo degli Aritmetici, per il momento non posso occuparmi di loro. Non perdiamo altro tempo, domani si parte per la Marsica.

Di primo mattino, un’automobile avanza nella nebbia degli appennini, fatta di nuvole basse: alla guida c’è un uomo alto coi capelli grigi, al suo fianco una ragazza coi capelli rossi, dietro un uomo vestito di scuro con un cappello nero calato sugli occhi di ghiaccio; al suo fianco un cane dobermann dagli occhi infuocati, con il muso appoggiato sul suo ginocchio. Ad un certo punto l’auto entra in un’area di posteggio, qui una figura esce dalla nebbia, l’auto si ferma. Il dobermann salta nel portabagagli retrostante. L’uomo con il cappello calato sugli occhi apre lo sportello.
- Buona sera, dottor Carlos Campanal, scusa il ritardo.
- Ormai pensavo di avere sbagliato l’area di parcheggio. Si va?
- Si va.

Durante il viaggio verso la Marsica i cinque personaggi trovano modo di fare un po’ il punto sulla situazione. Angela, la ragazza dai capelli rossi che prima era Angelo, aveva contattato le ragazze e saputo che stavano pensando di rivolgersi agli esperti di filologia, Walko e Rei Rider. Jovall avverte che costoro non sono tipi molto raccomandabili, per cui le ragazze potrebbero avere noie e potrebbe rendersi necessario intervenire in loro aiuto, visto che ormai sono complici. Interviene il dobermann, Cornelius IV, che prima era il Barone Occlavius.
- Amici, ho già sentito parlare di Walko & Rei, ma non ricordo esattamente chi sono…
- Nessun problema – è Jovall a parlare – Carlos sa tutto di loro: so che si è scritto una piccola biografia, così tutti sapremo con chi abbiamo a che fare. Vai Carlos, leggici le tue note.

Campanal estrae un manoscritto tutto stropicciato dalla tasca interna del suo impermeabile, tutto stropicciato anche quello, si schiarisce la voce e poi comincia a leggere:
“ Walko e Rei sono nati in due città diverse, ma a non molta distanza fra loro: non se ne conoscono i nomi perché i cittadini di quelle città li bandirono alcuni secoli fa e si è persa ogni traccia anagrafica, presumibilmente bruciata, dei due loschi figuri. Non si sa neppure la loro età esatta, ma pare fossero giovani durante il periodo del Terrore seguito alla Rivoluzione Francese, durante il quale essi furono attivissimi come falsi testimoni in processi politici e come ghigliottinatori. Cresciuti in perfetta armonia con un ambiente sporco e volgare, da anni vivono in un sinistro maniero protetto da armigeri violenti, maleducati e ignoranti, circondato da un fossato pieno di pirañas e coccodrilli. Si sono dedicati alle più disparate discipline, convinti come sono d’essere essi la sintesi vivente fra Leonardo, Dante, Machiavelli, Platone e Beethoven: dunque discipline artistiche, filosofiche e scientifiche, in ciascuna delle quali hanno conseguito risultati vomitevoli. Entrambi hanno dedicato mezzo secolo della loro vita allo studio: hanno infatti ripetuto la prima classe elementare per quarantanove volte e si sono ritirati dopo un disastroso anno di seconda. Ricchi da fare schifo, dedicano gran parte del loro tempo ad aumentare un patrimonio liquido e fondiario accumulato in decenni di duro lavoro, fatto di sacrifici altrui e dei propri raggiri, truffe, sequestri, taglieggiamenti, scippi, rapine e saccheggi. Attivamente dediti al commercio degli schiavi, alla tratta delle bianche e all’import-export su vasta scala di organi umani di incerta provenienza, sono amici di molti potenti e praticamente in confidenza con Osama bin Laden, nonché fratelli di sangue del Conte Vlad detto Dracula. Nella loro lunga vita hanno litigato tra di loro una sola volta, quando si trattava di stabilire a chi dei due spettasse il diritto di mangiare l’unico occhio di un loro servitore, morto di stenti e per le ripetute percosse: risolsero la questione cavando un occhio all’anziana madre del servitore e degustandosi in tal modo un bulbo al forno a testa. Hanno un vero e proprio debole per i bambini, che amano torturare con metodi raffinati e stravaganti, e adorano i cuccioli di tutti gli animali, specialmente i gattini siamesi, che usano cucinare personalmente, particolarmente in umido con contorno di patate bollite e ramarri scottati. Riguardo i loro scritti (poesie, romanzi, saggi, commedie), i critici letterari più dubbiosi non possono resistere alle loro argomentazioni: chiunque osi muovere il più piccolo rilievo o appunto alle loro opere, viene da loro personalmente demolito a colpi di ascia o di scimitarra, poi dissolto in botti colme della loro orina, notoriamente corrosiva. Per tutti questi motivi essi amano definirsi un po’ eccentrici, ma sostanzialmente buoni. Incrollabilmente democratici, tolleranti e persino femministi, giurano di non avere mai violentato o sventrato o impalato una donna, né pugnalato o impiccato o arso vivo qualcuno, senza prima avere ottenuto il loro consenso sottoscritto e firmato, che viene regolarmente estorto attraverso la somministrazione di supplizi inenarrabili. In realtà, non hanno mai torturato qualcuno senza prima avergli chiesto se era d’accordo: ovviamente la sua risposta non viene tenuta in nessun conto, e d’altra parte non bisogna nemmeno esagerare con le concessioni democratiche. Sono in moltissimi ad attendere con ansia il momento in cui verrà finalmente il loro turno di trapassare, ma corrono sinistre voci circa la presunta immortalità di entrambi. Le voci corse, invece, a riguardo di un loro patto col diavolo, sono state seccamente smentite dall’interessato che ha dichiarato: “non tratto con certa gente, quando è troppo è troppo!”. Quando un disgraziatissimo giornalista li accusò pubblicamente di essere mafiosi, prima di scomparire nel nulla, fu querelato per diffamazione e calunnia aggravata. Dalla mafia. La loro cartella clinica, infine, è sconvolgente: sono portatori sani di peste, malaria, vaiolo, colera, cimurro, scorbuto, ballo di san vito, leptospirosi, colite, orticaria, vene varicose, forfora, smagliature, cellulite, mal di denti e unghie incarnite. La loro saliva provoca a chi ne viene a contatto il tetano fulminante o, nei casi meno gravi, insopportabili dolori addominali, con scariche di diarrea, sproloqui, miraggi e perdita irreversibile della memoria e d’ogni possibile attività sessuale. Una loro occhiata può far invecchiare di cinquant’anni sul posto. Le loro opere letterarie vanno a ruba, specie da quando si è sparsa la voce, per altro assolutamente fondata, che su chi non legge le loro opere graverebbe un’orrenda maledizione. Ah, un’ultima cosa: nelle comprensibilmente rarissime occasioni in cui ricevono visite da donne giovani e piacenti, come le nostre amiche per esempio, usano intrattenerle amabilmente, legandole e frustandole durante il corso di tutta la conversazione, ma lasciano poi che se ne vadano dal loro castello vive e vegete. Qualche volta. Quasi mai.”

I cinque amici proseguirono per un po' il viaggio in sbigottito silenzio. Angela ristabilì il contatto con le ragazze, che la aggiornarono sugli ultimi avvenimenti. Jovall uscì dal silenzio.
– Non so dove le ragazze abbiano attinto l’informazione circa la sapienza filologica dei due orribili personaggi: si è evidentemente trattato, come si dice in quel di Roma, de 'na sòla. Angela, avvisa le ragazze dell'abbacchio...ehm...volevo dire dell'abbaglio, e mettile in guardia riguardo ai due loschi figuri, riassumendo quel che ha detto poc'anzi il dott. Campanal. Io mi faccio una dormita, svegliatemi quando saremo in prossimità della magione dell'alchimista Jammarcus.

Di lì a pochi minuti, uno dopo l'altro, si addormentarono tutti e cinque i passeggeri, compreso Zeno che guidava l'auto. Tanto la vecchia 600 multipla celeste c'era abituata, e conosceva a memoria tutte le strade.

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Capitolo 11
Gio Girisper

11.

Mentre i cinque misteriosi personaggi viaggiavano verso la Marsica guidati dalla vecchia 600, le dieci ragazze del Club arrivarono davanti al castello diroccato e sperduto di Walko e Rei Rider. In effetti il maniero faceva una certa impressione, aggravata dai nuvoloni neri che ne disegnavano lo sfondo e che erano solo lì, visto che tutto intorno era una splendida giornata di sole. Prima ancora di annunciarsi in qualche modo, si abbassò il ponte levatoio, come se i due le stessero aspettando. Entrarono con il pulmino, notando che dal fossato circostante emergevano diverse pinne di squali tigre e i dorsi di alcuni coccodrilli. Parcheggiarono nel cortile interno e salirono le scale, ritrovandosi in un salone spoglio che poteva ricordare una palestra dove però, anziché attrezzi sportivi, erano visibili macchine di tortura e pendevano dal muro catene. Dopo pochi minuti la sala fu riempita da armigeri in divisa un po’ zuava un po’ zulu, che immobilizzarono le ragazze e poi sotto la minaccia delle lance acuminate le invitarono a spogliarsi, concedendo loro di tenere solo mutande e scarpe, poi le incatenarono a braccia sollevate, nel bel mezzo del salone, alle catene che pendevano dal soffitto. A questo punto le lasciarono sole. Prisca fu la prima a parlare.
- E adesso?
- Sarà l’usanza del luogo… - tentò Kate che cercava di farsi perdonare di aver avuto l’idea di andare lì.
- Strane usanze - rilevarono un po’ tutte le altre, tranne Gio che commentò:
- Però non è male questa usanza, la trovo, come dire… eccitante!

La fulminarono con lo sguardo, proprio mentre due figuri fecero capolino nel salone, ritirandosi subito dopo.
- Sono loro! – disse sicura Blondie – ora ricordo di averli già incontrati tempo fa!

Gio ancora una volta si sentì in dovere di esprimere la sua opinione.
- Sono loro i due? Per essere vecchi come er nonno de Matusalemme sono molto ben conservati. E poi non mi sembrano affatto brutti come si dice in giro, anzi, sapete che vi dico? Quasi quasi mi intrigano. Anzi, sapete che vi dico? Mi piacciono. Anzi, sapete che vi dico? Me li farei!
-Gio!!! – la richiamò severamente Esmeraldas – niente intelligenza col nemico!

Le altre approvarono gravemente. Fiore ed Esmeraldinhas erano sul punto di piangere, Kate, Prisca, Esmeraldas e Philia sprizzavano rabbia da tutti i pori, Lola si sentiva imbarazzatissima, Blondie e Luba erano concentratissime nella ricerca di una possibile soluzione per trovare una via d'uscita, ma al momento non trovavano nulla di praticabile; non rimaneva che aspettare la prossima mossa dei due loschi figuri. Gio ruppe il silenzio.
- Io comincio ad annoiarmi. Cosa ci faranno? Ci tortureranno? Ci faranno violenza carnale?

E così dicendo sorrideva e le brillavano gli occhi. Luba esplose:
- Insomma! Silenzio! Lasciatemi pensare!

In quel momento rientrarono i due padroni di casa. Parlò Walko per primo:
- Vi ringraziamo per la vostra visita, belle fanciulle. Dobbiamo confessare che siamo rimasti un attimo sconcertati nel vedervi: dieci ragazze in un sol colpo!
- Dici bene, cugino! Ora dovremmo frustarle a sangue per bene, come da usanza, ma anche ammettendo di prendercene cinque a testa, sarà comunque una faticaccia. Voi, ragazze, proponete qualcosa?

Intervenne Gio:
- Io di queste cose me ne intendo, ascoltate: secondo me, che soddisfazione c’è a stancarsi per poi fare la stessa cosa cinque volte? E poi comunque dovreste limitare i colpi: nel momento in cui alla prima dareste trenta colpi di frusta, che è il minimo, il braccio comincerebbe a stancarsi. All’ultima fareste solamente solletico. Quindi dovreste limitarvi a non più di una decina di colpi a testa, cinque sulla schiena e cinque davanti. Poca roba davvero. Ne vale la pena?

I due si guardarono con aria perplessa e un po’ sgomenta. Rei Rider annuì gravemente.
- La ragazza non ha mica tutti i torti, cugino.
- E allora, cugino, come risolviamo la situazione?

Intervenne nuovamente Gio:
- Io un’idea ce l’avrei: frustate solo me e lasciate perdere le altre. A me piace! Potrete frustarmi contemporaneamente, uno davanti e uno di dietro scambiandovi di posto ogni tanto, fino a stancarvi.
- Però! Non male questa ragazza, vero Walko?
- Sì, Rei, ma… mi chiedo: che soddisfazione c’è ad infliggere un tormento a una persona che prova piacere ad essere sottoposta a questo supplizio? Praticamente le faremmo un favore!
- E’ vero cugino! Non ci avevo pensato. Eh no, non è da noi! Schiavi! Slegate questa ragazza e fatela rivestire!

In quel momento Luba Zadora ebbe un’illuminazione delle sue e si mise a urlare, fingendo di non avere ascoltato gli ultimi commenti dei due:
- Eh no! Sei la solita ingorda e sfrontata! Mica solo a te piace essere frustata! E io? Voglio avere la mia parte, ne ho diritto!
Blondie fu la prima ad accodarsi:
- Ma sentitele! Se vi ho insegnato io il perverso piacere del sado-masochismo! Pretendo almeno un centinaio di frustate! Mi spettano.
Kate intervenne a sua volta:
- Ricordate che vi ho portate io qui, conoscendo l’usanza del luogo di frustare le ospiti! Quindi la prima devo essere io, finché la forza delle braccia dei fustigatori è ancora al massimo!

E via via si unirono tutte le altre, provocando infine una bolgia infernale in cui tutte urlavano di avere diritto di essere frustate, con forza e a lungo. Finché ai due crudeli anfitrioni scappò la pazienza.
- Bastaaaaa! Slegatele tutte, che si rivestano e ci raggiungano nella sala del caffè!
- Ma noi odiamo il caffè! – protestò Prisca – ci fa schifo, quasi quanto i pasticcini! Vero ragazze?
- Sìììììììììììì! Che schifooooo! – fu la risposta corale.

Rei Rider aveva gli occhi fuori dalla testa, al pari del cugino; diede con tutta la forza un colpo di frusta sul pavimento e urlò:
- Tra cinque minuti al massimo tutte nella stanza del caffè! Schiavi, preparate caffè, tè, caffelatte e portate un quintale di pasticcini alla crema e al cioccolato, e torte alla frutta e gelati e tutto il ben di dio che trovate in casa!

Siccome poi c’era davvero troppa roba, era impossibile consumarla tutta ed era un peccato sprecarla, a Fiore venne un’idea, così disse che se c’era una cosa che le metteva disgusto era quella di vedere schiavi che mangiavano i dolci e sorbivano il caffè al tavolo dei padroni. Subito tutte le ragazze si dissero d’accordo con lei e così finì che gli schiavi di solito tenuti a stecchetto quel giorno si fecero una panciata di squisitezze. Infine, prese la parola Luba.
- Comunque se veramente qualcuno volesse farci soffrire in modo insopportabile, ci sarebbe un solo mezzo.
- Quale?
- Ah no, non lo diciamo, altrimenti sareste capaci di farlo. Siete troppo crudeli! Per oggi, tra paste, torte e gelati abbiamo già sofferto abbastanza.
- O ci dite qual è questa cosa insopportabile, o mandiamo gli schiavi a comprare altre prelibatezze in quantità!
- No, basta, basta! Però fra le due cose… non saprei che scegliere.
Intervenne Kate:
- Potremmo fare un patto. Noi riveliamo il segreto, voi ci infliggete quest’ultimo supplizio e poi ci lasciate andare via, anche perché poi, più male di così non potreste farci.
- Veramente pensavamo di trattenervi qui come schiave, ma tutto sommato… non vi potremmo torturare perché vi piace, dovremmo spendere un patrimonio per infliggervi dolci e caffè tutti i giorni. Ma sì, possiamo stringere questo accordo, però senza niente di scritto e senza dare la parola, perché in questo caso ci vedremmo costretti a non rispettare i patti. Ne va del nostro onore.

Riprese Luba:
- Tranquilli, niente di formale, anzi: giurate che non ci lascerete andare per niente!
- Lo giuriamo.
- Benissimo, così potrete macchiarvi anche della nefandezza di avere spergiurato.
- E’ un vero piacere fare affari con voi, dannate ragazze. Che ne dite? Se ci mettessimo in società?
- Magari, qualche giorno ne riparliamo. Ma ecco la triste questione: questo manoscritto contiene un testo scritto in antico Gaelico, nessuno mai è riuscito a tradurlo e questa per tutte noi è una ragione di grande godimento. Se mai qualcuno vi riuscisse, come per esempio due noti studiosi come voi, per noi sarebbe la rovina, la disperazione, la dannazione permanente.
- Dai qua – la interruppe Walko – a noi nulla è impossibile. Sappiamo ogni cosa.

I due cominciarono a studiare le carte, discutendo animosamente fra loro e arrivando a tratti anche a darsi qualche sberla e alcuni calci negli stinchi e pestoni sui piedi. Dopo oltre due ore restituirono il manoscritto, visibilmente delusi e affranti.
- Tenete. Quell’ignorante di mio cugino, con tutta la sua inutile cultura non è stato in grado di tradurre una sola frase.
- Invece quell’analfabeta di mio cugino, con tutto il suo insulso sapere non è stato capace di tradurre una sola parola. Una cosa però possiamo dirvela, sperando che possa infliggervi una sia pur piccola sofferenza. Questo testo non ha nulla a che vedere col Gaelico, nemmeno il più antico. Ne conosciamo le basi e in questo testo non ve n’è traccia. E ora andatevene e non fatevi più vedere o vi daremo in pasto alle formiche!

Gio aveva ancora una piccola cosa da chiedere:
- Scusate, ma davvero non volete frustarmi nemmeno un pochino? Così, tanto per divertirvi un po’ e tirarvi su il morale…
- No! Via! Andate via tutte subito e lasciateci soli con la nostra delusione!

Le ragazze non se lo fecero ripetere, raggiunsero di corsa il pulmino e partirono facendo fischiare le gomme. Solo quando furono abbastanza lontane dal castello Luba volle complimentarsi con Gio:
- Sei stata grande con l’idea di dire che ti sarebbe piaciuto essere frustata! Hai recitato alla perfezione, sembrava che stessi dicendo la verità!
- Ma io dicevo la verità! Qualche frustata l’avrei presa volentieri, magari si sarebbero eccitati e ci sarebbe pure scappato qualcosina. Da quando sto con voi si va sempre in bianco!
- Ma Gio!!!
- Ho capito: nessuna intelligenza con il nemico. Vabbè. Chissà se i nostri strani amici sono arrivati a casa dell’alchimista marsicano. Speriamo che almeno loro concludano qualcosa!
- In che senso?

Scoppiarono tutte a ridere, finendo fuori strada. Per fortuna senz’altra conseguenza che un altro attacco di ridarella ancora più forte.

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Capitoli 12 e 13
Walko

12.

L’alchimista Jammarcus Cepostas aveva fama d’essere uomo di grande ospitalità e tale si rivelò, lasciando senza problemi che l’insolita combriccola invadesse la sua dimora. Solo sul dobermann avanzò una piccola riserva:
- Morde?
Fu il dobermann stesso a rassicurarlo, rispondendogli:
- Solo chi se lo merita.

Zeno aveva una curiosità: quell’uomo non aveva l’aria di essere una persona avida, come mai si era messo proprio su quella strada, quella cioè di trasformare in oro i metalli volgari? Fu Jovall, che lo conosceva da tempo immemorabile, a spiegare agli amici che in realtà Jammarcus Cepostas era diventato alchimista indipendentemente dai suoi desideri: i suoi esperimenti infatti si indirizzavano inizialmente in tutt’altra direzione, ossia verso la ricerca della formula attraverso la quale si sarebbero potute trasformare la gramigna e l’ortica in purissimo radicchio d’Abruzzo. Non si sa come fu, probabilmente un errore di dettatura della formula alla sua fedele assistente padanamericana , la vice-alchimista Snowflower, tesi assai probabile a causa della proverbiale particolarità di Cepostas, che essendo molto distratto spesso sbagliava a pronunciare le parole, come può capitare a un dattilografo che preme i tasti errati sulla macchina da scrivere; sia come sia, ad un certo momento la pignatta di rame nella quale cuoceva l’intruglio si trasformò sotto gli sguardi esterefatti dei due, e divenne d’oro. Da quel momento Cepostas cominciò a definirsi un “alchimista per caso”. Per anni aveva trasformato in oro metalli e materiali di ogni genere, dal ferro alla carta stagnola, donandolo ai poveri perché in effetti non era affatto avido, come aveva subito capito Zeno. Ad un certo momento, in tutto il circondario non c’era più un povero, per cui si rendeva difficile individuare qualcuno da beneficiare, senza contare che un’eccessiva produzione dell’aureo metallo ne avrebbe fatalmente fatto crollare il valore, secondo l’inoppugnabile legge di mercato, ragion per cui era tornato da tempo a dedicarsi agli esperimenti alchemico-botanici inerenti il radicchio, e nel contempo aveva aperto la sua casa agli incontri di poeti e stornellatori che ospitava e foraggiava, come un moderno mecenate.
Terminate le presentazioni, Jovall entrò in argomento, rivolgendosi all’alchimista:
- Si dice che da queste parti sia passato un Oggetto sacro, in possesso di una o più persone che se ne sono appropriate. I miei amici, che lavorano per un’Assicurazione, hanno ricevuto l’incarico di cercarne il recupero. Pensi di poterci essere di qualche aiuto?
- Esseticadente uan ria casirrima coppaboratroce chi ho il mone id um calzar biellese, tolto censabile alce cosce macre, ah azzertuto la prisanza ni qeutsa cisa, par ub corto tempio, do un Offetto colto parvisolare, zimuracente volto, folto parco.

I cinque amici si guardarono l’un l’altro con visibile smarrimento e anche con sgomento, Cornelius IV lanciò un alto, straziante guaito. Jovall pensò che forse sarebbe stato utile portare con loro Esmeraldas, che magari avrebbe potuto aiutarli a ricostruire sintatticamente e morfologicamente quelle frasi alquanto misteriose, oppure Faber che in diverse occasioni aveva dimostrato di saper ricostruire sintatticamente e morfologicamente le frasi altrettanto misteriose di Esmeraldas. Snowflower prese in pugno la situazione.
– Traduco io. Io sola sono in grado di capirlo, ci sono abituata da anni. Cepostas ha detto: “Effettivamente una mia carissima collaboratrice che ha il nome di un valzer viennese, molto sensibile alle cose sacre, ha avvertito la presenza in questa casa, per un certo tempo, di un Oggetto molto particolare, sicuramente molto, molto sacro”.
- Furcrobbo di qiu massa santa pende, darenne doffacile so onn ipnotibbile indigitaure lu serpone ech lo deretavano miprorpiacente. Mo dosfiacco poltissimo, micia, mannaggia!

Va da sé che si era potuto capire solo “mannaggia”. Riprese Snowflower:
- Traduco: “Purtroppo di qui passa tanta gente, sarebbe difficile se non impossibile individuare le persone che lo detenevano impropriamente. Mi dispiace moltissimo, amici, mannaggia!”.
- Volando, vorrei ruttare un cacchio alla zia cotoletta fracica pur cervare novizie, ka teso ceh nin sorda e bulla in cesta wircospanza. Veglio rincupiare, affancù oi nol merda li fio rembo e ovi ik mostro.

Suguì un momento di imbarazzo, poi Snowflower si schiarì la voce e tradusse:
- Dice Jammarcus: “Volendo, potrei buttare un occhio alla mia scatoletta magica per cercare notizie, ma temo che non serva a nulla in questa circostanza. Meglio rinunciare, affinché io non perda il mio tempo e voi il vostro”.
- La rapate pene, von seno il topo de falko pezzente chi pende porcezie nu canto al culo.

Riprese la sua assistente, rossa in viso.
- Ehm…”Lo sapete bene, non sono il tipo di falso veggente che vende profezie un tanto al chilo”.

La serata terminò con l’immancabile invito a cena dell’alchimista per i cinque amici, naturalmente tutta a base di radicchio, dall’antipasto al dolce e anche al caffè, o per meglio dire “radè”, una recente invenzione di Cepostas. Degustarono infine un bicchierino di pura grappa al radicchio fatta in casa (160 gradi) che provocò qualche problema a Cornelius IV, il quale se per vicissitudine ora aveva le sembianze di un cane, come Barone Occlavius era pur sempre stato un inveterato donnaiolo: perduto ogni freno inibitorio, affogato nella notevole gradazione alcoolica della bevanda, prese a inseguire Snowflower per tutta la casa, sin dentro alle cucine dove la sventurata cercò riparo in un pentolone, e a quel punto il dobermann fu messo a cuccia da Jovall, con un ben assestato colpo di mestolo in testa.
Sulla porta, Jammarcus Cepostas li congedò con una frase misteriosa, pronunciata con le braccia levate al cielo ed un radioso sorriso in volto:
- Edvérice! Aceporràbia nunca veteriàsica! Olmòna ràuda mésa murvagòciva. Edde vilàntes brévia filippòttera!

Gli amici si voltarono tutti verso Snowflower, che allargò le braccia, e rispose al loro muto interrogativo con una desolata espressione in volto:
- Mi spiace…questa qui non l’ho capita nemmeno io!

Ripartirono che era notte fonda, senza aver fatto un passo avanti sulla strada del Graal.

Gio Girisper

13.

E fu così che, in contemporanea, i cinque uomini della 600 e le dieci ragazze del pulmino fecero rientro a Genova. Si sarebbero incontrati tutti la sera stessa al solito posto, il Free Bar, dove Jovall svolgeva le sue mansioni di pianista muto e di cecchino infallibile, per cercare di mettere a punto una strategia comune, visti gli insuccessi delle spedizioni in Piemonte e in Abruzzo. Dato che al Free Bar era proibito l'ingresso ai cani di taglia considerevole, il Barone Occlavius per evitare discussioni decise di ricorrere ad un nuovo travestimento, con Jovall che si raccomandò di non dare nell'occhio.
Alla spicciolata, fra le otto e le nove di sera entrarono nell'ordine: Jovall, tutto in nero come sempre, che andò a prendere posto al pianoforte; Zeno, più magro del solito, quasi scheletrico, al punto che qualcuno lo scambiò per l'onorevole Fassino; il dottor Campanal, con una sgargiante camicia a quadrettoni rossi e gialli e una terrificante cravatta verde a pallini blu; Angela, con una camicetta scura trasparente che lasciava vedere tutto, visto che non indossava biancheria intima, e una minigonna vertiginosa; poi arrivarono insieme tutte le ragazze; e infine fece il suo rutilante ingresso Tarzan, a torso nudo, con un gonnellino di pelle di leopardo, muscolosissimo e abbronzatissimo! Subito Gio lo invitò a sedersi al tavolino e gli chiese se la lasciava sedere sulle sue ginocchia, mentre Jovall lo fulminò con lo sguardo mormorando tra i denti: "Barone, questa prima o poi te la farò pagare!"

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Capitolo 14
Walko

14.

Intorno alle due di mattina il Free Bar si svuotò finalmente, dando modo alla combriccola di prendere contatto. Per prima cosa Jovall chiuse la tastiera del pianoforte, si alzò, si avvicinò a Tarzan e gli mollò un calcio in uno stinco, di punta, facendogli emettere il famoso urlo.
- Meno male che avevo detto di non dare nell’occhio! Diversamente, avessi detto di dare nell’occhio da cosa ti saresti travestito? Da fuoco d‘artificio?
- Perdonami Jovall, credimi: sono io per primo molto imbarazzato. Sono pur sempre un nobile di antico e glorioso lignaggio. C’è stato un errore. Da quando hanno inventato quel nuovo meccanismo informatizzato per la trasformazione di noi fantasmi non si capisce più nulla. Prima si doveva fare richiesta e aspettare un paio di giorni, adesso è tutto automatico, ma… Ho inserito i dati della nuova identità scegliendo le opzioni: essere umano, sesso maschile, trenta anni circa, capelli scuri lunghi, fisico atletico, voce potente, amante degli animali, amante dei luoghi solitari e della natura incontaminata… ed ecco qua! Tarzan!
- E non potevi ritrasformarti subito in qualcos’altro?
- No, purtroppo. E’ consentita una sola trasformazione nelle ventiquattro ore. Comunque poteva andare peggio: un mio vecchio amico, il fantasma del Cardinale Prestigiani, qualche settimana fa si è sbagliato ad inserire i dati e si è trovato trasformato in una latrina nel bel mezzo di Piazza Montecitorio durante una manifestazione. I manifestanti sono stati felici di avere a loro disposizione un vespasiano. Il Cardinale molto meno.
- Immagino. Bhè, vedi di stare più attento la prossima volta! Inserisci dati molto soft. Però anche tu, Angela, non potevi essere un po’ più sobria?

Angela arrossì e abbassò la testa. In effetti, nel pomeriggio aveva fatto un po’ di shopping e si era lasciata prendere la mano, era la prima a riconoscerlo. Da quando era uscita così conciata dal negozio del centro aveva già ricevuto un centinaio di proposte indecenti e sarebbe stata dura spiegare che, anche volendo, non avrebbe comunque potuto accontentare nessuno da quel lato, dato che non aveva sesso, essendo un angelo.
I cinque uomini del misterioso gruppo di Jovall e le dieci ragazze del Club di Libere Parole si scambiarono le informazioni sugli ultimi avvenimenti, prendendo atto del sostanziale fallimento delle rispettive spedizioni. Ad un tratto la porta del locale si spalancò e un uomo vi fece la sua disastrosa entrata: probabilmente inciampando sul gradino d’ingresso, entrò infatti volando e finendo sopra ad un tavolino che ne risultò distrutto. Jovall immediatamente puntò la pistola verso di lui, mentre Tarzan con un balzo gli fu addosso e cominciò a picchiarlo di santa ragione. Per sua fortuna LuBa ebbe un’intuizione:
- Ehi, ma mi sembra di conoscere questa faccia!

Tarzan, tenendo lo sventurato per i capelli, voltò quella faccia verso di lei, perché potesse vederla meglio. Gio, attenta osservatrice, la anticipò:
- Ma sì! Non avete presente la foto? E’ lui: capelli corti neri, maglietta bianca, occhiali… è Zublinky!

Era proprio lui, infatti. Avvisato tramite una misteriosa email circolare di tenersi pronto per un incontro a Genova con gli altri componenti del Club per svolgere una missione segreta, aveva preso ferie ed era andato subito lì al Free Bar, che secondo l’email era il luogo di raduno. Mise a fuoco i visi delle ragazze che aveva di fronte, mentre Tarzan lo risollevava in piedi e lo rimetteva un po’ in sesto spolverandolo e pettinandolo con le mani, e si rese conto di trovarsi proprio in mezzo alle ragazze del Club che finora aveva visto solo in fotografia. Seguirono saluti calorosi e la presentazione di Jovall, Angela, Zeno, Campanal e Tarzan che si scusò nuovamente e si presentò come il Barone Occlavius, al che Zublinky ragionò fra sé chiedendosi che razza di nobile fosse questo che andava in giro praticamente nudo e tutto scarmigliato aggredendo e prendendo a schiaffoni il primo malcapitato che inciampava e cadeva entrando in un bar. Quando gli dissero che si trattava di un fantasma si spaventò e voleva scappare, e ci volle tutta la pazienza di Kate Orlandow per convincerlo che si trattava di un fantasma buono e persino simpatico, che non gli avrebbe fatto alcun male, salvo al massimo farlo volare su un tetto. Jovall tagliò corto, spiegando all’ultimo venuto tutta la situazione, poi si rivolse agli altri.
- Dovete sapere che il qui presente Zublinky è uno storico per passione. Io credo che sarebbe utile per tutti conoscere nei dettagli la storia del Sacro Graal ed egli è la persona più indicata per renderci edotti.

Furono tutti d’accordo su questo punto e quando il barista se ne andò, chiudendo la saracinesca e lasciando le chiavi a Jovall, tutti si sedettero in cerchio intorno a Zublinky che fece mente locale per qualche minuto e poi cominciò a raccontare:
- Dunque: in Gran Bretagna, moltissimi secoli fa, regnava un Re molto democratico e tollerante, di nome Arthur. Era talmente semplice di costumi e alla mano che quando andava al mercato a fare la spesa la gente, incontrandolo per le contrade, gli si rivolgeva fuori da ogni protocollo cerimoniale e gli diceva: “Uhé, Artu’, come va?”; da qui il nome con cui è universalmente noto: Artù, appunto. Re Artù aveva sposato una donna bruttissima, di nome Ginevra, che oltre che racchia era pure cattiva e pigra, tanto è vero che toccava a lui fare i lavori di casa e cucinare, mentre lei passava la mattina a dormire, il pomeriggio a guardare le telenovelas in tv e la sera a ballare al circolo dei Cavalieri, un locale affacciato sulla Manica, dove oggi ci sono le bianche scogliere di Dover che allora erano grige dato che non le avevano ancora imbiancate: nel locale in riva al mare si faceva ballo liscio e si giocava a ruba-mazzetto sulla famosa tavola rotonda che dava il nome al locale e che divenne arcinota poiché fu immortalata da un cantore dell’epoca, tale messer Alfred Bongusto detto Fred, nel suo immortale carme: “Una rotonda sul mare”. Il vecchio Artù aveva sposato quella cozza di Ginevra non per la sua bruttezza, ma perché era figlia di un banchiere svizzero, così che quel matrimonio salvò le casse del Regno, svuotate a suo tempo dal padre di Artù, Re Osvald detto Osvà, gran sbevazzone, donnaiolo e scommettitore sfigatissimo, fondatore della Tavola Rotonda dove si mangiò anche le mutande in una famosa sfida con un professionista del gioco d’azzardo, tale Emilio da Catania, crociato Cavaliere della Fede, già difensore del Sacro Sepolcro di Hammahmet e paggio di Sua Maestà il Re delle Italie e delle Antenne Silvion della Berlusca. Ginevra, oltre ad essere ricca come il mare e brutta come la sventura, era anche una gran troia, se mi si concede la licenza. Siccome non mancavano nemmeno a quei tempi gli uomini per cui basta che una femmina possieda la virtù di respirare per esser degna di copulazione, la Regina aveva in quegli anni avuto modo di piantare sulla testa del Re consorte altissime ed ampissime ramificazioni. In quel periodo la Regina se la faceva con un cameriere della Tavola Rotonda, che come tutti gli altri camerieri del locale aveva il titolo di Cavaliere ed era anche tenuto a combattere se ve ne fosse stato il caso. Questo Cavaliere si chiamava Peppino Lancillotto, detto Pepè, ed era talmente vanesio da rifiutarsi di portare gli occhiali, pur mancando di sette diottrie da un occhio e nove dall’altro: per questo motivo trovava Ginevra bellissima e ne era innamoratissimo; lei stessa se ne innamorò, vedendolo vincere il Rodeo che annualmente si teneva a Wembley tra i Cavalieri del Regno. In quell’occasione riuscì fortunosamente ad arrivare in finale, menando colpi di lancia a casaccio contro avversari negati come lui, ma in finale trovò niente meno che il Cavaliere Nero, che si era liberato degli avversari con grande maestria ed era noto come un invincibile campione. Lancillotto voleva ritirarsi, ma pensò che davanti a Ginevra non poteva fare una figuraccia simile e infine decise che si sarebbe interamente affidato alla sua arma segreta: il “culo”. Lancillotto e il Cavaliere Nero, alzata la visiera in gesto di sfida, si fissarono negli occhi molto a lungo, anche se a dire il vero Lancillotto non vedeva un tubo di niente, quindi partirono per la tremenda sfida, tra il silenzio pieno di tensione del pubblico; si sentiva soltanto Re Artù che assiso sul trono in tribuna centrale russava, essendosi addormentato durante l’attesa. Quando i due Cavalieri furono a pochi metri di distanza, Lancillotto che aveva il braccio stanco fece l’errore di abbassare troppo la lancia, tanto che questa si piantò nel terreno, catapuldandolo come un proiettile umano verso il Nero che venne colpito in piena faccia e stramazzò al suolo in stato di morte apparente. Da quel giorno fu detto il “Cavaliere Sdentato”. Sta di fatto che al vincitore del Rodeo Re Artù aveva deciso che avrebbe affidato una missione delicatissima: il Mago di corte, Gianbaldassarre Merlo, detto Merlino per la sua bassa statura, oltre a rivelargli come ogni settimana i numeri del “superenalotto” regolarmente sbagliati, gli aveva parlato del fortunoso ritrovamento del Sacro Calice, avvenuto in Terra Santa in quei giorni. Disse che aveva avuto una visione, ma in realtà lo aveva letto nelle pagine interne del ”Corriere della Sera”, secondo cui il Calice era stato trovato tempo prima nelle cantine della “Locanda dell’Ultima Cena”, a Gerusalemme, durante i lavori di ristrutturazione del locale, trasformato in una discoteca, ed ora era custodito nel palazzo dello Sceicco Masìm Mustafà D’Ahlema detto “Baffino”, discendente del famoso Feroce Saladino, Sceicco Josìf Abdhul Stahlìn detto anche “Baffone”. Si trattava di andare a recuperare il Sacro Graal con una bella crociata, come non se ne facevano da molti anni ormai. Re Artù telefonò al Papa, Giuliano I, noto anche come “Giuliano la Prostata”: il già Cardinale Pachidermo da Ferrara da anni pontificava su tutto dalle televisioni e dal foglio che pubblicava, finché, pontifica oggi pontifica domani, lo avevano elevato al Sacro Soglio come Sommo Pontefice, potendo anche contare sulla sua antica amicizia con il già nominato Sovrano delle Italie e delle Antenne. Il Papa accolse con entusiasmo l’idea di Artù, anche perché da tempo meditava di infliggere una sonora lezione all’odiato rinnegato ex Cardinale Gualtiero del Gran Veltro, detto il Veltrone, che da Vescovo ausiliario di Roma ai tempi di Papa Prodo I (ovverosia il già Cardinale Romano Emiliano da Reggio detto “er Mortadella”, in seguito spodestato, e in quei tempi Anti-papa insediatosi nella nuova Santa Sede di Bruxelles), si fece musulmano e si trasferì a Gerusalemme presso la corte dello Sceicco D’Ahlema diventandone consigliere. Papa Giuliano I benedisse la crociata, chiedendo che vi partecipasse anche la Francia, Paese di antica tradizione cattolica, retto all’epoca da Re Carlo dei Francesi, cattolicissimo e di origine romana come prova il fatto che in seguito fondò il Sacro Romano Impero, un omone di pari stazza rispetto a quella del Papa e di proverbiale grande appetito, che usava sospendere all’improvviso anche la riunione più importante e delicata con la frase: “Pausa! Mò magno!”, ragion per cui passò alla storia appunto con il nome di Carlo Magno. Mentre Artù mise a capo dei suoi crociati l’allibito Lancillotto, che si disse che stavolta il suo “culo” non aveva funzionato a dovere, poiché viste le consegunze tutto sommato il Rodeo sarebbe stato meglio perderlo, Carlo mise a capo delle sue truppe il proprio nipote Orlando, tanto per levarselo un attimo dalle scatole, lui e le sue continue richieste di soldi. In quei giorni Orlando era furioso perché la sua squadra, l’Inter, tanto per cambiare non aveva vinto lo scudetto, ma la cosa era aggravata dal sorpasso subito proprio all’ultima giornata dall’odiata rivale d’ogni tempo, la Juventus: la cosa lo fece talmente incazzare da uscir di senno. Carlo mandò Rinaldo sulla luna a cercare il senno di Orlando, ma quando vi arrivò trovò una bandiera americana e un negro che suonava la tromba. Esterefatto gli chiese chi fosse, e quegli rispose alquanto indispettito: “come chi sono? Sono Armstrong, il primo uomo ad aver suonato jazz sulla luna!”. Rinaldo andò in confusione per questa vicenda, anche perché a lui risultava che Armstrong fosse di pelle bianca e avesse vinto gli ultimi Tour de France di ciclismo. Sta di fatto che ritornò sulla terra recando seco non il senno di Orlando, bensì il seno di Alba Parietti, passando alla storia come lo scopritore del silicone. Quando Orlando seppe che il Re suo zio lo aveva nominato capo-spedizione, fuori di sé, andò ad armarsi della Durlindana, che era poi un enorme randello, e marciò verso il palazzo reale deciso a bastonare lo zio per l’idea balzana che aveva avuta, ma per strada fu raggiunto dalla notizia che tra gli scopi della spedizione vi era quello di punire il Cardinal rinnegato, il Veltrone, che era notoriamente un accanito tifoso della Juventus. Orlando, sentito questo, si gonfiò d’ulteriore furore e andò ad unirsi con entusiasmo con le truppe britanniche che avevano appena attraversato la Manica, capitanate da Pepè Lancillotto che muoveva in aria come un ossesso il manico di Excalibur, la spada fatata conficcata nella roccia che anni prima Artù aveva tentato di sradicare da lì, restando lui con il manico in mano e la lama conficcata dov’era. Era tradizione che il capo-crociato ricevesse dalle mani di Artù il manico della spada da portare in spedizione, anche se chiaramente non serviva a un cavolo di niente, tutt’al più la si poteva tirare o dare in testa a qualcuno procurandogli un bozzo. Quella volta non servì nemmeno a quello, dato che appena entrato nella Capitale di Francia Lancillotto lo sollevò alto per salutare la folla, ma il prezioso manico gli sfuggì di mano e finì in un tombino aperto, perdendosi nelle fogne di Parigi, dove fu ritrovato solo molti secoli dopo dal campanaro di Notre-Dame, che lo regalò a Esmeralda…
- A me? – interruppe Esmeraldas – Non è vero! Mai visto un manico di spada senza lama!
- No, doveva trattarsi di un’omonima, o di una tua ava – sentenziò Blondielaura –Continua, Zub!
- Dov’ero rimasto? Ah, sì: i crociati partirono da Parigi alla volta della Terra Santa e vi arrivarono alla rinfusa dopo alcuni mesi, un po’ a cavallo, un po’ a piedi, un po’ in bici e un po’ in autostop. Si riunirono tutti in una taverna alle porte di Gerusalemme, dove si ubriacarono e fecero notte cantando a squarciagola. Nel frattempo, nella Moschea dello Sceicco, Veltrone avvisò dell’arrivo dei crociati che cercavano il Sacro Graal. “E che minchia è ‘sto Graal?” chiese D’Ahlema. “La Coppa” rispose Veltrone. “La Coppa dei Campioni? E che ci fa qui a Gerusalemme?“ ribattè D’Ahlema. “Ma no, è il Calice!” puntualizzò Veltrone. “E tutto ‘sto casino per un bicchiere?” protestò lo Sceicco. Veltrone gli spiegò che non era propriamente un qualsiasi bicchiere, e che per i cristiani era un simbolo di grande importanza. D’Ahlema pensò che non era il caso di combattere per quella cianfrusaglia, ma nemmeno di consegnarla senza combattere e mandò Veltrone all’accampamento dei crociati, alle soglie del deserto, per trattare su queste basi: lui gli avrebbe dato il Graal, in cambio avrebbe avuto la concessione sui territori di Terra Santa per i prossimi cinquant’anni, senza più discussioni e crociate per tutto il periodo. Consegnò a Veltrone la sua insalatiera d’argento, ben lavata, dicendogli: “Io il Graal non so nemmeno dov’è e com’è fatto, questa insalatiera andrà benissimo, tanto quelli mica l’hanno mai visto ‘sto Graal!”. Veltrone portò l’oggetto insieme al documento stilato su pergamena coi termini dell’accordo, ma non fece in tempo a iniziare le trattative perché, appena lo vide e lo riconobbe, il paladino Orlando, più furioso che mai, lo aggredì. Veltrone, riconosciuto l’interista furioso che aveva perduto lo scudetto e il senno, fu tentato di scendere a patti, ma pensò che se aveva potuto rinnegare la fede cristiana per abbracciare quella islamica, mai e poi mai avrebbe potuto abiurare la fede juventina per quella interista; dunque risolse di non trattare né combattere contro quel forsennato e se la diede a gambe, con Orlando che non si rassegnò a lasciarlo andare così, e prese a inseguirlo per tutto il deserto, mollandogli ogni volta che gli veniva a tiro calci in culo e durlindanate sulla testa. I due scomparirono così nel deserto e non si seppe mai più nulla di loro. Lancillotto, rimasto unico comandante della spedizione, si consultò con Artù, Carlo e Giuliano “la Prostata” e accettò lo scambio, firmando in calce la pergamena con un segno di croce, non in quanto crociato, ma in quanto analfabeta quale era, quindi ritirò l’insalatiera e ripartì insieme alle truppe, destinazione casa. Quando Merlino vide l’insalatiera si mise a urlare come un ossesso. Lui aveva visto in visione, cioè ne aveva visto la foto sul “Corriere”, il vero Calice e non era affatto quell’insulsa insalatiera. Era chiaro che il viscido ed infido Sceicco D’Ahlema li aveva turlupinati, gabbati, raggirati, abbindolati, insomma: aveva loro tirato un pacco. L’insalatiera d’argento fu destinata a diventare il premio per una competizione internazionale di un nuovo sport che stava prendendo piede in quei giorni: si trattava di buttare di qua e di là da una rete una pallina da cricket colpendola con un battipanni, uno sport inventato da un certo Tennis Davis, che diede il nome alla Coppa che in realtà era stata appunto l’insalatiera dello Sceicco “Baffino”. In Terra Santa era rimasto un aspirante Cavaliere, aiutante di campo di Lancillotto, che si era perso nel deserto dopo la sbronza del giorno dell’arrivo. Quando riuscì a ritrovare la via di Gerusalemme, indicatagli da Orlando e Veltrone incontrati nel deserto durante il loro furioso inseguimento, per prima cosa entrò in una locanda e chiese da bere. Una beduina gli disse di prendersi un bicchiere e andare a bere dalla fontanella che stava in piazza. Così fece, e quando fu il momento di ripartire decise di tenersi il bicchiere come ricordo. Giunto a casa, Merlino appena vide quel bicchiere vi riconobbe il Calice, proprio lui: il Sacro Graal! Fu così che grazie ad un’incredibile botta di culo, per mano di quell’attendente tonto e imbranato di nome Parsifal, subito nominato Cavaliere della Tavola Rotonda, le potenze cristiane entrarono in possesso del Sacro Graal. Venuto a conoscenza del misfatto, lo Sceicco D’Ahlema si incazzò e decise di muovere guerra all’Occidente, ma non potendo più contare sui preziosi consigli del Veltrone disperso nel deserto, sbagliò strada e al comando delle sue truppe rosse di due milioni di beduini invase la Russia, dove ebbe facilmente ragione dei Tartari, che per parte loro nonostante la fama erano pacifici e sedentari, tanto è vero che da secoli aspettano un loro attacco dalla Fortezza nel Deserto omonimo, Drogo e i suoi, e ancora non s’è visto nessuno. Quando D’Ahlema entrò trionfalmente a Mosca, credendo fosse Parigi, vi fece costruire il Cremlino a due passi dalla Moscova, che lui credeva la Senna, e lì stabilì la sua sede. Di lì a pochi anni, un Marajà che aveva capito tutto, prima che D’Ahlema fiutasse l’errore e ripartisse verso occidente col rischio di prenderle di santa ragione dalle potenze cristiane ormai riunite nel Sacro Romano Impero, depose D’Ahlema e si assise al suo posto, dopo avergli fatto tagliare i baffi e averlo fatto rinchiudere in un manicomio, abolendo il titolo di Sceicco e assumendo il ruolo e il nome di Premier del Soviet Supremo Faust Ivan Bertinottiejev. Il Sacro Graal, passato nel frattempo dalle mani di Re Artù a quelle dell’Imperatore Carlo già Re dei Francesi, fu consegnato da questi con una solenne cerimonia al nuovo Papa Pippo I, già Cardinale Baudo da Catania detto “Pennellone”, pochi mesi prima innalzato a furor di popolo dalla sua sede di Arcivescovo di Sanremo al Soglio Pontificio. Egli raccolse nelle sue mani il Sacro Graal e lo depose in un luogo segretissimo delle stanze Vaticane, dove verrà trafugato da ignoti molti secoli dopo. Alla solenne cerimonia andata in onda a reti unificate con la telecronaca di Bruno Pizzul affiancato nell’occasione da Davide Cassani parteciparono, insieme all’Imperatore Carlo Magno, tutti i regnanti d’Europa: dal Re Italiano Silvion I della Berlusca al Monarca Spagnolo Julio IV Iglesias De La Noya, dal Sovrano Olandese Pietro III Astrologhens De Van Wood al Re Germanico Franz VII Beckenbauer Von Bayern München. Mancava solo il nuovo Sovrano dei Britannici, Re Lear, che aveva dovuto in quei giorni sottoporsi all’estero ad un delicato intervento chirurgico di appendicectomia, intervento peraltro non perfettamente riuscito, e che fece ritorno da Casablanca a Londra solo dopo diversi mesi di convalescenza, riprendendo in mano lo scettro e risedendosi in trono con il nome di Regina Amanda-Lear.

Così terminò il lungo racconto di Zublinky sull’affascinante storia del Graal. Ora si trattava di rimettersi in moto per ritrovare il Calice. Jovall chiese ai presenti se qualcuno di loro avesse qualche idea sul da farsi.

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Capitoli 15-18
Kate Orlandow

15.

- Eppure, eppure – diceva ZaLuBa tra sé – A me i due mostri non mi convincono.
- Walko e Rei?
- Sanno qualcosa.
- Mandiamoci Gio – propongono tutte – Chi può resisterle?
- Ehi ! – la veterana Kate chiede il silenzio e nel silenzio spiega .
- Aspettate, devo farle prima un esame d’ammissione. Sapete tutti che ho avuto 24 mariti, ah, a proposito, siete tutte invitate al venticinquesimo.
- Anniversario? – chiede Lola.
- Mannoooooò, al venticinquesimo matrimonio. Non mi fate distrarre. Ho avuto
213 amanti e sarebbero stati 215 se il numero 82 e il numero 98 non avessero fatto cilecca, vabbè, acqua passata, dicevo, capirete che ho una certa esperienza.
- Oh, Kate, hai battuto la tua coetanea Liz Taylor – dice Gio.
- Ma insomma, quando imparerai a non fare più gaffes? – Kate la fulmina – Io non ho passato la sessantina, piuttosto vieni qua.

Le due donne si appartano. Si sente un lontano bisbiglio, poi una frase colta al volo :
- E la lingua? – chiede Ka.
- Beh, non saprei, di solito parlo er romanesco, si parlo. Sinnò sto muta.
- Ma io dicevo la lingua – Urla Kate – Questa : LLLLL!
- Ah, ‘mbè, dipende, mo’, su ddu’ piedi…
- Guarda, figliola – Kate assume un atteggiamento materno – Ti devi applicare, tu sei volenterosa ed hai talento, ma non basta. Ci vuole costanza, ci vuole dedizione, ci vuole tempo. Quanti mariti hai avuto? Manco uno? Fidanzati?
Amanti? Che schifo… ma che hai fatto in questi anni? Hai studiato al Suor Orsola Benincasa? Vabbé, mo’ ti spiego…

Segue fitto parlare . Cioè, Kate parla, finché Gio si butta ai suoi piedi ed esclama
- Maestra. Oh, Maestra, ma ne sai una più del diavolo?

Kate, con fare sussiegoso si rivolge a tutte.
- Ecco, vedete? Non è adatta . E a te – si rivolge a Gio – Da oggi in poi dammi del Voi e chiamami Dea. Insomma, da quei due ci vado io.

Tornarono al Castello. Kate entrò sola e ne uscì dopo dieci minuti.
Era stravolta, aveva i capelli scompigliati, pareva disfatta.
- Allora, allora? – Chiedono le ragazze in coro – Com’è andata? Li hai stesi?
- Ti hanno frustato, torturato, calpestato, pestata, mangiata ?
- Ah Gio, ma pensi sempre a una cosa sola! No. No. – Kate si fa seria – Non ho dovuto abbassare nemmeno una spallina.
- E come hai fatto? Che hai fatto?
- E’ stato facile. Mi hanno ricevuta con tutti gli onori, come al solito ( sono dei veri signori ) e per prima cosa ho affrontato Walko, noto per il suo sensibilissimo orecchio musicale. Gli ho detto che ero una superba musicista ed una grande pianista .
- Ci ha creduto?
- Ma certo! Quello è un pesce lesso. Dunque l’ho fatto sdraiare sul divano e…
- E…?
- Ho cominciato a cantare.
- Lo hai ammaliato?
- No, è che sono stonata come una campana. Ho attaccato il pezzo dei Cugini di Campagna, sapete? “ Anima mia, torna a casa tua……….. “ ha cominciato a vacillare, ma io ho insistito, sono andata al piano e siccome non distinguo una chitarra da un sax ( o si chiama sex? ) ho suonato pigiando i tasti a caso . Non ci crederete, gli sono venute le convulsioni. E’ svenuto. Ma Rei restava impassibile. Allora gli ho sciorinato tutti i dati economici di Tremonti, poi ho infierito con il discorso di Berlusconi agli Industriali, infine gli ho riportato una barzelletta che Berlu stesso raccontò al cuoco Michele sotto minaccia di licenziamento senza giusta causa. Voi non ci crederete, ma è svenuto pure lui. L’apoteosi! Ho risvegliato Walko leggendogli alcuni suoi brani tratti da “La Merica” e Rei Rider con un passo di un suo famoso discorso contro la “alta velocità”. Infine li ho minacciati di continuare come prima se non mi avessero dato un’indicazione sul manoscritto. Ed eccola qua.

Kate sventolò un foglio. Spiegò che i due, pur di levarsela di torno avevano confessato di avere mentito. Qualche frase era comprensibile: i Templari, loro cercavano il Graal! Bisognava trovare un discendente di questi Templari. Forse proprio al Free Bar…


LucidaFollia

16.

Mentre la combriccola pensierosa discute sul da farsi, ecco fare ingresso al Free Bar uno strano, compassato individuo dall’aspetto di un autentico maggiordomo con tanto di livrea; tra le mani guantate reca un vassoietto cesellato su cui poggia (nella migliore tradizione inglese) un biglietto in busta chiusa. Col sopracciglio immancabilmente sollevato ( per la serie “che mi tocca fare per campare”) lo sconosciuto servitore si accosta in attesa al tavolo dei nostri amici,i quali si guardano e lo guardano ammutoliti e dubbiosi. Il gesto del flemmatico latore di notizie (buone?) è eloquente: che qualcuno prenda questo benedetto biglietto e lo legga, perdinci! (“Non ci sono più i signori di una volta…” pensa afflitto). Il primo a riaversi dallo stupore è colui che, per lignaggio ed epoca, è sempre stato avvezzo a siffatte circostanze: il poco credibile barone, cui il selvaggio travestimento non ha tolto il savoir faire, allunga una mano sul vassoio e prende la busta. All’interno, poche righe vergate in una ricercata calligrafia si stagliano su un cartoncino di squisita (e costosa!) fattura: “Non vorrete cominciare senza di me?! Sono appena rientrata da una spossante crociera nei soliti atolli dei Mari del Sud, ma già domattina sarò lì con voi! Non vedo l’ora di spezzare la monotonia della mia vita con un po’ d’avventura!” Firmato: LucidaFollia. Dopo la pubblica lettura del messaggio, l’unica faccia tra i presenti ad essere rimasta impassibile è quella del severo maggiordomo. Qualcuno si chiede ad alta voce : “E questa chi è?”, qualcun altro risponde: “Il punto non è chi sia , ma chi si crede di essere!!”. Kate ha qualche notizia: “Ma no, è una mia conterranea! Potrebbe anche essere simpatica, no?” “ Piuttosto”, interloquisce LuBa rivolta all’imperturbabile uomo in livrea ,“lei è arrivato fin qui da Napoli solo per consegnarci un biglietto? Ma non sarebbe stato più semplice usare la Posta?”. Come riscosso dal suo letargico aplomb, l’attempato maggiordomo spiega che la sua signora padrona “ama assicurarsi che le commissioni vengano sbrigate puntualmente e nel miglior modo possibile”, e non c’è posta prioritaria che tenga di fronte a certi vetusti ma sempre affidabili mezzi di comunicazione! La risata generale che ne consegue scioglie la tensione e l’imbarazzo, e mentre il “fido James” (non si chiamavano tutti così i maggiordomi di una volta?) viene quasi costretto a sedersi e a bere una birra a forza di amichevoli manate sulle spalle, Gio chiede alla compagnia: “Allora che facciamo:l’aspettiamo ‘sta Principessa sul Pisello?”…


RobyMAD

17.

-Si, ne vale la pena ve lo assicuro.
-Sei sicura Kate, guarda che il gruppo è gia completo così, secondo me non ci serve una nuova, impicciona snob.
-Su, non dire così! Tutti quelli che io conosco sono bravissime persone, magari un po’ strambe, ma simpatiche e utili. Ricorda che ognuno di noi sa fare qualcosa meglio degli altri, quindi più siamo meglio è. E poi spesso le apparenze ingannano. Anzi, adesso che ci penso dovrei fare una telefonata…

Kate tirò fuori dalla borsa la sua piccolissima agendina, la mise su un tavolo e poi frugò ancora fra le sue cianfrusaglie. Stava cercando il suo oggetto segreto. Si stava innervosendo, fra le mani le capitavano solo arnesi inutili, ma alla fine la sua dedizione fu premiata, finalmente! Aveva trovato la sua lente d'ingrandimento, indispensabile per leggere la sua minuscola calligrafia. Letto il numero corse a comporlo…
Il telefono squillava, squillava…tu…tu…. Aveva ormai perso le speranze, quando una voce rauca disse:
-Chi è? Seguì un colpo di tosse con una bestemmia, Porco Berlus…
-Sono Kate, hai da fare in questi giorni?
-Dunque vediamo, a parte l’esame di maturità, l’udienza in tribunale, la conquista della mia amata, la rapina alla “Poor Bank” e lo scippo a mia nonna no, chiedi pure tutto quello che vuoi, a parte un prestito, lo sai che ho i braccini corti io.
-No, stai tranquillo, non ho bisogno di soldi. Volevo solamente chiederti se tu sai dove potremmo trovare il sacro Graal.
-Il sacro Graal, se non vuoi spendere tanti soldi penso che potresti trovarlo taroccato nel sud, a Napoli. Ma perché vuoi saperlo?
-Ma no, sciocco! Leggi, leggi e leggi! Lasciati dare da me, che sono una vecchietta, questi preziosi consigli. Non avrò l’età di tua nonna, ma scrivo sicuramente meglio di lei.
-E ci credo, lei non è andata a scuola, è praticamente analfabeta. Riesce solo a leggere le preghiere in latino. Comunque ultimamente un po’ è migliorata, non è vero che le persone ossessionate da qualcosa non riescono mai a guarire. Qualche volta ce la fanno, soprattutto se sputtanate davanti a tutti.
-Cosa vuoi dire?
-Due giorni fa è stata raggirata e le hanno venduto una Bibbia a 10.000 euro. Le hanno assicurato che quella Bibbia era autografata personalmente dal Signore.
-E lei ci ha creduto?
-Normale, ma poi noi le abbiamo urlato contro qualsiasi cosa, alla fine ci ha telefonato a tutti e ci ha chiesto scusa. Ricordate, solo io la posso prendere in giro. Anzi, ho cambiato idea, tanto non sa navigare in internet.
-Adesso sei tu che sei crudele però.
-Non è vero, questo è solo il mio genere. Fammi ancora una battuta simile e ti “stappo” col mio arrugginito cavatappi tutte le unghie.
-Provaci e ti diffamo. Non ti leggerà più nessuno.
-Scherzavo, che stupido che sono, adesso vado a leggere qualche cosa.
-Bravo, ascolta i vecchietti.
-Che palle, mi sorbisco già le prediche di mia nonna e nel tempo libero devo ascoltare anche le vostre. Saranno utili, ma che barba, che noia, che barba che noia. E poi lo sai che sono superstizioso, porta sfiga rileggere i racconti.
-Vuoi fare il furbo con chi è nato prima di te?
-Io intanto in casa ho un Graal tarocco e tu per adesso non hai niente.
-Vuoi unirti a noi?
-E me lo chiedi? No! Io non mi mischio con le persone sane di mente, potrei guarire.
-Devo dedurre che hai paura? Fai tanto lo sborrone, io ammazzo questo, ammazzo quello, sangue di qui, sangue di la e poi hai paura di un’avventura. Perché?
-Io odio le regole inutili, per esempio non si possono uccidere i protagonisti, adesso mi ammazzo. Addio mondo crudele… ecco la mia bibliografia…
-Aspetta, non si possono uccidere i protagonisti, ma i personaggi di contorno sì. Puoi anche a divertirti a fare Jack lo squartatore, basta che ci lasci in vita.
-Mi stai convincendo, dammi ancora un buon motivo e vi raggiungo.
-Vedrai Gio, e ne vale la pena, te lo assicuro. E poi vedrai me.
-Accetto, accetto accetto. Ma c’è anche quel essere mostruoso di Rei Rider?
-No, stai tranquillo, è chiuso nel suo castello col fido cugino. Allora ci vediamo, Ciao. Ah dimenticavo, noi siamo al Free Bar.
-So dov’è, ho letto le puntate precedenti, quindi lo immagino.

Comunicata la sciagurata notizia agli altri componenti della banda Kate fu ricoperta di insulti. Nessuno voleva quel moccioso di RobyMad tra i piedi.


Walko & Zublinky

18

In attesa che i nuovi arrivati si unissero al gruppo, si ritrovarono quasi tutti al Free Bar. Mancavano Zeno e l’angelo Angela, che erano andati a fare un giro a New York, dove Zeno potè… potette… potò… possò… dove Zeno ebbe modo (eh eh eh) di distrarsi lavando i vetri del palazzo dell’O.N.U.. Mancava anche Gio, impegnata nel trasloco Roma-Trieste, che era stata trattenuta da una furibonda litigata con il sindaco Veltroni, che non ne volle sapere di accontentare Gio a proposito della sua richiesta. Infatti, Gio voleva portarsi a Trieste un ricordo di Roma, perciò aveva chiesto l’autorizzazione per smontare pezzo per pezzo il Colosseo, che avrebbe poi rimontato a Trieste. Niente da fare: Veltroni fu inflessibile, non si lasciò nemmeno convincere dalla precisazione di Gio secondo la quale avrebbe numerato tutti i pezzi e comunque un giorno sarebbe tornato al suo posto, ché tanto lei a Roma ci sarebbe tornata proseguendo nella spola chissà per quanti altri anni, come anni or sono faceva Liedholm fra la Roma e il Milan.
Jovall, con un acuto baritonale dei suoi, invitò al silenzio e disse che l’idea esposta da Kate non era peregrina: può essere che fossero stati davvero i Cavalieri del Tempio, i Templari, a trafugare il santo Calice dal santo scrigno santamente custodito in santo segreto nelle sante stanze dove aveva santa dimora il Santo Padre, cioè presso la Santa Sede.
- Parole sante, Jovall! – interloquì il Barone, tornato in abiti quasi normali, cioè nei suoi abiti abituali.
-Che fai, pigli per il culo? – rispose Jovall puntandogli la fedele Smith & Wesson sul naso.

Bisogna precisare che la pistola di Jovall era l’unica in grado di bucare un fantasma. Non lo avrebbe ucciso, ma gli avrebbe lasciato il buco per l’eternità. E’ chiaro che il Barone non aveva alcuna intenzione di farsi fare la terza narice, anche perché da aristocratico conservatore qual era sempre stato, era ovviamente anti-comunista quindi l’idea di diventare “trinariciuto” non lo sfagiolava per nulla, anche pensando che poi, tornando di là, avrebbe dovuto subire per l’eternità gli sfottò da Giovannino Guareschi, Peppone e Don Camillo. Dunque si affrettò a spiegarsi:
- No Jovall. Perché dovrei? Volevo dire che anch’io penso che quella dei Templari sia una buona pista, ottima direi…
- E’ una pista Grey! – finì la frase Campanal, specialista in parodie di spot pubblicitari.
Jovall, innervosito, fece finta di non aver sentito e proseguì:
- I Templari sono stati sciolti secoli fa dal Papa, in accordo col Re di Francia Filippo il Bello, che poi era bruttissimo in realtà, per dividersi il loro immenso tesoro, vero Zublinky?
- Eh? – rispose Zublinky uscendo dal torpore post-cena. Aveva mangiato sette porzioni di lasagne al pesto ed era alquanto incomato.
- Il tesoro dei Templari! Sei o non sei lo storico del Club di Libere Parole?
- Ah, sì…
Fece mente locale levandosi gli occhiali e asciugandoli con un tovagliolo, poi li rimise ma erano appannati come prima, dato che l’umidità era filtrata fra le lenti. Infatti Zublinky era l’unico uomo al mondo a portare occhiali con doppi vetri, talmente talpato com’era.
- Sì. I Templari avevano accumulato migliaia, anzi milioni di figurine “Calciatori Panini” e le custodivano gelosamente. Una volta che al Re mancava la figurina di Costacurta per finire la raccolta la chiese ai Templari che ce l’avevano quadrupla ma non vollero saperne di mollargliela, nemmeno in cambio di trecento doppie. Fu lì che il Re parlò al Papa, che aveva ancora il dente avvelenato coi Templari perché molti anni prima gli avevano negato la figurina di Altafini. E così fu che marciarono sulla residenza dei Templari trecentomila guardie svizzere e trecentomila flic, comandati dal famoso soldato di ventura Giovanni dalle Calze nere…
- Ma non era dalle Bande nere? – interruppe LuBa Zadora.
- No, quello era un altro. Questo qui era famoso per le calze nere, non perché le portasse di quel colore, ma perché non le toglieva da anni ed erano nere per la sporcizia. Le levò molti anni dopo, durante una spedizione dei Lanzichenecchi di passaggio per Milano, e in quel frangente l’aria nello spazio di vari chilometri quadrati ne risultò talmente appestata che si scatenò un’epidemia di peste, appunto, che mietette… mietò… miese… che fece un sacco di vittime illustri, fra cui don Rodrigo, fra Cristoforo e Riccardo Fogli…
- Ecco perché non si è più visto in giro! – commentò Prisca.
- Infatti.
- Ma che ci faceva il Calze nere al seguito dei Lanzi? – domandarono in coro Esmeraldas, Esmeraldinhas, LucidaFollia e Lola Tekila.
- Bhè, era un soldato di ventura. Andava con chi lo pagava meglio. In quell’occasione i Lanzichenecchi attraversavano la penisola diretti al centro, per il famoso “sacco di Roma”.
- Ah! E che cosa c’era poi in questo famoso sacco? – Chiese incuriosita Blondielaura.
- C’era il gatto di Trapattoni. Da allora gira il mondo ripetendo “non dire gatto se non l’hai nel sacco”, e intanto nel sacco ci ha messo un bel po’ di scudetti e di coppe in tutti questi anni!
- Ci metterà mica anche il Graal? – urlò Kate Orlandow preoccupata.
- No, non gli interessa. Ecco tutto: i Templari furono tritati e venduti ad un’azienda di fast-food, il Papa e il Re di Francia si divisero da buoni amici le figurine, a cominciare dalle due che gli mancavano per completare i rispettivi album. Probabilmente trovarono nel tesoro anche il Graal.
- Bho, a me l’avevano raccontata in un’altra maniera – glissò Jovall – ma non ha importanza: l’importante ora è trovare un erede dei Templari. Pare infatti che qualcuno si sia messo in salvo, forse segretamente l’Ordine ha ripreso vita, forse loro si sono riappropriati del Graal. Se nel documento del Barone sono nominati, un motivo ci sarà.
Intervenne il dottor Campanal.
- Forse conosco un discendente dei Templari, sta proprio qui a Genova, da solo, in un appartamento a Bolzaneto.
Jovall strabuzzò gli occhi:
- E adesso lo dici? Poi, scusa Campa, ma con tutti i casini e i sospetti sugli attentati dei musulmani, perché vai in giro vestino da Beduino?
- Perché l’abito blu da Tuareg è in lavanderia.
- Ah bhè…. ma tua moglie cosa dice che vai in giro così conciato?
- E che ne so, non la capisco. Parla in tedesco. Comunque mi vesto per essere precisi da Pascià, non da Beduino, o da Tuareg solo nel tempo libero. Quando lavoro sono più sobrio…
- Sì, ho visto: camice a scacchi rossi e gialli o verdi e arancio, cravatte rosse o fucsia a grandi pois blu. Va bene. Qualcuno vada con Campanal: Zublinky vai tu, potete passare per padre e figlio che passeggiano. Senza dare nell’occhio… sì, va bhè… con circospezione avvicinatevi al luogo del soggetto e osservate le sue mosse per due o tre giorni. Quando avremo un quadro preciso dei suoi orari, con lui sicuramente fuori casa andremo a perquisire l’appartamento, ci andrà il Barone Occlavius che passa attraverso i muri e non lascia tracce né impronte.

Il piano era perfetto. Insomma, era un piano come tanti, ma poteva andare. Proprio in quel momento entrò un losco figuro nel Free Bar, in canottiera con le braccia tutte tatuate. Senza dare il tempo a qualcuno di pensare si portò una mano allo stivale destro, estrasse un pugnale e lo lanciò in pieno petto al Barone. Ovviamente il pugnale lo attraversò da parte a parte e andò a conficcarsi nel barilotto della birra alla spina, sul bancone. Mentre la birra fuoriusciva inondando il pavimento del locale, si sentì uno sparo e il losco figuro cascò in schiena come un sacco di patate, dando una craniata in terra, ma tanto non sentì niente perché un proiettile che lo aveva centrato proprio in mezzo agli occhi lo aveva già freddato che era ancora in piedi. Jovall soffiò nella canna e rimise nella fondina il suo vecchio revolver.
Passarono cinque minuti e fece irruzione nel locale un agente di polizia con la pistola spianata.
- Fermi tutti, sono l’agente Percivalle del distretto di pooooooooooooooooooo…
La “o” di polizia si allungò a dismisura finché l’agente, che era scivolato sul pavimento tutto bagnato di birra, sul medesimo pavimento si schiantò con una culata di notevolissimo impatto scenico e sonoro, come direbbe Van Faber in una delle sue recensioni. La pistola gli scappò di mano e finì dritta nel piatto di fritto misto di mare di un’anziana ignara turista inglese, che svenne con la faccia sugli anelli di totano. L’agente si rialzò e puntò Campanal.
- Lei! Ha a che fare con la banda di Bin Laden?
- E lei? E’ indagato per i fatti del G8?
- No. Io non ero nemmeno in servizio in quei giorni.
- Idem. Io non sono nemmeno arabo. E ancora meno musulmano!
- Favorisca i documenti…
Jovall si spazientì.
- Parsifal! La smetta! Il dottor Campanal è un mio amico, garantisco io per lui.

Le ragazze e Zub si guardarono l’un l’altro, Luba disse sottovoce:
- Avete sentito come l’ha chiamato? Parsifal…
- Ma certo! – si illuminò Simphilia – Percivalle uguale… Parsifal! Anche lui cerca il Santo Graal, c’è da scommetterci!
- E’ vero, - disse Esmeraldas – il Barone lo ha detto che anche lui lo sta cercando e che lo riconsegnerebbe al Papa gratuitamente. Dobbiamo stare attente!
- Attenti. – corresse Zublinky.
- Sei l’unico maschio del Club presente, quindi zitto e subisci! – disse Kate.
- Dobbiamo stare attente e attento. – Concluse diplomaticamente Prisca.

Nel frattempo Percivalle, disinteressatosi di Campanal, appuntò le sue attenzioni sul cadavere ancora fresco di sparatoria. Assunse un’aria severa e rivolgendosi al gruppo, indicando l’assassinato, disse con tono alterato:
- Chi è stato?
- Chi vuole che sia stato, Percivalle! – rispose Jovall annoiato.
- Ancora lei, Jovall? Solita legittima difesa immagino. Ma ce l’ha la licenza di uccidere?
- Certo che ce l’ho, che domande!
- E chi gliel’ha rilasciata?
- A lei posso dirlo.

Si alzò, si avvicinò a Percivalle e gli sussurrò qualcosa all’orecchio. L’agente fece due passi indietro con la bocca e gli occhi spalancati, poi farfugliò:
- Devo proprio andare, mi è sembrato di sentire il mio cavallo fuori che barriva… che muggiva… che nitriva. Il caso è chiuso. Jovall ha sparato per legittima difesa, lo sconosciuto ha ammazzato il barile di birra, il pavimento è scivoloso, state attenti. Barista, telefoni all’obitorio che vengano a portare via il coso… il defunto. Lo identificheremo poi là. Io avviso la scientifica. E il commissario. E il procuratore… no, troppa gente. Buona notte.

E uscì, senza nemmeno recuperare la pistola dal piatto dell’inglese svenuta.
- Ma chi era costui? – chiese Zublinky indicando il coso… il morto.
- Un altro maledetto coglione della Congregazione degli Aritmetici.

Le ragazze e Zublinky si guardarono sgomenti. Misero a punto gli ultimi dettagli del piano relativo all’erede dei Templari e passata la mezzanotte la compagnia si disfò… si disfacette… si disfuse… se ne andarono tutti, chi per proprio conto, chi a piccoli gruppi. Rimase solo Jovall che, nel locale ormai vuoto, si avvicinò al pianoforte, lo aprì e ci si infilò dentro per passarvi la notte come sempre, non prima di aver girato il cartello con la scritta “non sparate sul pianista”. Dietro c’era scritto: “non disturbate il pianista”.
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Nostalgia......
Ma che ne so. mi viene da dire. " Come eravamo giovani ! "
Ed è stato solo tre anni fa.
Cribbio, mi consenta! Urge il lifting.
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Capitoli 19, 20 e 21
Luba Zadora & Walko

19.

Zublinky e Campanal si diressero all'obbiettivo in quel di Bolzaneto di prima mattina, seguiti a non molta distanza dal Barone Occlavius sotto mentite spoglie. Jovall aveva deciso di metterlo alle costole dei due pasticcioni, non proprio per sfiducia, ma per precauzione. In fondo il Barone con i suoi poteri avrebbe potuto venire utile, anche nel caso di brutti incontri.
Zub e Campa erano allegri come sempre. Arrivarono di fronte al palazzo e si guardarono intorno con circospezione: nessun personaggio sospetto si aggirava nei paraggi, solo passanti indaffarati e una vecchiettina vestita di nero, tutta curva e sdentata, dall'aspetto del tutto innocuo, intenta a spargere briciole di pane in terra attorniata da decine di passerotti. Attraversarono la strada e si fermarono di fronte alla bottoniera dei campanelli. Zublinky trasecolò.
- Ma... Campanal, hai visto? Lo scrivono sul campanello così, senza ritegno, senza il minimo sforzo di mantenere un'apparenza di segretezza.
- Cosa?
- Come cosa? Sono io il miope del gruppo o tu? Non vedi? Leggi qui: Templari!
- Certo che lo leggo. Ma non trovo niente di strano. Perché mai dovrebbe tenere segreto il suo nome al punto di non scriverlo sul campanello?
- Chi?
- Come chi? Templari! Abita qui. Attilio Templari. E' il mio idraulico.

Zublinky restò interdetto. Si riprese dopo qualche secondo.
- Scusa Campanal, ma tu sei proprio sicuro che questo... idraulico... sia un erede dei Templari?
- No che non lo sono! Ieri sera le lasagne abbondanti mi avevano fatto abbioccare, il tuo lungo racconto ha fatto il resto e... quando mi sono risvegliato di colpo ho sentito parlare di erede dei Templari, lì per lì ho pensato alla Ditta "Fratelli Templari Lattonieri" e all'erede, appunto Attilio, e ho buttato lì quella frase...
- Che conoscevi un erede dei Templari.
- Appunto. Non mi andava poi di fare retromarcia. Quel Jovall lì mi intimorisce...
- Ti capisco. Ma chi è? Da dove viene?
- Mistero. Ma ora che facciamo col nostro idraulico? Lui coi Cavalieri del Tempio non c'entra un tubo.
- Bhè, trattandosi di un idraulico è singolare che non c'entri un tubo... ma in questo caso è proprio così, purtroppo. Non mi sembra il caso di continuare a battere questa pista. E' tempo perso. Diremo che approfondendo la cosa abbiamo risolto che non c'era niente di interessante...Campanal...
- Sì? Perché hai abbassato la voce?
- Ssssst... non voltarti! Dietro di te ci sono due tipi sospetti. Guardano proprio verso di noi, un tipo alto, magro ma muscoloso ci ha puntati col dito. L'altro ha una macchina fotografica al collo. Continuano a guardarci e a parlottare fra loro.
- Che facciamo?
- Fingiamo indifferenza. Accidenti! Il tipo ci sta fotografando! Bisogna agire, saranno due maledetti Aritmetici! Quelli che cercano il Graal per distruggerlo e ci danno la caccia.
- Ci penso io.

Campanal tirò fuori da sotto la specie di lunga tonaca bianca che indossava una pistola a tamburo di vecchia fattura, con la canna a tromba, e si girò all'improvviso intimando l'alt ai due tipi sospetti. Il tipo muscoloso con uno scatto svoltò l'angolo e se la diede a gambe, l'altro invece, sorpreso, mollò la macchina fotografica e alzò le mani.
- Arrenditi, marrano!
- Non ho fatto niente di male, ho solo scattato una foto ricordo incuriosito da un uomo in giro per Genova vestito da beduino.
- Da Pascià, prego!
- Complimenti per il suo italiano, parla benissimo davvero, ha persino l'accento genovese.
- Per forza, sono genovese! Cosa dovrei parlare? Arabo?

Così dicendo Campanal ebbe un attimo di distrazione, il tipo sferrò un calcio alla pistola che finì in mezzo alla strada e scattò via di corsa, dandosi alla fuga. Zublinky tentò una presa in tuffo, ma lo mancò clamorosamente e andò a sbattere con la testa contro il palo del semaforo. Il losco figuro svoltò l'angolo dove già era scomparso il suo complice, ma un colpo di borsetta in fronte lo mandò K.O.. Campanal, ripresosi dallo smacco si lanciò all'inseguimento del fuggitivo, voltò l'angolo e se lo trovò di fronte, coricato sul marciapiede privo di sensi, senza poter evitare di inciamparvi addosso e finire a sua volta lungo disteso sul marciapiede. Rialzatosi, vide che la vecchiettina dei passerotti era lì davanti.
- Lo sapevo che sarebbe stato utile mettere un mattone in borsetta.
- Brava vecchietta! Ha tentato di scipparla?
- No! Me lo aspettavo che ve lo sareste lasciato scappare come l'altro, così mi ero appostato dietro l'angolo.
- Appostato?
- Sono il Barone Occlavius in uno dei miei più riusciti travestimenti.
- Incredibile! Ma come fa a passare come niente da un cane dobermann a Tarzan, al suo aspetto normale ed ora a questo di una vecchietta sdentata?
- Segreto professionale, anzi fantasmagorico. E' una prerogativa riservata ai fantasmi di prima categoria, alla quale modestamente mi onoro di appartenere.

Nel frattempo li aveva raggiunti Zublinky, un po’ rintronato per la craniata di prima. Il Barone/vecchietta riprese:
- Stendiamo un pietoso velo sulla missione Templari. Prendiamo per buona la versione che avete concordato, altrimenti Woland si infuria e diventa intrattabile.
- Woland?
- Eh? Ho detto Woland? Ehm... è stato un lapsus, sto leggendo "Il Maestro e Margherita" di Bulgakov in questi giorni... volevo dire Jovall.
- Ah, Jovall! Dio ci scampi dalle sue ire!
- Appunto. Ora concentriamoci su questa vicenda. Portate costui nel retrobottega del Free Bar, il quartier generale di Jovall. Ci penserà lui, con Zeno, a interrogarlo con i loro metodi infallibili. Per mezzora sarà innocuo, avrete il tempo di portarlo là senza che vi scappi un'altra volta. Io mi occuperò dell'altro.
- Chissà dove sarà a quest'ora!
- Lo individuerò dall'alto. Andate, ci troviamo al Free Bar, nel retrobottega, si entra dal cortile.

E detto questo spiccò un salto e volò sul tetto di un palazzo di otto piani, lasciando di stucco i due amici.
Arrivarono al quartier generale dopo una mezzoretta, mentre il "marrano" ritornava in sé. C'erano quasi tutti, intenti a cercare di decifrare le scarne indicazioni fornite da Walko & Rei Rider sul manoscritto, che Kate si era trascritta minuziosamente sull'agendina e ora leggeva ad alta voce con l'aiuto di un binocolo prestatogli da Zeno. Infatti aveva dimenticato la lente di ingrandimento. Entrarono Zublinky e Campanal trascinando il prigioniero che avevano legato, imbavagliato e incappucciato. Jovall domandò spiegazioni:
- E' lui l'erede dei Templari?
- No, Jovall, purtroppo era una falsa pista. Questo è un tipo losco che ci spiava e ci ha anche fotografato, insieme a un altro che si è dato alla fuga, ma la vecchia è sulle sue tracce!
- La vecchia? Che vecchia?
- Il Barone si è travestito da vecchia.
- Capisco. Va bene, sentiamo cos'ha da raccontarci questo curiosone. Levategli il cappuccio.

Appena Zublinky gli liberò il viso, Blondielaura scattò come una molla.
- Ma è mio fratello! E' Borislav!
- Chi? Borislav il fotografo?
Liberato del bavaglio, Borislav si rivolse alla sorella.
- Blondie, che ci fai in mezzo a questi pazzi furiosi? Hanno catturato anche te?
- Ma no! Lui è Jovall, con Zeno e Angela, sono i nostri soci. Loro sono alcune delle ragazze del Club: Kate, Prisca, Fiore e Simphilia. Mancano le quattro genovesi che sono in giro per gli approvvigionamenti alimentari e Gio che starà per arrivare da Trieste. Lui è Zublinky, e quello vestito da arabo è Campanal. Tra non molto si uniranno LucidaFollia, Roby, MDL e Myrna. Poi via via anche gli altri.
- Ma la vecchietta pazza che molla borsettate in testa alla gente chi è?
Intervenne Zublinky:
- E' il Barone Occlavius. Dovrebbe arrivare tra non molto...

Entrò infatti in quell'istante insieme al fuggitivo, che era visibilmente sotto ipnosi, con lo sguardo fisso e i gesti meccanici.
- Eccolo qui, l'ho preso!
- Sagitt!!! Amico mio, che ti hanno fatto?
Urlò Blondielaura. Il Barone/vecchietta era sorpreso dalla reazione.
- L'ho ipnotizzato. Lo conoscete?
Le spiegazioni e le presentazioni andarono per le lunghe. Finché arrivarono le genovesi con le cibarie e poco dopo Gio più pimpante che mai, e tutti si misero intorno al grande tavolo della sala da pranzo di quell'immenso retrobottega, per consumare il pranzo. Dopo varie portate e qualche bicchier di vino, Jovall stranamente gioviale e di buon umore ordinò ad Angela di tirar fuori tre bottiglie di Canard-Duchêne, champagne d.o.c. d'annata che teneva sempre alla giusta temperatura, e quando ognuno ne ebbe il calice riempito alzò il suo, bevve un sorso e poi si mise a raccontare una storia, che tutti ascoltarono in religioso silenzio.



Walko

20

Jovall sollevò il calice.
- Prosit.
- Prosit. – risposero in coro i presenti.
- Questo champagne è superlativo, altro che il finto spumante di Mosca. Zeno, non ricordo bene, c’eri anche tu con me a Mosca, l’altra volta?
- No, Jovall. C’era Ippopotamo il gatto. C’erano Fagot-Koroviev e Azazello. E c’era Hella.
- Sì, adesso ricordo tutto. Ricordo la cavalcata nel vento fra le nuvole, con il Maestro che non staccava gli occhi dalla Luna e Margherita Nikolaevna, bellissima e dolcissima; mi torna in mente il suo primo volo, ricordo ancora i suoi occhi spalancati di meraviglia nel momento in cui feci il gesto e Gerusalemme si spense. E non potrò dimenticare l’apoteosi della missione, quando infine il figlio del re-astrologo, il crudele quinto procuratore della Giudea, ottenne il perdono che aspettava da venti secoli, incontrando Yeshua e andandosene via con lui, liberato ormai dal Maestro Ivan Nikolaevic dalla sua costretta identità di personaggio e restituito alla vita e alla storia. Missione compiuta su tutti i fronti.
- Che ne è ora di Margherita ed Ivan?
- Hanno raggiunto il rifugio eterno, sono felici per sempre, innamorati per sempre…
- Davvero la missione fu compiuta su tutti i fronti.
- Sì, Zeno. Ma anche questa volta lo sarà, vedrai: ritroveremo il Graal e tutto tornerà al suo posto, una volta per tutte. Noi siamo qui per aiutare gli eventi a indirizzarsi nel giusto binario e per levare di mezzo certi piccoli e stupidi ostacoli, senza contare il fatto che c’è pur sempre qualcuno da punire secondo giustizia, come avverrà a tempo e luogo propizi. Anche questa volta, come sempre, il bene e il male coesisteranno e coopereranno per la soluzione, qualunque essa sarà. Per quanti poteri e forze possano entrare in campo, saranno comunque la volontà e i gesti concreti degli individui a decidere. E puoi star certo, buon Zeno, che sarà per il meglio.

Dopo un ultimo brindisi la compagnia si sciolse. Usciti dal retrobottega del Free Bar, gli amici del Club si interrogavano su quanto avevano ascoltato dalla voce di Jovall.
- Io non c’ho capito nulla. – sostenevano in molti.
- Io non ho afferrato interamente la questione – disse Prisca – ma di una cosa sono certa: Hella e Margherita sono nomi di streghe, la prima d’ereditarietà e la seconda per scelta.
- Sì, è vero, – intervenne Sagitt che era esperto in materia – sono streghe di Woland.
- Woland? – esclamò Zublinky – E’ così che il Barone-vecchietta a un certo momento ha chiamato Jovall. Ha detto che si è confuso, ha parlato di un romanzo che sta leggendo…
- “Il Maestro e Margherita” di Michail Bulgakov, - disse LuBa Zadora – l’ho letto, è uno dei miei romanzi prediletti. Jovall parlava di quella storia: il perdono di Ponzio Pilato, l’eterno rifugio degli amanti… però… ne parlava come se lui… come… come se non fosse un romanzo… come se…
- …come se lui ci fosse stato. – completò la frase Esmeraldas.
- Zublinky ha detto che il Barone lo ha chiamato Woland, – disse Kate Orlandow – quindi mi sembra tutto chiaro, per quanto possa sembrare assurdo.
- Jovall è Woland! – concluse Blondielaura.
- Sì, – disse Sagitt – è evidentemente tornato dopo circa settant’anni; allora fu a Mosca e ora a Genova, per compiere un’altra missione: con ogni evidenza si tratta del recupero del Graal. E noi ne siamo tutti coinvolti.
- Ho paura – disse Esmeraldinhas.
- Anch’io – si accodarono all’unisono Fiore, Lola Tekila e Simphilia stringendosi fra loro.
- Ma no! Paura di che cosa? Io invece mi sento eccitatissima! – disse Gio.

In quel preciso momento, nonostante fosse sereno, si vide un lampo riempire tutto il cielo, seguito da un prolungato tuono lontano, quindi si alzò dal nulla un vento fortissimo e si fece buio, al punto che si potevano vedere le stelle come se si stesse verificando un’improvvisa ed imprevista eclissi di sole. Il fenomeno durò pochi secondi, dopodiché tutto tornò come prima: il sole alto nel cielo azzurrissimo, una leggera brezza primaverile.
Gli amici si ritrovarono in cerchio, un poco sbalorditi. LuBa fu la prima a riprendere il discorso interrotto.
- Cos’è successo? Cosa stavamo dicendo?
- Non saprei, non ricordo – fu la risposta generale.
- Ricordo che stavamo brindando – disse Borislav – poi Jovall ha alzato il calice e ha tenuto un discorso, o meglio, ha iniziato un dialogo con il suo amico Zeno, ma non ricordo una sola parola di quanto hanno detto.

Si interrogarono muti. Nessuno ricordava.


Van Faber & Walko

21.

Nel pomeriggio intorno alle 16 e 15 Jovall, Zeno, Angelo e il Barone Occlavius stavano giocando a Monopoli, quando suonarono alla porta del retrobottega. Andò ad aprire svogliatamente Zeno, che introdusse un tipo con berretto e borsone a tracolla.
- E' il postino.
- Ah sì, venga, venga pure avanti.
Disse Jovall con uno dei suoi rari sorrisi luminosi e gioviali, alzandosi e andandogli incontro come se lo stesse aspettando. Non appena il postino fece un passo, entrando nel retrobottega, Jovall estrasse la sua S. & W. e gli sparò in fronte, senza nemmeno dargli il tempo di salutare. Cascò quasi con la nuca sui piedi di Zeno.
- Ma... Jovall! Perché hai ammazzato il postino? Forse perché consegnava la posta in ritardo?
- No, Zeno. Perché non era un postino. Il postino suona sempre due volte. Lui ha suonato una volta sola. E poi non passa mai alle quattro del pomeriggio. Guarda un po' cosa c'è nel borsone.

Zeno lo aprì: c'erano un fucile a canne mozze e due bombe a mano.
- Visto? Era uno di quei maledetti! Un Aritmetico.
- Ancora?
- Sì, ma adesso mi sono proprio stancato di loro, finché si scherza si scherza, ma a tutto c'è un limite! Qui ci vuole un'azione risolutiva. Barone, tu sai dove hanno la sede questi cialtroni, vero?
- Sì, certo. Ne ho seguito uno dall'alto, saltando da un tetto all'altro, quello che aveva sparato ad Angelo e spinto mio fratello in un barile di acido. E' in un vecchio palazzo del centro.
- Bene. Adesso prenderai le sembianze di questo disgraziato, poi andrai nella loro sede e dirai che non hai trovato nessuno qui, né hai visto in giro qualcuno del Club di Libere Parole. Dirai che hai saputo che sono tutti andati fuori Genova, non si sa dove. Angelo, avvisa tutte le ragazze del Club di non farsi vedere per tutto oggi, fino a domani mattina. Dovranno credere che siamo andati tutti nel luogo dove è nascosto il Graal. Conoscendo quell'imbecille del loro capo, sicuramente indirà una riunione urgente di tutti i "Cavalieri" per stasera in qualche luogo segreto. Ovviamente ci andrai anche tu, poi ti metterai in contatto telepatico con Angelo per darci le coordinate e a questo punto entreremo in azione.

Zeno assentì col capo e chiese se si doveva reclutare qualche ragazza del Club.
- No, inutile rischiare. Secondo i miei calcoli, considerando quelli che abbiamo già eliminato, gli aritmertici saranno rimasti non più di una ventina. Basta una piccola squadra pronta e ben addestrata. Ho gli uomini giusti. Tre in tutto, più io che starò fuori ad aspettare il capo; dovranno lasciarlo fuggire dandogli l'illusione di avercela fatta, poi ci penserò io a lui, è una soddisfazione che mi voglio togliere personalmente.
- Chi saranno i tre della missione?
- A parte il Barone che fungerà da talpa, tre uomini del Club: Conroy Lenn che è un cecchino infallibile e ha una mole considerevole, pari alla forza fisica. Lui userà il bazooka. Poi Cincinnatus, è stato diversi anni nella Legione Straniera e conosce a menadito tutte le tecniche d'assalto. Userà armi leggere, mitraglietta skorpion, due pistole e qualche ananas appeso alla cintura. Agiranno dietro le indicazioni di chi ho scelto come capo-spedizione, un superesperto in strategia d'annientamento. Zeno, dammi il numero segreto del Generale.
- Eh? Ma io non lo so... è segreto!
- Ah già, è vero. Però il Barone lo sa.
- Non è esatto, non lo so nemmeno io, però ho la facoltà di telefonare a chiunque anche senza numero, basta che mi concentri...

Detto fatto, il Barone alzò la cornetta, chiuse gli occhi e dopo pochi secondi la passò a Jovall dicendo:
- Ecco, suona libero.
- Grazie Barone, sei sempre un gran risorsa. Pronto? Generale, è lei?
- Dipende... con chi parlo?
- Sono Jovall!
- Jovall? Quanto tempo! Dove ti trovi vecchio amico?
- A Genova. Ciao Faber. Adesso posso chiamarti per nome. Dovresti raggiungerci al Free bar, nel retrobottega, ho posto lì il mio quartier generale.
- So dov'è. Un'oretta e sono lì. C'è qualcosa da fare di urgente?
- Sì, un po' di pulizia.
- Ehm... va bene che ti sono amico e che sai che per te sono sempre a disposizione per qualsiasi cosa... però... farmi venire a Genova per fare le pulizie mi sembra un po'... insomma... sono pur sempre un Generale del Reparto Assaltatori, pluridecorato...
- Ma cosa vai a pensare, che hai capito? E' proprio la tua esperienza di assaltatore che mi serve per ripulire un certo... ma è meglio parlarne a voce.
- Arrivo.

La sera stessa, visto che tutto andò secondo i piani di Jovall, Faber messo al corrente di tutto preparò una strategia di assalto, ne mise a parte Conroy Lenn e Cincinnatus arrivati da Roma il giorno precedente per unirsi agli altri del Club e poi i quattro uomini della squadra si recarono dove il Barone aveva segnalato che si stava tenendo la riunione straordinaria dei Cavalieri della Congregazione degli Aritmetici. I piantoni di guardia furono eliminati a distanza: bastò attirarli in un punto illuminato lanciando qualche sassolino, poi ci pensò Jovall. A quel punto, ripulita la strada dal possibile ostacolo delle sentinnelle, Faber studiò il luogo: una vecchia fabbrica abbandonata. Cincinnatus salendo su un albero e abbassando col proprio peso un ramo fino ad una finestra a tre metri d'altezza, entrò dando di spalle alla cattedra da cui parlava il Venerabile Supremo Priore della Congregazione e in piedi sul davanzale cominciò a sparare sul mucchio con la Skorpion; questo fu il segnale: Faber scardinò una porta laterale, unica uscita di sicurezza della fabbrica dismessa, con una carica di plastico e fece irruzione sparando all'impazzata con un mitra; nello stesso momento Conroy Lenn buttò giù il portone principale con una pedata, entrò, si inginocchiò bazooka in spalle e da quel momento per cinque minuti si scatenò l'inferno. Gli Aritmetici, sorpresi dalla sortita, investiti dallo sbarramento di fuoco di Faber, dai colpi devastanti del bazooka di Conroy Lenn e dalle bombe a mano che Cincinnatus aveva cominciato a lanciare nel mucchio, non riuscirono a organizzare uno straccio di azione difensiva, scappare era impossibile, appena qualcuno tentava di estrarre un'arma, Cincinnatus dal davanzale, dotato di lenti speciali che gli permettevano di vedere attraverso il fumo, lo freddava con un colpo di pistola. Dopo cinque minuti esatti dall'irruzione, Faber, che anche lui come pure Conroy Lenn poteva vedere nel fumo, lanciò un segnale prolungato col fischietto che teneva fra le labbra. Conroy Lenn e Cincinnatus cessarono il fuoco. I Cavalieri della Congregazione degli Aritmetici erano stati sgominati fino all'ultimo uomo. Solo il Supremo Priore, che si era nascosto sotto la cattedra, era ancora in vita. I tre finsero di distrarsi, così mentre Cincinnatus saltato giù dalla finestra e Faber si avvicinarono a Conroy Lenn vicino al portone d'ingresso e i tre cominciarono a complimentarsi a vicenda, accendendosi una sigaretta ciascuno, il Supremo Priore, sempre incappucciato, studiò la situazione e con uno scatto da centometrista fuggì dall'uscita di sicurezza lasciata incustodita, mentre i tre amici fingevano di non essersi accorti di nulla.
Fuori di là, il Priore continuò a correre, ridacchiando e ripetendo tra i denti:
- Hi hi hi, li ho fregati! Non mi hanno visto quegli idioti, hi hi hi, li ho fregati!

Finché, all'improvviso la sua corsa all'impazzata fu frenata di botto da qualcosa che lo strinse e gli bloccò anche le braccia lungo i fianchi. Per il contraccolpo si ritrovò seduto in terra in mezzo alla strada e solo in quel momento realizzò di essere stato preso al lazo, lui, il Venerabile Supremo Priore dei Cavalieri della Congregazione degli Aritmetici! Si voltò verso il punto da cui il lazo era partito e vide la sagoma di una vecchia 600. Sopra la 600, assiso su di una poltrona fissata al portabagagli, c'era l'uomo che aveva in mano l'altro capo della corda. Il Priore lo fissò a lungo, strizzando gli occhi per vedere il più possibile nella semi-oscurità, prima di riconoscerlo.
- Jovall, maledetto! Dovevo immaginarlo che c'eri tu dietro a questa sporca vicenda!
- Io l'ho capito fin dapprincipio che dietro la ridicola faccenda degli Aritmetici potevi esserci solo tu.
- Quei tre assatanati hanno fatto fuori tutti i miei uomini! Non si fa così! Non vale! E poi è anche proibito.
- Non in guerra e la guerra l'hai voluta tu. E tanto prima o poi sarebbe successo: uno alla volta, quando tentavano di ammazzare uno di noi, ci avrebbero lasciato le penne. Ma c'era il rischio che qualcuno si facesse male e allora ho deciso di dare subito un taglio netto a questa storia.
- E adesso?
- E adesso ti porto al mio quartier generale. Si parte.

La 600 infatti partì in direzione Free bar, a velocità moderata, costringendo il Supremo Priore a rialzarsi e a mettersi a correre per evitare di essere trascinato sull'asfalto. Arrivarono dopo mezzora di viaggio al Free bar, dove nel frattempo si erano radunati tutti gli amici, compresi Conroy Lenn, Cincinnatus e Van Faber, ancora in tuta mimetica e armati fino ai denti, che in attesa di Jovall raccontavano l'accaduto agli altri.
All'improvviso si spalancò la porta del locale, Jovall entrò tirando una corda all'altro capo della quale dopo pochi secondi fece la sua apparizione un uomo incappucciato.

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Capitoli 22-23
Esmeraldass

22.

Il retrobottega era strapieno di gente. Si erano infatti uniti alla compagnia gli ultimi arrivati del Club: Myrna, Kakasenno, Pat Wolf, Farkao Lenn, Anna NBD, Archigene, Uria e Akuariange. Jovall chiese silenzio, poi cominciò ad interrogare il cosiddetto Priore degli Aritmetici.
- Non ti sei ancora rassegnato a startene tranquillo. Mi fai pentire di averti lasciato in vita fino ad oggi. Avrei dovuto farti fuori a Mosca, tanti anni fa.
- Ognuno ha una missione da svolgere. Tu la tua, io la mia. Dovremmo essere alleati, visto che tu rappresenti il Male ed io sono l’Anticristo.
- Lo vedi, Boris Dimitrevic, che non capisci niente? Intanto sei ignorante: se avessi letto il romanzo di Bulgakov sapresti che non rappresento il Male.
- E cosa allora?
- Diciamo che rappresento l’ordine delle cose e intervengo quando si crea disordine. Ma la cosa non ti riguarda, dunque sorvoliamo. Di sicuro non rappresento le forze del male come ti ostini a capire. Ma soprattutto, Boris Dimitrevic, mettiti in testa una volta per tutte che tu non sei l’Anticristo! Sei solo un pazzo che si è fissato di diventarlo, ma non si diventa Anticristi, non è un mestiere! E adesso veniamo a noi. Scegli: o ti faccio la pelle o firmi questa carta.
- Cosa c’è scritto? Sai bene che leggo solo il cirillico!
- C’è scritto che accetti di sottoporti alle cure di un luminare mondiale della Psichiatria, presso la sua clinica. E’ una terapia lunga e costosissima, ma i soldi non ti mancano certo. Lo psichiatra è già stato contattato e avvisato da Archigene, col quale è amico da anni, e si è detto d’accordo. Manca solo la tua firma.
- Non firmerò mai.
- Come vuoi. Buon viaggio.

Detto questo Jovall estrasse la pistola, gli appoggiò la canna fredda sulla fronte e premette il grilletto, ma la pistola fece click.
- Accidenti! E’ la prima volta che la mia fida S. & M. fa cilecca! Sarà quasi venuto il tempo di cambiarla. Peccato, perché mi ci ero affezionato. Va bene, bando ai rimpianti. Di nuovo buon viaggio, Boris Dimitrevic, la mia S. & M. non sbaglia certo due volte.
- Noooooo! Firmo! Firmo! Liberatemi il braccio destro che firmo immediatamente.
- Oh, alla buon ora!

Zeno e Angelo, tornato nei suoi panni abituali con grande sorpresa di Boris Dimitrevic che pensava fosse stato ucciso da uno dei suoi, si incaricarono del trasporto del paziente. Dalla clinica del professore tedesco era impossibile fuggire, cosicché l’ex Priore degli Aritmetici uscì definitivamente di scena, legato come un salame seduto sul sedile posteriore della 600 azzurrina.
Il Barone si versò un bicchiere di limoncello e commentò:
- Anche questa è fatta. Ci siamo liberati di quei pazzi. Fortuna che la tua pistola ha fatto cilecca, Jovall, altrimenti il povero priore ora sarebbe una salma di cui liberarsi.
- Non ha fatto cilecca. L’avevo scaricata. Non mi andava di ammazzarlo quel mattacchione, in fondo non è cattivo, è solo un po’ scemo. Un po’ tanto scemo. Un po’ troppo scemo! Bha, in fondo sono un romantico. Ma adesso dovremmo rimetterci al lavoro. Le vacanze incombono, il tempo stringe. Angelo mi ha accennato d’una novità da parte vostra. Di che si tratta?

Parlò LuBa Zadora per tutti, essendo la portavoce del Club.
- Sì, Jovall. Abbiamo passato un giorno intero a studiare e a confrontarci, ognuno di noi ha messo del suo, visto che messi tutti insieme ci occupiamo praticamente di tutto e siamo arrivati a una conclusione.
- Ottimo, quale?
- Esiste al mondo una veggente, una maga che vede il passato e il futuro e lo svela in forma misteriosa e criptata. L’unico problema è il costo: la veggente si fa pagare esclusivamente in tavolette di cioccolato, cosa di cui va letteralmente pazza, ma per una consulenza complessa come la nostra potrebbe chiederne migliaia. Abbiamo calcolato che ci sarebbero serviti almeno 5.000 euro, quasi dieci milioni di vecchie lire, per l’acquisto delle tavolette e il noleggio di un camion, per portargliele.
- Come superare l’ostacolo? Con una colletta?
- No, abbiamo già provveduto. Ognuno di noi ha messo qualcosa di suo. Per la cifra mancante TheAutumnalBard si è impegnato a fare un giro di concerti che in genere fa gratuitamente, ma non questa volta, per cui si è fatto pagare in anticipo raccogliendo la cifra necessaria che ha devoluto alla causa.
- Molto bene.
- Ora l’unico problema è sapere chi è la veggente e dove rintracciarla. Si sa che esiste, si conoscono abitudini e capacità, ma non l’identità né il luogo dove si trova.
- E allora?
- Ci resta un’unica speranza…

In quel momento si spalancò la porta del retrobottega ed entrò LunaBlues, con un librone sotto braccio:
- L’ho trovata! L’ho trovata! Ci siamo!
Spiegarono a Jovall e al Barone che LunaBlues era in possesso di un’immensa biblioteca con libri antichissimi e rarissimi sulla storia della stregoneria e che era appunto lei l’ultima speranza alla quale si erano affidati per trovare la veggente. LunaBlues appoggiò il librone sul tavolo, sollevando alcuni kili di polvere, lo aprì ad una determinata pagina e spiegò:
- Questo è un volume in copia unica. Lo acquistai anni fa a Bologna, da un antiquario. Qualcosa mi diceva che sarebbe stato utile alla nostra ricerca e infatti: eccola qui! Si tratta della maga Barbìsa, che vive in una specie di grotta ricavata dopo anni di scavi, esattamente sotto Piazza Caricamento, qui a Genova! Questa è la cartina della piazza. L’entrata dell’insolita abitazione della veggente è esattamente in questo punto, contrassegnato da questo cerchietto rosso.

Tutti erano felici e anche meravigliati, specialmente le due sorelle Esmeraldas ed Esmeraldinhas. Fu quest’ultima a parlare per prima, rivolgendosi proprio alla sorella che sembrava in trance.
- Esme, ma la maga Barbìsa non era un tuo personaggio? Ricordo che quando ero piccola tu mi leggevi le storie assurde che avevi scritto, di una maga che parlava in modo quasi incomprensibile, viveva nel sottosuolo di Genova e si chiamava Barbìsa!
- Credevo di averla inventata io, Raldinha, ma evidentemente… esiste davvero!

Jovall prese in pugno la situazione, con le sue innate doti di organizzatore:
- Bisogna agire senza mettere altro tempo in mezzo. Ora è tardissimo ed è meglio andare tutti a dormire. Appena dopo pranzo vi recherete tutti sul posto in ordine sparso. Il Barone controllerà dall’alto, in cima a qualche tetto, pronto ad intervenire insieme agli altri in caso di pericolo. Scenderanno Esmeraldas, che forse è l’unica che può capire il linguaggio della veggente, Sagitt che si intende di cose occulte e potrebbe venire utile, poi è molto atletico, ha fatto pugilato e karate e se servisse aiuto… ci siamo capiti, meglio non rischiare. Scenderà anche Lola Tekila, che scrive velocissimamente e si appunterà parola per parola quel che dirà la maga, caso mai sfuggisse qualcosa e fosse necessario rileggere il suo discorso. Gli altri staranno in piazza, sparpagliati. Sagitt avrà con sé una minuscola macchinetta trasmittente con la quale, in caso di pericolo potrà lanciare un bip alla macchinetta ricevente, che avrà con sé Faber. Si tratta di uno dei suoi preziosi e sofisticati marchingegni, come gli occhiali per vedere nel fumo e al buio, ed è bene che lo tenga lui. Adesso tutti a nanna che domani, o meglio, tra poche ore sarà una giornata campale.

In effetti nessuno dormì tanta era l’agitazione. Tornati alla base, pranzarono tutti insieme e poi partirono per la piazza, in ordine sparso secondo il piano di Jovall.
L’entrata in realtà era un tombino nel quale era necessario calarsi. Il Barone avvicinò un vigile urbano e dopo avergli mostrato credenziali documentate della Soprintendenza alle Belle Arti, in realtà mostrandogli lo scontrino di un bar trasformato da uno dei suoi trucchi da illusionista, gli presentò Esmeraldas, Lola e Sagitt come tre ricercatori archeologici che dovevano scendere nel sottosuolo in seguito alla segnalazione del ritrovamento di un possibile sito archeologico, probabilmente i resti di un villaggio celtico. Il Barone, tutto compunto e compreso nel ruolo, mostrò al vigile anche tutti gli incartamenti e i documenti regolarmente bollati relativi ai permessi già concessi da Comune, Provincia, Regione e Ministero. In realtà si trattava di fogli di un giornale vecchio, raccolto nella spazzatura, ma il vigile rimase molto impressionato da tanti papiri bollati, al punto che fece portare alcuni cartelli di lavori in corso con i quali isolò il tombino.
Finalmente scesero, muniti di pila elettrica, con una mappa del percorso che portava sino alla porta d’ingresso della singolare abitazione della maga. Passando per un labirinto di cunicoli si ritrovarono infine davanti a una porticina di legno. Era l’entrata. Che fare? Sagitt provò a bussare e prima ancora di arrivare a lambire il legno, la porta si aprì lentamente, cigolando. Deglutirono ed entrarono. C’era una scala, la scesero a lungo finché si ritrovarono davanti ad un’altra porta, o per meglio dire a un portone di bronzo, con una maniglia che Sagitt abbassò e… meraviglia delle meraviglie! All’interno comparve ai loro occhi un immenso salone illuminato da splendidi lampadari, con archi, colonne, tutto in marmo pregiato, come il pavimento. I muri e il soffitto erano impreziositi da splendidi affreschi che, pensarono, avrebbero fatto la felicità di Zublinky, esperto di pittura, nel vederli. C’erano tende di raso e velluto, il clima era fresco e non c’era un briciolo di umidità. Era tutto incredibilmente bello, elegante e lussuoso. All’improvviso si aprì una porta sulla destra e una voce da dentro disse: avanti! Entrarono. Era uno studio, con una grande libreria, armadi e mobili di gran classe, tutto in legno pregiato e profumato di cera. Di fronte, posta orizzontalmente, c’era una scrivania con gambe lavorate a intarsio che terminavano a forma di zampa leonina. Dietro la scrivania era seduta una signora sulla settantina, elegante, ingioiellata, con i capelli azzurrini raccolti, dall’aspetto austero e raffinato. Era migliore di persona rispetto al disegno visto sul libro di LunaBlues, ma era decisamente rassomigliante. L’unica nota stonata in lei era l’abbondante peluria sotto il naso, a cui probabilmente doveva il nome: Barbìsa.
Fece loro cenno di accomodarsi sulle tre poltroncine poste di fronte alla scrivania, poi iniziò a parlare:
- Ero in verranno.
Sagitt e Lola Tekila guardarono interrogativi Esmeraldas, che sorrise e da quel momento tradusse le frasi della maga. Lola scriveva testo e traduzione.
- Ha detto che ci stava aspettando.
- Ben riportato. Non si fa che di cortesia da superflua giralancetta il storiarmi d’antecedenza, che sciento.
- Inutile perdere tempo a raccontargli dall’inizio la storia, sa già tutto.
- Porgo indago oculatamente oculistica al sapiente similtecnologico che narra in vitro e svelerà il richiesto.
- Ora guarda con attenzione in quella specie di monitor, che evidentemente sostituisce la sfera di cristallo, e vedrà nello schermo quello che vogliamo sapere.
- Eh eh, stranavista assolvo...
- Vede una cosa curiosa…
- Ho traguardato il cerco bersagliante.
- Ha visto! E’ arrivata alla soluzione!
- Nella circonferenza dell’associato ricercante ha ricovero il chi sapiente non sapendo. Se solubile sia non c’è amletico in generalità, ma in unico trascendendo il conscio a parvenza sottacquea profonda come s’usa incettare d’ittici, e se tale sia il darsi che può, né bastante, si dà necesso di pertinente rimando e non difforme all’emerso, il riemerge. Allora presentemente il chi, non sapiente il saputo, saprà. E coglie rammento e snuda.
- Ho bisogno di un attimo di concentrazione… letteralmente ci sono, ma mi sfugge il senso. Lola, fammi rileggere la frase. Okey… mha! Bhè, la traduzione è semplice: all’interno del gruppo che cerca c’è quello che sa, ma non sa di sapere, cioè non ricorda evidentemente. La cosa si può risolvere e in generale su questo non c’è dubbio, ma solo uscendo dal cosciente e andando a pescare nel subcosciente; ma non basta: dovrà emergere un riferimento preciso, penso legato alla circostanza in cui “colui che sa ma non ricorda” ha visto il Graal esattamente dove si trovava e quindi si trova tuttora. A quel punto, trovato il riferimento, ricorderà e svelerà tutto.
- Così è. Ma solo chi virgo adamico vige di purità totale potrà il recupero e il significante quivi sta nel mai fu svolto pure né sfiorar labiale. Detto il detto e d’altro detto è vano.
- Solo un uomo vergine e totalmente puro potrà materialmente recuperare il Graal. E per puro nel caso si intende qualcuno che non abbia mai nemmeno baciato. E detto questo non serve dire altro. Fine del discorso. La ringrazio, maga Barbìsa.
- E il mio compenso in tavole?
- Il cioccolato? Fuori c’è un camion zeppo di diecimila tavolette di ottimo cioccolato di vario tipo: bianco e scuro, nocciolato, fondente e al latte. Il problema sarà farlo arrivare fin quaggiù.
- Provvederò in autonomo. Tratterrò come abitudine una tavoletta per me e distribuirò le altre ai bambini poveri cui è inibito il goderne.

Non fu necessario tradurre l’ultima frase, Esmeraldas lo capì vedendo gli occhi di Sagitt che all’improvviso si inumidirono fino alla tracimazione, talmente era commosso.

Walko & Sagitt

23.

Mentre si compiva la “missione Barbìsa”, al quartier generale di Jovall fecero ritorno Zeno e Angelo, che avevano lasciato l’ormai ex Priore degli Aritmetici nella casa di cura in Germania e ora facevano il rapporto sulla vicenda.
- Per tutto il viaggio ha cercato di convincerci che lui è l’Anticristo e tu Satana.
- Lo so, Zeno, è una vecchia storia.
- Non l’ho mai capita fino in fondo.
- Eppure non è tanto complessa, forse perché non te l’ho mai spiegata per bene. Dunque: devi sapere che Boris è caduto all’incirca nello stesso equivoco di Bulgakov riguardo all’identità di Woland, cioè di Jovall. Anche lo scrittore russo, narrando i ben noti fatti di Mosca, ha pensato che Woland e Satana fossero all’incirca la stessa persona. Ma se così fosse, che senso avrebbe avuto portare a termine quella missione, di far reincontrare e riappacificare il figlio del re-astrologo, il crudele quinto procuratore della Giudea, con Yeshua da lui condannato due millenni prima, ottenendo che questi lo perdonasse e che lui finalmente potesse spiegarsi?
- Ma chi erano esattamente costoro?
- Uscendo dai loro nomi letterari: Yeshua il Messia, il figlio del Dio vivente, detto Gesù di Nazareth; il procuratore inviato da Roma, Ponzio Pilato. Ti sembra possibile un patto fra Dio e il Demonio per riportare pace e ordine?
- No. Impossibile e assurdo.
- Appunto. Ecco perché Woland non appartiene e non rappresenta le forze del Male. Ma nemmeno del Bene. Esiste una landa di confine, a metà strada fra il bene e il male, il bello e il brutto, il vero e il falso, il reale e l’immaginario. A questo mondo appartiene Woland: è il mondo delle apparizioni e della fantasia, dei miti, delle leggende e delle fiabe, il mondo delle streghe e delle fate, dei personaggi letterari, quelli a metà strada fra sogno e realtà, dei fantasmi girovaghi rimasti a metà strada fra il terreno e l’ultraterreno, degli angeli che provano il desiderio di essere uomini. Ai rappresentanti di questo mondo è concesso di esercitare alcuni poteri, ma molto limitati: per esempio non mi è dato di sapere dove sia il Graal e ho dovuto mettermi alla sua ricerca andando per tentativi, finora tutti vani; inoltre, a patto che sia a fin di bene, è concesso anche l’uso di quel che nel mondo reale sarebbe il male, come ad esempio uccidere, dato che questo resta ascritto al lato immaginario.
- E tutta quella gente che abbiamo ammazzato? Era immaginaria?
- Era gente del mondo di mezzo, ma dalla parte del male: dal nulla uscita e al nulla ritornata. Come l’immagine dello specchio.
- E le ragazze e i ragazzi del Club di Libere Parole?
- Loro sono reali. Sono persone assolutamente vere che per una volta hanno avuto occasione di fare quattro passi nell’immaginario.
- Ora mi è tutto chiaro. E il povero Boris Dimitrevic?
- E’ un personaggio di contorno, un passante, incontrato a Mosca durante la storia del Maestro e Margherita, che non si è mai rassegnato a tornare nella nullità di un personaggio senza nome, né storia, né ruolo. Per questo ha assunto un nome e un’identità. Poi, ultimamente, ha cominciato a credere di essere il terzo Anticristo della profezia di Nostradamus. Poveraccio.
- E’ vero che i primi due Anticristi furono Napoleone e Hitler?
- Così interpretano alcuni. Io non lo so. Però ho molti dubbi e una mia teoria in merito.
- Cioè?
- Penso che l’Anticristo sia uno, quello per eccellenza, che non ha certo bisogno di inviare delegati, ma si manifesta nei secoli attraverso il pensiero che divenendo prevalente incide sulla società umana nel suo insieme con l’avvento di determinati “fenomeni”. Ad esempio il grande fanatismo che portò allo sterminio di esseri umani in nome della religione, dello stato o di un’idea: l’oscurantismo religioso, il nazionalismo che diventa patriottismo esacerbato, il bonapartismo, il modernismo, l’industrialismo, il fascismo, il nazismo, il comunismo, il capitalismo, il consumismo, tutto ciò che agisce come un verme letale e svuota agli uomini l’anima dal di dentro e ne attutisce la ragione. Questi sono gli agenti dell’Anticristo, che si manifesterà personalmente solo quando sarà venuto il suo tempo e gli uomini saranno pronti ad accoglierlo e osannarlo su tutta la terra. Ma questa è tutta un’altra storia dalla nostra e dobbiamo occuparci di questa. Qualcosa mi dice che la nostra missione del ritrovamento del Sacro Graal sta per giungere a compimento. E una volta ritrovato, le cose seguiranno il loro corso senza ulteriore bisogno del nostro intervento, così potremo finalmente riposarci per un po’ di tempo.
- Fino alla prossima missione?
- Esatto, Zeno.

Detto questo, Jovall si accese la pipa e tirò alcune lunghe boccate di fumo, disegnando poi diversi cerchi di nuvole azzurrognole nella stanza. In quel momento si aprì la porta del retrobottega ed entrò il Barone Occlavius, raggiante.
- Tutto fatto, Jovall! Ora i ragazzi arriveranno qui alla spicciolata e quando saremo a ranghi compatti Esmeraldas ci renderà edotti sul messaggio della maga Barbìsa.

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Capitoli 24 e 25 (finale)
Walko

24.

Si era fatta quasi ora di cena quando si ritrovarono tutti insieme nel retrobottega del Free Bar, il quartier generale di Jovall, compresi gli ultimi arrivi: Gariperti, RusRus, Eddy Candussi, Fiorelisa, Lady Marion J, Licantropina, Fatalinda, Jack Girisper, Beckenhaller e Don Turiddu.
Esmeraldas, Sagitt e Lola Tekila riuscirono a resistere alle domande, per evitare di dover ripetere più volte le stesse cose , finché la squadra non fosse al completo. Ne approfittarono un po’ tutti per chiamare casa, parenti e amici, rassicurandoli riguardo la loro salute. Le ferie stavano per scadere quasi a tutti, ormai il rientro era imminente e questo era un motivo in più per stringere i tempi e per sperare che la maga Barbìsa avesse dato qualche informazione decisiva sul luogo dove si sarebbe potuto ritrovare il Graal.
Si può immaginare quale fu la delusione, quando Esmeraldas rilesse davanti a tutti le misteriose indicazioni della maga e le tradusse. La prima a reagire bruscamente fu Gio:
- Ma siamo tornati al punto di partenza!
- No, non proprio – corresse LuBa – adesso sappiamo che in mezzo a noi c’è chi sa dove si trova il Calice…
- Già, lo sa – disse Prisca – ma non ricorda, anzi, nemmeno sa di saperlo se non nel suo subconscio.
- L’unico modo perché possa ricordarlo – precisò Myrna – è trovando casualmente un riferimento che gli faccia salire dal subconscio il ricordo.
- Sì, campa cavallo! – sentenziò Kate Orlandow.
- E se andassimo per tentativi – provò Kakasenno – magari leggendo tutte le parole di un dizionario finché si trova il riferimento…
- Ci vorrà molto tempo e molta pazienza… - dichiarò Archigene sconsolatamente.
- Ci vorrebbe soprattutto una gran dose di culo! – disse RobyMAD con l’impeto della gioventù.
- E poi, ammettendo che trovassimo il luogo – intervenne LucidaFollia – avete sentito cosa ha detto la maga? Solo un uomo assolutamente puro potrà materialmente recuperarlo!
- E’ vero – disse AnnaNBD – e per puro si indende che non abbia mai nemmeno dato un bacio a una donna!
- Dubito che fra noi… – sentenziò Zublinky guardandosi intorno con aria perplessa.
- Ehi – lo interruppe Uria – c’è l’angelo!

A questo punto intervenne Jovall, a spegnere l’entusiasmo del gruppo.
- No. Angelo è fuori partita. Nessuno di noi, Angelo, Zeno e il sottoscritto ha la possibilità di avvicinare il Calice. Fa parte delle regole. Noi vi abbiamo aiutati e protetti, ma adesso tocca a voi.
- Allora siamo fritti in ogni caso – disse amaramente Gariperti.
- No, un attimo – interruppe Zeno – io la sera stessa in cui Jovall ricacciò la sua immagine nello specchio, dopo la sfida se ben ricorda chi c’era, invitai una persona a giocare a carte. Facemmo piuttosto tardi e come spesso capita di notte, ci lasciammo andare a molte confidenze. Gli parlai dei miei amati vetri e del mio hobby di scalare i grattacieli per pulirli, gli dissi che non ero sposato e lì… lui confessò di non essere mai stato nemmeno fidanzato e di non avere mai avvicinato una donna in vita sua. Sto parlando di quel giovane poliziotto, com’è che si chiama?
- Percivalle, ricordo: l’agente Percivalle – rispose il Barone uscendo dal suo apparente torpore.
- Poveraccio – commentò Fiorelisa.
- No invece – riprese Zeno – è una sua precisa scelta: resterà puro e casto finché non incontrerà quella che riconoscerà come la donna della sua vita.
- Una scelta rispettabile – disse Pat Wolf.
- Certamente – fu il commento generale.
- E utile per noi! – aggiunse pragmaticamente Lady Marion J.
- Già, ma a parte il fatto che prima bisogna sapere dov’è il Calice – smorzò gli entusiasmi Fiore 73 – chi ci dice che l’agente Percivalle sarà disponibile a recuperarlo per nostro conto?
- Anche questo è vero – disse Blondielaura – e comunque anche ammesso che lo convincessimo di riffa o di raffa, la parte difficile, per non dire impossibile, è far tornare in mente a chissà chi fra noi dove gli è mai capitato di vedere il Calice o comunque di aver saputo dove si trova.

Un’atmosfera di grande abbattimento calò su tutta la compagnia. Resosene conto, Jovall cercò di stemperare la tristezza che si stava impossessando di tutti, lui compreso, con uno dei suoi raffinati tocchi di ospitalità.
- Amici, non è il caso di arrendersi prima di aver condotto sino in fondo la battaglia. Forse un sistema lo troveremo, magari proprio quello indicato da Kakasenno: in fondo nel vocabolario sono contenute tutte le parole, compreso il possibile riferimento che cerchiamo. Comunque si è fatta ora di cena. Prima di consumare qualcosa vi invito tutti ad unirvi con me in un brindisi al nostro incontro, che possa essere d’augurio per il buon termine della nostra missione. Per l’occasione metterò mano ad un vino davvero speciale, anche in considerazione del fatto che molti tra voi sono romani, direi la maggioranza relativa. Zeno, in cantina c’è quella riserva speciale di Frascati dell’annata 1848, vai tu a prenderne una decina di bottiglie, facendoti aiutare da Angelo. Dovete sapere che quel vino ha una straordinaria particolarità, come potrete sentire al gusto: nel momento in cui si stappa la bottiglia, anche dopo più di un secolo e mezzo come adesso, ha l’aroma e il sapore di un vino novello, per cui potremo dire di avere sorseggiato un vino nuovo di ben 154 anni or sono.
- Fantastico! – proruppe il Barone Occlavius – questo vino è stato prodotto quando ero ancora in vita, sebbene non per molto ancora!

Zeno e Angelo appoggiarono le bottiglie sul tavolo, tra lo stupore e la curiosità generale, dopodiché procedettero al brindisi. Era veramente un vino delizioso. Il Barone Occlavius, uomo di gusti raffinati e grande amante del buon vino, fra tutti era il più estasiato. Se ne versò un altro bicchiere, lo annusò, lo sorseggiò ed emise un lungo sospiro prima di esprimere tutta la sua ammirazione.
- Parola mia, in vita e in morte mai mi capitò di assaggiare una simile grazia di Dio. Eppure ne gustai di ottimo vino, specialmente dei Castelli, Genzano, Velletri, Marino ed anche naturalmente Frascati. Ricordo che proprio negli ultimi giorni di mia esistenza in vita, trovai da un oste un Frascati quasi pari a questo, tanto è vero che a causa del suo divino sapore ed anche per festeggiare ora non ricordo bene cosa, mi capitò di eccedere… il sapore, l’aroma, il retrogusto finissimo... potrei dirlo in verità… è quasi lo stesso… anzi è lo stesso. Sì, è proprio lo stesso… è… Oh, buon Dio! Ora ricordo cosa festeggiavo quel giorno!

Il Barone a questo punto finì di bere il contenuto del bicchiere, poi si sedette su una poltrona in visibile stato di agitazione e cominciò a raccontare:
- Il giorno precedente ero penetrato nelle segrete stanze della Santa Sede e avevo trafugato il sacro Calice, sostituendolo con un’imitazione. Non riuscii a prender sonno quella notte, nella locanda in Trastevere dove avevo preso alloggio pronto per involarmi fuori dai confini dello Stato Pontificio. Fissai il Calice per tutta la notte e ancora parte del mattino, e più passava il tempo più mi sentivo divorato dal rimorso per aver compiuto quel furto sacrilego per cupidigia di vil denaro del quale poi non avevo nemmeno tutto questo bisogno. Alla fine presi una decisione: capitasse quel che doveva capitare, chiesi udienza con procedura di eccezionale urgenza al Papa, il mio ruolo me ne dava la facoltà. Il Papa infatti mi ricevette, visibilmente preoccupato, dopo appena un paio d’ore, intorno a mezzogiorno. Gli confessai tutto, lo partecipai del mio sincero pentimento e gli restituii il Calice, dicendomi pronto ad affrontare la severa condanna che avrebbe ritenuto di infliggermi. Il Papa sorrise bonario, mi diede per penitenza la recita obbligatoria del Rosario per una settimana e l’ordine di fare opere di carità ad un certo numero di famiglie in difficoltà, poi, con mia grande sorpresa, mi riconsegnò il Calice con queste parole: “tenetelo voi, non c’è persona al mondo di cui possiamo fidarci di più, visti gli ultimi eventi, e stavamo giusto pensando a quali mani sicure avremmo potuto affidare la preziosa reliquia: a Roma la situazione si fa ogni giorno più difficile e pericolosa; noi stessi stiamo pensando ad un possibile trasferimento in luogo sicuro, quale potrebbe essere Ponza, nel caso in cui la situazione precipitasse e la rivolta di cui si vocifera prendesse corpo. Nascondetelo in luogo sicuro, cosicché se qualche mano animata da cattive intenzioni arrivasse sino al luogo deputato alla sua custodia, vi troverà l’imitazione che voi stesso avete posto.” Così feci, depositai il Calice in un luogo sicurissimo e compiuta questa operazione ero talmente sollevato e felice che tornato alla taverna dove alloggiavo dalla sera precedente presi la sbronza di Frascati cui accennavo prima. Avendo comprensibili difficoltà a reggermi in piedi, uscito dalla locanda che era ormai l’imbrunire per prendere un poco d’aria fresca, mi affacciai sul Tevere e sporgendomi dal ponte incuriosito da un intreccio di rami trasportato dalla corrente, vi precipitai dentro. Non sapendo nuotare stavo per soccombere ai flutti, quando un ragazzo coraggioso che passava per caso si tuffò per ripescarmi. Qualcuno mi riconobbe e mi riaccompagnò in Vaticano, dove a sua volta una Guardia Svizzera mi accompagnò nelle mie stanze, adiacenti quelle del Ministro di Sua Santità e mio superiore diretto, Sua Eccellenza Pellegrino Rossi. Ero in stato di choc e a causa di questo, quando mi risvegliai la mattina successiva, dalla mia memoria si erano cancellati i due giorni precedenti, con tutto quanto in essi accaduto: furto, pentimento, restituzione, occultamento, sbronza e malaugurato tuffo nel biondo Tevere. Solo adesso, la degustazione del Frascati d’annata mi ha riportato tutto alla mente. Il resto è noto: avendo scordato ogni cosa tentai nuovamente di trafugare il Sacro Graal, ma trovai un’imitazione al suo posto, pensai d’essere stato preceduto, acquistai la pergamena che poi evidentemente si è rivelata ‘na sòla, fui assassinato dai congiurati lo stesso giorno in cui cadde per loro mano il Pellegrino Rossi. Sicuramente Pio IX si sarà rammaricato per non essersi fatto svelare in tempo il nascondiglio della reliquia, ma tanto io sarei caduto dalle nuvole di fronte alla sua richiesta; avrà fatto compiere ricerche, che proseguiranno tuttora per ordine dei suoi successori. Ma tanto nessuno potrebbe mai trovarlo lì.
- Lì dove? – proruppe Jovall.
- In Vaticano, chiuso in un sacco, murato nella parete opposta alla finestra dalla quale ora si affaccia il Papa ogni domenica per recitare l’Angelus o il Regina Coeli nel tempo Pasquale. Vi lavorai quel giorno stesso, approfittando del fatto che sapevo che nessuno quel giorno sarebbe transitato di lì, il Papa ai tempi risiedeva al Quirinale. Feci un buco, infilai il sacco, richiusi il buco e sistemai il muro. Avevo sempre avuto l’hobby del restauro, per me fu un gioco da ragazzi.
- Dunque il Calice non è mai uscito da San Pietro? – urlò quasi Jovall, cominciando a ridere sommessamente.
- Già…

A questo punto Jovall scoppiò in una risata fragorosa e incontenibile, tra la sorpresa generale, considerando che mai più ci si sarebbe aspettati da lui, sempre così serio e spesso accigliato, una simile reazione. Parve trattenersi, riprese fiato e rivolse una seconda domanda al Barone:
- Dunque per centocinquantaquattro anni ti sei chiesto e hai cercato chi era il ladro che ti aveva preceduto, senza sapere che quel ladro… eri tu?
- Già…

Jovall questa volta si scatenò in una lunga risata atomica, piegandosi in due e lacrimando copiosamente, al punto che in breve contagiò tutti i presenti, compreso il Barone Occlavius.
Dopo cinque minuti buoni di risate, Jovall tornò serio di colpo e tracciò nell’aria un cenno energico e comprensibilissimo che invitava al silenzio. Tutti smisero di ridere e Jovall, tornato serissimo come di norma, cambiò argomento:
- Ora si tratta di predisporre un piano per recuperare il Calice. Non sarà semplice andarlo a riprendere dove si trova adesso, praticamente in casa del legittimo proprietario.
- Si potrebbe semplicemente avvisare il Papa che il calice è lì… - propose Esmeraldinhas.
- Brava! Non dovevamo recuperarlo noi e chiedere un riscatto? – intervenne RobyMad.
- Eh già…
Fu il commento generale, dopodiché calò il silenzio. Fu Van Faber a interromperlo.
- Ragazzi, ma veramente siamo intenzionati a chiedere un riscatto? Non si tratterebbe tutto sommato di un atto, oltre che illecito, anche poco onorevole e per nulla simpatico?
- E poi… - intervenne Pat Wolf – mi chiedo… mercificare così il Calice dove il vino dell’ultima cena con gli Apostoli prese le sembianze del Sangue di Nostro Signore… ricordate le sue parole? “… Allo stesso modo prese il calice, lo sollevò, rese grazie e disse ai suoi disepoli: questo è il Calice della nuova ed eterna alleanza, questo è il mio Sangue versato per voi e per tutti…” e di lì a poche ore sarebbe salito sula croce… si può scambiare per denaro un simile oggetto?
- No, in effetti… - rispose Gio.
- No, infatti – le fecero eco tutti gli amici del Club.
- D’accordo, però… - intervenne Kate Orlandow – è scocciante pensare che dopo tutte queste peripezie ci si debba fermare ad un passo dalla fine del gioco. In fondo è stata una gran bella caccia al tesoro, e adesso che quasi ci siamo…
- Sentite amici – propose LuBa Zadora – nulla vieta che portiamo al termine il gioco, come l’ha giustamente chiamato Kate. A nessuno di noi interessa arricchire, ma il divertimento a questo punto va portato fino in fondo. Cercheremo di impossessarci del Graal e poi lo restituiremo al legittimo proprietario senza chiedere alcuna contropartita. Ma almeno la soddisfazione d’essere riusciti nell’impresa, quella non dobbiamo negarcela, che dite?
- Giustooooooooo! – fu la risposta corale.
- E allora forza, studiamo un piano per il recupero del…- iniziò Jovall che fu interrotto da un rumore proveniente dalla porta del retrobottega: toc toc.
Dopo pochi attimi di silenzio qualcuno bussò di nuovo.
- Chi può essere? – si chiese più d’uno.
- Forse l’ultimo arrivato al Club che ci ha raggiunti: Anubis… – propose Sagitt.
- Ehi, ma io sono qui! – protestò Anubis, interrompendolo.
- Ops, scusa Anub, ma siamo così tanti e gli eventi sono stati così repentini che non c’è stato il tempo di presentarci e conoscerci tutti!
- E’ vero. Nessun problema…
- Già, ma chi sarà? Forse il barista? – disse Prisca.
- L’unico modo per saperlo è vedere chi è. In fondo non abbiamo nulla da temere – concluse Zeno, dirigendosi verso la porta.
Appena aperta la porta apparve nella penombra un uomo in divisa.
- E’ giunta alla Centrale di Polizia la segnalazione di un boato proveniente da questo luogo. Sono l’agente Percivalle.
- Si trattava di una risata generale – disse Jovall – stiamo festeggiando. Si unisca anche lei, Parsifal, in un certo senso la stavamo aspettando.
- Perché mi chiama Parsifal? E perché mi stavate aspettando?
- Perché lei a buon diritto fa parte della festa. Mi informava poc’anzi il qui presente Generale Van Faber che lei è stato incaricato delle indagini volte a ritrovare il Sacro Calice, perduto molti anni fa.
- Sì… è vero… ma è un incarico segretissimo.
- Non per il Generale. Ebbene: la informo che sappiamo dove si trova. Lo abbiamo scoperto per pura coincidenza, sarebbe troppo lungo da spiegare… ora, non volendo in alcun modo scavalcarla, la metteremo a parte di quanto scoperto, di modo che sarà proprio lei a recarsi sul posto per recuperare l’oggetto. Ma attenzione: data la segretezza dell’operazione tutto dovrà svolgersi nella massima riservatezza. Arriverà sul luogo domani stesso con le credenziali del Ministero della Cultura, accompagnato da un muratore, il qui presente signor Zeno De Vetri, che ha l’incarico di aprire il muro dove l’oggetto è nascosto, in un sacco; ufficialmente dentro vi saranno antiche carte e importanti documenti di proprietà della Biblioteca Lateranense, nascoste lì da uno zelante Padre bibliotecario prima dell’invasione napoleonica per preservarle da un eventuale danneggiamento. Questa è la copertura necessaria, affinché il Graal non finisca in mani diverse da quelle stabilite di comune accordo fra la Santa Sede e la Repubblica Italiana. Recuperato il sacco senza mostrarne il contenuto a nessuno, con la spiegazione che un’esposizione alla luce e all’aria potrebbe danneggiare irreparabilmente le antiche carte, dirà che porterà il sacco in un laboratorio adibito alla protezione del suo contenuto nel momento dell’apertura, ma in realtà si recherà in un determinato luogo dove la porterà Zeno e lì potrà estrarre l’oggetto dal sacco e consegnarlo al cardinale De Innocentiis, che è stato all’uopo incaricato segretissimamente dal Papa, che si trova in viaggio all’estero, per tenerlo in consegna segreta fino al ritorno del Pontefice stesso. Ovviamente non dovrà avvisare nessuno del suo viaggio a Roma, né stendere rapporti. Prenda un giorno di licenza e parta stanotte stessa, appena smontato dal turno di servizio. Per le spese naturalmente non c’è problema: il signor Zeno si occuperà di ogni cosa. Andrete a Roma in automobile, a bordo di una insospettabile auto civile, una vecchia 600 che in realtà è truccata e può fornire prestazioni eccezionali, compreso un sofisticatissimo meccanismo di pilotaggio automatico. E’ tutto chiaro?
- Sì, certo… chiarissimo.
- Bene. Si sieda, gusti un bicchiere di Frascati novello e intanto le spiegherò i dettagli dell’operazione.

Il giorno dopo, intorno alle 18, tutto era stato compiuto. Arrivati in mattinata a Roma, espletate velocemente le procedure burocratiche grazie alla documentazione rigorosamente autentica fabbricata con fogli di vecchi giornali dal Barone Occlavius grazie a suoi poteri illusionistici, alle 11 e 30 in punto Zeno e Percivalle uscivano dal perimetro della Città del Vaticano e si recavano in un palazzo all’Eur. Salirono all’ottavo piano ed entrarono in un appartamento ben arredato, dove trovarono ad aspettarli il cardinale De Innocentiis, con la sua aria jeratica e bonaria al tempo stesso. Nelle sue mani Percivalle consegnò il Calice, ricevendo in ringraziamento dall’anziano porporato lodi e benedizioni a profusione e anche una medaglietta vaticana riproducente Papa Pio IX, di notevole valore storico e numismatico, coniata infatti nell’anno 1850 in occasione dell’apertura dell’Anno Giubilare. Subito dopo ridiscesero in strada, raggiunsero la 600 e ripartirono immediatamente alla volta di Genova, arrivando appunto intorno alle sei di sera. Zeno lasciò Percivalle alla stazione di Polizia, raccomandandosi un’ultima volta di non lasciarsi mai sfuggire una sola parola circa quell’operazione segretissima, poi rientrò alla base, nel retrobottega del Free Bar dove lo attendevano Jovall, Angelo e tutti quelli del Club di Libere Parole, ai quali Zeno raccontò subito per filo e per segno gli accadimenti della lunga giornata.
- Come mai il Barone ritarda? – chiese Jovall – In teoria avrebbe già dovuto essere arrivato da un pezzo.
- Ha detto che voleva fare un giro per Roma e approfittare dell’occasione per salutare alcuni suoi amici fantasmi che infestano… no, cioè… che abitano in alcuni antichi palazzi del centro. Tanto fa presto ad arrivare lui: quattro salti dei suoi ed è qui.

Proprio in quel momento la porta si aprì, ed entrò nel retrobottega il cardinale De Innocentiis o, per meglio dire, il Barone Occlavius in uno dei suoi tipici travestimenti. Appena entrato che fu, gettò il sacco sul tavolo con insolito malgarbo e proruppe in un altrettanto insolito eloquio, se così si può definire:
- Fulmini e tuoni! Peste e corna! Accidenti! Miseriaccia boia! Porco di un fischietto!
- Ehi, Barone – lo interruppe Jovall – non ti sembra di usare un linguaggio poco consono all’abito che indossi in questo momento?
- Ne ho ben donde, Jovall, parola mia!
- Qual è dunque il motivo di tanta iracondia?
- Il motivo è qui, nel sacco. Eccolo qui!

Così dicendo estrasse dal sacco un calice di metallo, finemente lavorato.
- Il Graal!!! – fu l’esclamazione generale.
- Ma quale Graal! – riprese il Barone purpureo in viso non meno dell’abito che indossava – E’ una volgare imitazione! Peggio! E’ proprio l’imitazione comprata per due soldi da me medesimo al mercato di Porta Portese e poi lasciata in luogo del Calice! Da allora è la seconda volta che me la ritrovo inopportunamente tra le mani! Una vera persecuzione!
- Ma… che razza di assurdità è mai questa? – disse Jovall, letteralmente trasecolato.
- Vattelapesca! – urlò il Barone-cardinale, ormai incontenibile nella sua ira.
Gio nel frattempo prese tra le mani il sacco e lo rovesciò.
- Guardate! C’era una busta nel sacco, insieme al calice. Apriamola! Forse contiene la chiave del mistero.
- A me! – disse Jovall, che aprì la busta e ne estrasse una lettera scritta in bella grafia, ingiallita dal tempo, che cominciò a leggere ad alta voce – “Caduto per mano assassina colui che deteneva il segreto del nascondiglio, per un certo tempo disperammo di ritrovare la Santissima Reliquia, sino a che durante alcuni lavori di restauro inavvertitamente crollò un lembo di muro e quivi fu come per miracolo ritrovata. Pensando che non v’è in genere nulla di meno violabile d’un segreto e che dunque in futuro si doveva tenere per probabilissima la scoperta del nascondiglio da chi avrebbe potuto pensare di recuperare il Calice perduto per trarne qualche vantaggio meramente materiale a danno della Santa Sede, o addirittura da qualche mano sacrilega spinta da orribili intenzioni, come addirittura la distruzione del Sacro Oggetto, decidemmo di depositare lo Stesso in luogo veramente inaccessibile e sconosciuto a tutti se non al Sommo Pontefice in persona che avrebbe tramandato ai Successori l’indicazione del luogo medesimo tramite busta sigillata e intoccabile da altre mani, pena la scomunica, celando nel medesimo tempo sotto segreto inviolabile il ritrovamento miracolosamente avvenuto. Infine, deliberammo di sostituire il Santo Calice con la sua emitazione, non più nella teca della stanza che lo aveva ricoverato negli ultimi tempi in luogo dell’Originale, ma nello stesso sacco murato nel medesimo luogo del ritrovamento, insieme a questa lettera, di modo che chi nel futuro fosse venuto in qualsiasi modo a conoscenza del segreto del fu Barone Occlavius Di Curtius-Pignus-Telium, violando il nascondiglio da lui escogitato non vi avrebbe trovato il Sacro Oggetto, bensì il nostro paterno saluto e le nostre numerevoli, ovvero sia copiose benedizioni, ergo diversamente definendole: benedizioni in copia. Firmato Pastor Pastoribus Pius IX”.
- Eh già – disse sconsolato il Barone – copia come abbondanza e copia come imitazione dell’originale. Lo sapevate che Papa Mastai Ferretti, Pio IX, era anche un appassionato di enigmistica, sciarade e giochi di parole?



Gio Girisper & Walko

25.

Gio aprì gli occhi in quel momento, ancora con la voce del Barone nelle orecchie, tanto che gli rispose: “no, non lo sapevo”. Solo a quel punto si accorse di trovarsi nel suo letto e di aver fatto quello strano sogno. Pensò che se ne sarebbe potuto trarre un racconto, un romanzo, un film o qualche cosa di simile. La prima cosa che le venne in mente fu di correre al telefono. Compose il numero.
- Pronto?
- Walko, sei tu? Sono Gio. Sai, ho fatto un sogno incredibile!
- Aspetta… il Sacro Graal, Jovall, il fantasma del Barone, l’uomo dei vetri ed il suo Angelo custode; e tutti gli amici di Libere Parole.
- Come fai a saperlo?
- L’ho sognato anch’io. Volevo scriverne qualcosa al Sito, sono entrato e… lo avevano già raccontato, e altri avevano confermato. E ogni minuto che passa qualcuno aggiunge un reply: “l’ho sognato anch’io!” Gio…
- Sì?
- Questo sogno lo abbiamo sognato tutti.


FINE

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